La storia di Anna
Anna (il nome è di fantasia, ma la vicenda è reale) ha 85 anni quando chiede la separazione legale dal marito di qualche anno più anziano. Motivando la sua richiesta al giudice, la donna ripercorre sessant’anni di matrimonio caratterizzati da ingiurie («non vali nulla», «non sei capace di cucire né di cucinare», «non sai parlare, mi devi rispondere con un sì o con un no»), vessazioni (divieti di usare il telefono, uscire da sola, amministrare autonomamente il suo stipendio) e alcune violenze fisiche (schiaffi, lanci di oggetti) che erano aumentate nel tempo, soprattutto a partire dal pensionamento dei coniugi. A seguito dell’ultimo episodio, in cui veniva colpita da un mobile spinto dal marito, Anna si recava presso la Guardia Medica e lì manifestava la volontà di non tornare a casa a causa delle angherie del coniuge. Venivano allertate le forze dell’ordine e la donna presentava denuncia: il procedimento penale si estingueva per decesso del marito. Nel frattempo, tuttavia, arrivava a sentenza il processo civile: il Tribunale pronunciava la separazione tra i coniugi, ma rigettava le domande della donna di addebitare la separazione al marito in ragione delle violenze e di condannare lo stesso a versarle un assegno di mantenimento.
Secondo i giudici la moglie non aveva dimostrato che il fallimento del matrimonio fosse dovuto alle violenze: il carattere continuativo dei soprusi, infatti, avrebbe al contrario indicato che, ogni volta, era intervenuta una riconciliazione tra i coniugi.
Oltre a ciò, secondo il giudice, appariva irrilevante ai fini del riconoscimento dell’assegno che il marito fosse l’unico a fruire della casa familiare di proprietà comune o che si fosse appropriato dei risparmi della famiglia: il fatto che i coniugi fossero in comunione dei beni e che l’ammontare delle loro pensioni fosse analogo escludeva la sussistenza dello squilibrio patrimoniale necessario a giustificare l’assegno.
Il fenomeno sociale
Il caso di Anna non è isolato. Molte donne nella quarta età, fissata convenzionalmente a partire dai 75 anni, fanno esperienza di violenze esercitate su di loro in quanto donne. I dati sul fenomeno sono però limitati. Nelle statistiche dedicate alla violenza contro le donne, infatti, l’ISTAT considera le donne solo fino a 70 anni. Il Ministero della Salute (Sistema informativo per il monitoraggio delle prestazioni erogate nell’ambito dell’assistenza in emergenza-urgenza), invece, suddivide le donne che hanno fatto accesso al pronto soccorso per violenza secondo due fasce d’età: una relativa a 65-74 anni e poi quella +75.
Il quadro che emerge dai dati a disposizione è vario. La grande maggioranza delle violenze nei confronti di donne nella quarta età ha luogo nell’abitazione familiare ed è commessa da:
- partner (si tratta prevalentemente di mariti, visto che il matrimonio uomo-donna era la forma tradizionale di vivere la relazione di coppia all’epoca in cui la persona era giovane), o
- figli adulti, o
- assistenti domiciliari.
Talvolta, invece, le violenze avvengono in una struttura residenziale, sanitaria o socio-assistenziale. Più raramente, anche in ragione del fatto che le persone offese hanno spesso una ridotta mobilità e quindi escono meno frequentemente di casa, sono compiute per strada o presso luoghi frequentati saltuariamente. Nella maggioranza dei casi, si tratta di violenza psicologica (es. isolamento sociale), violenza economica (es. utilizzo indebito delle risorse dell’anziana da parte del suo caregiver), ma permangono anche forme di violenza fisica (ivi compresa la violenza sessuale).
… e le sue specificità
La violenza contro le donne nella quarta età presenta specificità che sono frutto dell’intrecciarsi del genere e della condizione senile.
- a) Genere. Come ricordato dal Preambolo della Convenzione di Istanbul, le violenze agite contro le donne sono «una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione» e sono «uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini».
Il femminicidio, lo stalking, la violenza sessuale, si radicano infatti in una concezione proprietaria della donna da parte del partner.
Forme di violenza come la trascuratezza da parte del coniuge, che per esempio si rifiuti di accompagnare la moglie senza patente alle sedute di riabilitazione, possono nutrirsi dell’idea che la moglie “non valga abbastanza” perché il marito si attivi. La pretesa di un marito – unico percettore di reddito familiare – di amministrare in via esclusiva le finanze familiari costituisce una palese prevaricazione e dunque una violenza economica.
