Negli Stati Uniti la telemedicina, in tutte le sue articolazioni è una realtà consolidata ormai da una decina di anni: negli ospedali esistono Centri di telehealth (ndR il nome, “telesalute” fa capire l’impostazione) strutturati per offrire un servizio di qualità, con linee di trasmissioni dati potenziate e molto personale che ci lavora a tempo pieno, così da garantire efficienza, sicurezza e piena integrazione con le altre attività dell’ospedale, ricerca compresa.
Abbiamo chiesto alla dottoressa Sabrina Paganoni, dell’Harvard Medical School di Boston, di raccontarci come viene utilizzata nel suo Ospedale.
In Italia noi guardiamo agli Stati Uniti come a un punto di riferimento, soprattutto per i modelli e le soluzioni assistenziali innovative. Tra questi rientra la telemedicina: che ruolo ha oggi nel suo Ospedale?
A Boston, la città in cui vivo (perché comunque negli USA la sanità è organizzata diversamente a seconda degli Stati e anche la modalità in cui viene utilizzata la telemedicina varia da ospedale a ospedale) il sistema di telemedicina viene utilizzato da anni, ma è proprio grazie all’emergenza COVID che è diventato a tutti gli effetti una realtà, cioè un servizio utilizzato di routine dalla maggior parte degli ospedali. Prendiamo come esempio quello dove lavoro io, uno dei Centri di riferimento per le malattie neurodegenerative: la televisita prima del COVID, pur essendo usata di frequente, era comunque un’attività opzionale, proposta magari a chi abitava lontano dall’ospedale (negli Stati Uniti succede a molti di essere a 3-4 ore di distanza dall’ospedale di riferimento), mentre durante la pandemia è stata una soluzione necessaria per continuare a garantire un buon volume di visite ambulatoriali. In pratica, con il COVID, la telemedicina è passata da un servizio “nice to have” a un “must have”.
Il COVID come lancio ufficiale della telemedicina?
In un certo senso sì, il COVID ha costretto tutti ad affrontare il cambiamento: lo strumento era pronto, ormai maturo dopo anni di sperimentazioni. L’emergenza ha indotto a utilizzarlo nella pratica quotidiana non solo in centri come il nostro, dove era facoltativo da anni, ma anche in centri che l’hanno utilizzato per la prima volta con ottimi risultati.
Lei parla di una sorta di esame di “maturità” superato dalla telemedicina: rispetto a quali materie?
Diciamo che il sistema si è dimostrato facile da usare, efficiente ma soprattutto utile, perché ben integrato con tutti i servizi dell’ospedale; mi riferisco non solo agli aspetti tecnologici, per esempio alla piattaforma utilizzata per fare la televisita o all’integrazione con la cartella clinica elettronica e con il calendario per gli appuntamenti, ma anche a tutti gli aspetti burocratici, amministrativi e legali.
È stata imboccata una strada senza ritorno?
Credo proprio di sì. Sia noi clinici sia i pazienti lo abbiamo utilizzato facilmente e ne abbiamo sfruttato le potenzialità. Ovviamente, la televisita non potrà mai sostituirsi in toto alla visita di persona, che resta indispensabile in alcune circostanze. Penso per esempio alla prima visita di un nuovo paziente, oppure a certi tipi di sintomi che vanno approfonditi attraverso un esame fisico. Ma in molti casi i nostri pazienti hanno toccato con mano la sua superiorità: innanzi tutto per la maggiore rapidità con cui potevano contattarci, e il fatto che non avevano bisogno di fare un viaggio per raggiungere l’ospedale, accompagnati da un parente che a sua volta doveva chiedere un permesso di lavoro. Grazie alla televisita noi ci colleghiamo direttamente con la casa dei pazienti, cosa che permette loro di stare più tranquilli e presentarci chi vive con loro (spesso la persona anziana si fa accompagnare in ospedale da un figlio, ma a casa vive con il coniuge e/o una badante). Grazie alla telemedicina possiamo “entrare” in casa dei pazienti e loro ci mostrano tutti i farmaci che stanno assumendo, le barriere architettoniche e gli ausili che hanno in casa. Per le altre figure del mio team, come l’infermiere e il fisioterapista, che in una visita di follow-up il paziente incontra dopo di me, poter osservare direttamente l’ambiente domestico è molto utile, perché si rendono conto delle eventuali barriere e possono dare consigli personalizzati.
Nella sua esperienza, la tecnologia rappresenta un ostacolo per le persone anziane, meno “digitalizzate”?
Al punto in cui si è sviluppata la tecnologia oggi, direi proprio di no. La spinta commerciale, in atto da anni, ha perfezionato l’offerta di app e strumenti per smartphone e tablet, e li ha resi davvero alla portata di tutti, dai bambini dell’asilo agli ultraottantenni.
Le riporto la mia esperienza diretta: ieri ho fatto attività ambulatoriale in televisita. Ho visto sei pazienti di età compresa tra i 63 e gli 82 anni. Ci siamo collegati attraverso la piattaforma utilizzata dal mio ospedale, nessuno ha avuto problemi tecnici, neanche l’ultraottantenne.
Per quattro di loro la televisita è stata ottimale, più vantaggiosa di una visita in ospedale cioè abbiamo affrontato tutte le tematiche che avremmo affrontato di persona mentre loro erano comodamente a casa senza dover venire in ospedale. Per gli altri due è stata un buon ripiego, a cui siamo ricorsi data l’emergenza COVID: si tratta di un paziente con un problema acuto, un’infezione delle vie urinarie, per cui avrei preferito visitarlo, e un paziente “nuovo”, che il mio team aveva appena preso in carico e che non conoscevamo ancora abbastanza. Per questi ultimi due pazienti, la televisita è stata l’occasione per iniziare a organizzare l’assistenza, anche se poi sono dovuti venire in ambulatorio per fare ulteriori esami.
Quindi lei si aspetta che, passata l’emergenza COVID, la televisita non sostituirà la visita ambulatoriale ma la integrerà?
Sì, penso che a questo punto saranno i pazienti stessi a fare pressioni per averla. Ne hanno sperimentato i vantaggi, di cui il principale è la maggiore possibilità di rimanere in contatto con gli operatori sanitari. Con la telemedicina è l’ospedale che va a casa del paziente e non il paziente che deve andare in ospedale. Non è solo una questione di accesso, ma un rovesciamento del setting, che facilita l’adozione di un diverso punto di vista e la promozione della salute intesa a 360 gradi. La telemedicina è lo strumento per realizzare quella trasformazione della sanità dove il paziente è davvero al centro e gli operatori sanitari gli ruotano intorno. Una conquista a cui i pazienti non rinunceranno molto facilmente.
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