Durante le fasi più acute della pandemia, gli ospedali hanno dovuto prendere in carico un gran numero di pazienti affetti da COVID-19. L’impatto della pandemia ha significato, tra le altre cose, che per i pazienti con patologie differenti il ricovero è diventato estremamente complicato. Questa situazione problematica ha, però, rappresentato l’opportunità di attivare percorsi di telemedicina, che integrano tecnologie e procedure per prendersi cura dei pazienti anche a distanza.

Ce ne parla il dott. Mauro Zampolini, Direttore del Dipartimento di Riabilitazione della USL Umbria 2 e Direttore della S.C. di Neurologia per il servizio di Neurologia e Riabilitazione dell’ospedale di Foligno, relatore del webinar “Teleriabilitazione, cronicità e invecchiamento ai tempi della pandemia: un modello per il futuro?

Come ha influito la pandemia di COVID-19 sull’utilizzo della telemedicina in ambito riabilitativo?

Durante le prime fasi della pandemia, per via del rischio di contagi, era quasi impossibile visitare molti pazienti non-Covid che si trovavano in fase post-acuta e in fase cronica.
La necessità di quel momento ci ha imposto di convertire rapidamente parte della nostra attività in modo da poterla svolgere a distanza.

Per fortuna, non eravamo impreparati: la ricerca sulle procedure di telemedicina è già ricca di risultati. Questa congiuntura ha fornito l’opportunità per cominciare a gestire alcune patologie, soprattutto croniche, attraverso la telemedicina. Non solo, la pandemia ha anche velocizzato alcune decisioni che erano già in discussione a livello politico: finalmente c’è stata da parte del Ministero una delibera che norma la televisita.

Nei nostri istituti abbiamo operato principalmente riabilitazioni di pazienti con patologie neurologiche. Per esempio, tantissime persone con Sclerosi Multipla, che abbiamo tutt’ora in cura e che seguiamo anche in integrazione con le normali visite in presenza, ma anche pazienti con Malattia di Parkinson, coi quali stiamo sperimentando la riabilitazione a distanza attraverso esercizi appropriati e valutandone i progressi.

Abbiamo preso in carico a distanza anche persone anziane che soffrono di demenza senile. La buona riuscita in questi casi è legata al coinvolgimento di parenti e caregiver.

Può spiegarci come avviene concretamente un percorso di riabilitazione in regime di telemedicina?

Si comincia innanzitutto con la televisita, “la visita a distanza”. Come accade in presenza, attraverso la televisita cerchiamo innanzitutto di raccogliere le informazioni necessarie per l’anamnesi. Lo scambio della documentazione clinica avviene in digitale. Dopo la prima televisita può essere il paziente stesso a richiedere la consulenza a distanza al medico per sottoporre eventuali problemi o richiedere chiarimenti.

Per fare un esempio concreto, quando devo fare una televisita a un paziente contatto lui oppure un suo caregiver e lo invito nella piattaforma online che utilizzo. Attraverso la piattaforma il paziente riceve le classiche domande che solitamente pone il medico, ad esempio quali sono le sue patologie già diagnosticate, quali terapie sta seguendo e quali i sintomi percepiti. Insieme alle risposte il paziente o il caregiver possono caricare sulla piattaforma i referti degli esami svolti e le precedenti valutazioni mediche in formato elettronico.

Il grande vantaggio di questa modalità è proprio che prima della visita il medico può già visualizzare la documentazione clinica e farsi un’idea abbastanza precisa delle condizioni del paziente. In questo modo durante la televisita possiamo andare dritti al punto.

A distanza si possono anche eseguire le valutazioni cliniche dei pazienti. Più o meno l’80% delle valutazioni neurologiche, infatti, può essere eseguito in regime di telemedicina e gli studi che mirano a rendere sempre più affidabile questi protocolli sono ormai numerosi.

Dopo la valutazione si discute con il paziente o con il caregiver per stabilire insieme quale strategia riabilitativa o di cura seguire. C’è sempre la possibilità che emerga qualcosa che richiede una visita più approfondita e, in quel caso, il paziente deve essere visto di persona. In caso contrario si può procedere a prescrivere la terapia individuata. In conclusione, la piattaforma emette e condivide con il paziente un referto firmato, in formato digitale.

