La teoria dei radicali liberi fu concepita per la prima volta nel 1956 dal medico statunitense Denham Harman: alla luce dei suoi studi, suggerì che delle particolari specie chimiche chiamate radicali liberi, normalmente prodotte durante la respirazione della cellula, sono in grado di causare un danno cumulativo, con conseguente invecchiamento e morte. Il medico notò interessanti parallelismi tra gli effetti dell’invecchiamento e radiazioni ionizzanti (come i raggi X o, in misura minore, i raggi UVA e UVB del sole), tra cui insorgenza di mutazioni nel DNA, cancro e danno cellulare.

Studiando la presenza di specie derivanti dall’ossigeno nei tessuti viventi, Harman ipotizzò che negli esseri viventi avvenga la produzione di radicali liberi in grado di accelerare il processo dell’invecchiamento. Se per qualche decennio questa teoria è rimasta in stasi, man mano le prove scientifiche sugli effetti dei radicali liberi dell’ossigeno all’interno delle cellule si sono accumulate e, verso la fine degli anni Novanta, la teoria biologica dell’invecchiamento da radicali liberi ha preso piede nella medicina, nella biologia e nella gerontologia, rivelando le supposizioni di Harman corrette. 

 

Cosa sono i radicali liberi?

I radicali liberi sono delle specie chimiche altamente reattive che derivano dall’ossigeno; vengono chiamati anche ossidanti. Sono specie definite altamente reattive perché possiedono un elettrone instabile, che è in grado di reagire con i numerosi composti chimici di cui sono formate le strutture biologiche. È ormai fuori dubbio che gli ossidanti siano generati dalle cellule stesse e che possano causare danni significativi: più avanti vedremo meglio in che modo.

All’interno della cellula esistono numerosi siti in cui i radicali liberi vengono generati, ma generalmente i più importanti per il loro effetto sull’invecchiamento sono quelli che derivano dall’attività dei mitocondri. I mitocondri sono degli organelli fondamentali per la vita di una cellula, in quanto sono in grado di generare energia (attraverso il processo biologico della respirazione cellulare) sfruttando proprio l’ossigeno: nella catena di reazioni biochimiche che porta alla sintesi di molecole altamente energetiche, che contempla il trasporto di elettroni, si possono generare anche molecole di ossigeno altamente reattive.

Non tutti gli ossidanti, e non in tutte le misure, generano un danno: alcuni tipi di radicali liberi, come l’ossido nitrico, sono molto utili alla cellula, in quanto capaci di veicolare diversi stimoli e funzionare come messaggeri molecolari. Tuttavia, la quantità di queste specie chimiche è strettamente controllata attraverso meccanismi molto sofisticati, perché la cellula non può permettersi una quantità eccessiva di specie ossidanti. Quando la quantità di radicali liberi supera le capacità della cellula di contrastarli, si instaura una condizione nota come stress ossidativo, che a lungo andare può generare effetti deleteri sull’intero organismo.

 

Cosa colpiscono i radicali liberi

Gli ossidanti, infatti, proprio a causa della loro elevata reattività, possono reagire in maniera indiscriminata con tre delle principali macromolecole che costituiscono una cellula: i lipidi, gli acidi nucleici e le proteine. In particolare:

  • Sui lipidi, componenti strutturali della membrana cellulare, i radicali liberi innescano un processo detto di perossidazione, la cui conseguenza è un’alterazione anche permanente della membrana plasmatica, con un impatto importante sull’integrità della cellula.
  • Sugli acidi nucleici, componenti del DNA e dell’RNA, gli ossidanti possono indurre danni sulle intere molecole. In particolare, l’ossidazione del DNA può portare a mutazioni e può interferire con la normale attività di Dna e proteine.
  • Sulle proteine, sebbene gli effetti siano meno caratterizzati, è emerso che i radicali liberi possono reagire con tutti i componenti degli amminoacidi (le unità strutturali delle proteine), inducendo dei danni anche a queste biomolecole importantissime per la struttura e il corretto funzionamento della cellula.

 

Il meccanismo dietro l’invecchiamento

Si è visto che un aumento del danno ossidativo correlato all’età è presente in tutti gli organismi, che vanno da quelli unicellulari fino all’uomo. Sebbene i livelli e l’entità dell’ossidazione alle varie macromolecole varino tra i diversi tessuti e i diversi organismi, c’è sempre una correlazione con l’avanzamento dell’età: questa associazione è coerente con l’ipotesi dei radicali liberi dell’invecchiamento, secondo cui sono i radicali liberi a causare danni alle macromolecole e questi danni, a loro volta, sono manifestati dalle malattie associate all’invecchiamento (come l’aterosclerosi e il diabete).

Secondo la teoria dei radicali liberi, quindi, l’invecchiamento sarebbe dovuto proprio all’accumulo di danni derivanti dai radicali liberi dell’ossigeno. Dal momento che questi composti si creano a partire dall’attività dei mitocondri per generare energia, secondo questa teoria tanto più i mitocondri lavorano, quanto più l’invecchiamento accelererà il suo decorso. A supporto di questa teoria ci sarebbero studi che correlano fenotipi più invecchiati con accumulo di radicali liberi.

Ma non solo: numerosi esperimenti dimostrano che alcuni stili di vita (come il fumo, o l’assunzione di alcol) generano una produzione maggiore di queste specie reattive, con conseguenze sull’invecchiamento. Un esempio di questo sono gli esperimenti condotti sulla restrizione calorica: minor cibo assunto, infatti, vuol dire meno energia a disposizione delle cellule, e meno radicali liberi prodotti. Diversi studi, condotti soprattutto su roditori, dimostrano che gli animali sottoposti a restrizione calorica (messi a dieta, in parole povere) erano più longevi dei loro compagni, che potevano mangiare liberamente. Ulteriori prove che conferiscono spessore alla teoria dei radicali liberi sono quelle relative a mutazioni nel sistema antiossidante (quei meccanismi cellulari che servono ad “assorbire” i radicali liberi e a evitare che si accumulino). Spesso, infatti, negli animali da laboratorio, queste mutazioni provocano una maggiore mortalità o una riduzione della durata della vita.

Fonti:

BECKMAN, K. B., & AMES, B. N. (1998). The Free Radical Theory of Aging Matures. Physiological Reviews, 78(2), 547–581. doi:10.1152/physrev.1998.78.2.547 

Paola S. Timiras, Physiological Basis of Aging and Geriatrics – Fourth Edition Informa Healthcare, 2017


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