- b) Condizione senile. Il carattere ripetuto nel tempo delle violenze fa sì che le donne maturino l’abitudine alla violenza, svalutino sé stesse, percependo la situazione come “normale” e perfino – nel caso in cui la violenza comunque emerga – desiderando di ritornare a vivere nell’ambiente violento, percepito come “sicuro” perché conosciuto. Addirittura, possono essere gli stessi giudici a “neutralizzare” la portata della violenza, invocando l’abitualità della condotta e l’acquiescenza da parte della donna (emblematica la sentenza di separazione nel caso di Anna). Inoltre, dipendere dagli altri per cure, farmaci, mobilità, alloggio, cibo e sostegno finanziario spesso impedisce di cercare aiuto. La maggior diffusione degli stereotipi di genere nella popolazione anziana può poi rendere più difficile per le donne riconoscere la violenza e per gli uomini anziani essere consapevoli della natura sessista delle proprie condotte di prevaricazione. Eventi consueti nella quarta età, come il pensionamento, la progressiva riduzione della mobilità, l’autonomizzazione dei figli che spesso vivono lontani dai genitori e hanno obblighi familiari che li rendono meno presenti presso gli anziani, costituiscono spesso fattori che intensificano le violenze in quanto obbligano i partner a relazionarsi tra loro in via esclusiva o comunque nettamente prevalente.
Per le donne over 75 anni, infatti, l’accesso al pronto soccorso ospedaliero per violenza avviene nella maggior parte dei casi non “per decisione propria” (come per tutte le altre fasce d’età) ma per “intervento della centrale operativa del 118”
Fonte: Ministero della Salute-ISTAT, Accessi delle donne in Pronto Soccorso con diagnosi di violenza, 2020
Sebbene ci siano casi di violenza fisica tra le donne anziane, la violenza è nella maggior parte dei casi di natura psicologica. Questo tipo di violenza è più difficile da provare, soprattutto quando la persona offesa è anziana, e proprio in ragione dell’età avanzata, versi in condizioni di fragilità mentale o addirittura di incapacità di intendere e di volere tali da minare l’attendibilità della testimonianza in giudizio. La fisiologica ridotta mobilità delle persone nella quarta età fa sì che i casi in cui le donne si rivolgono direttamente ai centri antiviolenza o al pronto soccorso ospedaliero siano meno frequenti.
Come dimostra anche il caso di Anna, la maggioranza degli episodi di violenza giunge all’attenzione delle istituzioni perché la donna chiede un intervento sanitario d’urgenza (118 o guardia medica). Non è peraltro infrequente che le violenze intrafamiliari emergano in occasione dell’istituzionalizzazione della persona anziana, con ricatti economici, minacce e addirittura violenze fisiche reiterate dai familiari anche in ambito residenziale.
Che fare?
Nell’attivazione di strumenti di prevenzione, protezione, riparazione e sanzione delle violenze contro le donne nella quarta età occorre considerare l’intrecciarsi dei fattori dell’età e del genere. Come sottolineato anche in un recente documento delle Nazioni Unite, infatti, la loro combinazione aumenta esponenzialmente il rischio delle violenze.
In questo contesto, è importante che le azioni di sensibilizzazione sulla violenza contro le donne includano, nelle campagne rivolte al pubblico, immagini o esempi che mettano in evidenza come questo fenomeno riguardi anche le donne nella quarta età. Essenziale è poi una formazione mirata e interdisciplinare delle professioni socio sanitarie e legali. Un/una magistrata dovrà comprendere che la violenza non può essere paragonata ad altre violazioni dei doveri coniugali. Dunque, per esempio, nel caso di tradimento è “giusto” ammettere che, nel caso di sopravvenuta riconciliazione della coppia, il coniuge tradito non possa invocare quel tradimento per chiedere l’imputazione della separazione all’altro. Così invece non può essere qualora si siano consumate delle violenze: per la loro particolare gravità, queste non possono mai divenire irrilevanti. E ancora: i giudici devono tenere conto del fenomeno della violenza economica: se il marito pretende di gestire in via esclusiva le finanze familiari, non c’è equilibrio dei redditi e dei patrimoni, neppure se la titolarità è condivida in parti uguali. Una/un professionista sanitario formato poi dovrà saper riconoscere i casi in cui acconsentire alla richiesta del marito di presenziare al colloquio con la moglie.
Infine, tutte le e i professionisti che si relazionano con donne anziane esposte alla violenza devono (ri)conoscere il ciclo della violenza e comprendere che l’età – come evidenziato sopra – può rendere ancora più difficile per la donna uscire dal ciclo della violenza.
Joëlle Long è Professoressa associata di diritto privato, Dipartimento di Giurisprudenza, Univ. Torino. Il presente contributo si inserisce nel quadro del progetto “Les violences envers les femmes dans le grand age” finanziato dall’Univ. di Torino nell’ambito del grant for internationalisation 2023 per progetti di ricerca collaborativi con partner internazionali. Il progetto vede come partners l’Univ. di Torino (referente: prof.ssa J. Long) e l’Université de Pau et des Pays de l’Adour (referente prof. ssa Stéphanie Rabiller).