I pazienti stanno accogliendo positivamente queste novità. Potrà sembrare sorprendente, ma vale anche per i più anziani, anche grazie all’intermediazione dei caregiver. Personalmente mi spiego questo fatto con una sorta di “effetto televisione”: gli anziani vedono il medico attraverso lo schermo del computer, uno schermo come quello a loro più noto della televisione, e questo conferisce in qualche modo un alone di autorevolezza, magari anche di “magico”.

Quindi con telemedicina si intende la possibilità di seguire il paziente senza la necessità di una presenza fisica…

In realtà significa molto di più. Il concetto di telemedicina viene classicamente associato solo alla televisita, ma telemedicina vuol dire medicina a distanza e la medicina non si limita alla visita medica. La telemedicina, come tale, non può essere concepita senza una forte digitalizzazione di tutta la clinica. Non dobbiamo correre l’errore di replicare tal quali le modalità di valutazione, riabilitazione e cura attuali, solo riproponendole a distanza.

La grande opportunità è quella di avere a disposizione, sempre più, le informazioni aggiornate sullo stato di salute del paziente, potendole anche condividere e valutare assieme ad altri membri di un team medico multidisciplinare, qualora necessario a miglior beneficio del paziente.

In questo “luogo virtuale”, dove è sempre presente il paziente attraverso i suoi dati clinico-diagnostici, si possono incontrare in un teleconsulto i membri di un team allargato che non deve necessariamente limitarsi al personale dell’ospedale, ma può raccogliere all’occorrenza anche esperti da grandi distanze.

Tutto questo rappresenta un grande beneficio per il paziente e comunicarglielo è essenziale. Non si tratta semplicemente di un’alternativa alla visita classica dovuta alla necessità ma di un nuovo strumento che aggiunge qualcosa in termini di qualità del servizio.

La digitalizzazione della medicina quindi è ben di più della televisita: quali altre opportunità offre?

La digital health apre altri scenari molto interessanti, come la possibilità di raccogliere e valutare non solo i dati che può inserire il paziente, ma anche quelli misurati dai sensori indossabili come gli smartwatch, oppure dagli smartphone. Dati sulla pressione sanguigna, sull’attività fisica e sulla funzione cardiaca possono essere trasmessi e venire monitorati in tempo reale.

Un altro ambito in fase di esplorazione è quello delle applicazioni mediche dell’intelligenza artificiale. Una possibile applicazione potrebbe essere l’implementazione di chatbot: si tratta di avatar digitali, capaci di conversare grazie all’intelligenza artificiale, integrati nelle piattaforme di telemedicina. I pazienti si possono interfacciare in primo luogo con questi avatar che sono in grado di porre le domande necessarie e anticipare la fase di anamnesi che precede la televisita. L’esperienza è quella di interagire con un assistente medico virtuale.

Ci sono limiti di natura tecnologica, legale e amministrativa da superare per una piena applicazione della telemedicina?

Sicuramente. Innanzitutto, è necessaria una linea internet veloce e affidabile perché, altrimenti, una televisita rischia di diventare una situazione più disagevole che pratica.

Da un punto di vista legale c’è il problema della privacy che va sempre accuratamente rispettata: rendere involontariamente pubblici i dati del paziente è una violazione della privacy che può avere ricadute gravi. I dati sulla salute vanno protetti utilizzando piattaforme studiate specificamente per garantire la sicurezza delle comunicazioni: Whatsapp e altri strumenti generalistici di messaggistica vanno evitati.

Poi ci sono dei problemi aperti che vanno ancora ben definiti, sempre di natura legale e di responsabilità professionale. Per fare un esempio, se un paziente cade durante una televisita di chi è la colpa?

Tutti questi problemi, a mio avviso, vanno affrontati ma possono anche essere superati, purché non si considerino ostacoli insormontabili. Le difficoltà intrinseche al cambiamento non devono diventare scuse per non impegnarsi nei progetti innovativi.

Perché la telemedicina divenga pratica comune, la nostra mentalità deve necessariamente adeguarsi alla sfida.

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