Perché una rubrica sulle teorie dell’invecchiamento?
Perché viviamo così a lungo anche dopo l’età fertile? Perché alcuni 90enni hanno le capacità cognitive di un 40enne mentre altri mostrano deficit cognitivi precoci? Perché alcuni anziani riescono ad avere una vita emotivamente serena, pur avendo vissuto tante perdite nel corso della loro esistenza? Perché alcune culture e Paesi nel mondo si prendono cura degli anziani come comunità, mentre altri demandano cure e assistenza alle risorse dell’individuo?
Sono solo alcuni degli interrogativi che il fenomeno dell’invecchiamento ci pone. Potremmo riportarli tutti a una domanda di fondo: come e perché invecchiamo?
A questa domanda, da sempre, gli esseri umani hanno cercato di dare delle risposte, prima con l’arte, il mito, la letteratura e la filosofia, poi anche con la scienza.
La scienza moderna si occupa di invecchiamento da meno di un secolo. In questo breve lasso di tempo sono state raccolte un’enorme quantità di conoscenze empiriche, tanto che in passato quello dell’Aging era considerato un campo di ricerca ricco di dati, ma povero di teorie: in verità l’interesse per le teorie dell’invecchiamento ha seguito un flusso ondivago negli ultimi 50 anni, ma la recente esplosione del fenomeno dei Big Data rischia di riportarci a una situazione di eccessiva attenzione ai dati e di scarsa elaborazione teorica.
Che cosa è una teoria?
Costruire teorie
Spiegare che cos’è e a cosa serve una teoria richiede un approfondimento dedicato. In questa introduzione ci limiteremo a far notare che i dati non sono auto-esplicativi, e costruire un sapere rilevante per la comunità scientifica senza teorie è praticamente impossibile. Sviluppare una teoria significa, infatti, tentare di sviluppare un sistema coerente di idee che permettano di spiegare e comprendere un insieme di dati empirici.
Le teorie sono come delle lenti che filtrano l’oggetto di indagine e ci permettono di interpretare le successive osservazioni accumulate, rilevandone possibilità di integrazioni, vuoti da colmare o incoerenze.
Bisogna tenere conto che le teorie sono un costrutto intellettuale, calato in un contesto storico particolare e vanno intese non tanto come punti fermi ma più come processi – forse il più umano dei processi mentali – qualcosa che si fa e che è sempre rivedibile.
Sono teorie dell’invecchiamento in biologia quelle della senescenza cellulare, dello stress ossidativo, la spiegazione in chiave evolutiva dell’invecchiamento o quella dell’invecchiamento programmato. In psicologia possiamo fare gli esempi della teoria della selettività socio-emotiva o della plasticità cognitiva.
L’importanza di conoscere le teorie dell’invecchiamento risiede in particolare nella necessità di esplicitare eventuali teorie implicite, che possono guidare le domande di ricerca e i parametri e le variabili da misurare, in maniera inconsapevole.
Perché teorie e non una teoria dell’invecchiamento?
Il termine Aging porta con sé una varietà di concetti che rimandano al passare del tempo, al cambiamento individuale inteso come evoluzione, crescita, maturazione, ma anche decadimento e finitudine. Gli approcci disciplinari e metodologici con cui si possano indagare questi singoli aspetti sono molti, e non sempre facilmente intrecciabili.
Per questo motivo, studiosi dell’argomento – di fronte all’attuale impossibilità di giungere alla formulazione di un’unica teoria dell’invecchiamento – promuovono lo sviluppo di diverse teorie secondo ambiti disciplinari, delimitando ogni volta il campo di osservazione.
L’invecchiamento è un fenomeno multidimensionale, in cui aspetti biologici, psicologici e sociali si stanno rivelando sempre più interrelati: lo sviluppo di studi longitudinali e di analisi di coorte stanno offrendo al mondo della ricerca scientifica la sfida per sviluppare teorie che rendano conto di queste molteplici dimensioni e allo stesso tempo dell’eterogeneità individuale delle traiettorie di vita.
Lo stato dell’arte degli studi sull’Aging presenta un carattere magmatico di cui dobbiamo tener conto e che ci invita a un confronto non solo multidisciplinare, ma anche interdisciplinare o transdisciplinare, molto stimolante.
Una rubrica sulle teorie dell’invecchiamento
Dal momento che uno dei pilastri dell’Aging Project UPO è proprio quello dell’interdisciplinarità, vogliamo prestare un occhio di riguardo ai punti di contatto tra le teorie e sulle criticità nell’integrazione tra saperi e paradigmi, talvolta distanti.
Con questa rubrica vogliamo inaugurare una rassegna critica delle principali teorie dell’invecchiamento, cercando di fornire una cornice concettuale ampia per comprendere il quadro della ricerca sull’Aging nelle diverse discipline, le cui soglie – con spirito audace e curioso – intendiamo fermamente varcare, senza rimanere sui bordi che le delimitano.
Le teorie dell’invecchiamento saranno presentate attraverso delle schede sintetiche, suddivise in base alla disciplina, mentre attraverso interviste a ricercatori ed esperti ne approfondiremo le sfaccettature, presenteremo domande e criticità in un’ottica interdisciplinare.
Cercheremo inoltre di esplicitare il significato di alcuni concetti critici per la ricerca sull’Aging che talvolta sono dati per scontati all’interno delle diverse discipline, appartengono a linguaggi specialistici o non vengono problematizzati, tanto che possono creare delle incomprensioni nell’interazione e nel dialogo interdisciplinare. Ci domanderemo per esempio che cosa significa età o salute, che differenza c’è tra multidisciplinarità e interdisciplinarità, e come detto, che cos’è una teoria.
Pronti a cominciare?
Bibliografia
- Vern L. Bengtson, Daphna Gans, Norella Putney (a cura di), Handbook of Theories of Aging (Springer Publishing Co., New York, 2016)
- Geoffry Scarre (a cura di), The Palgrave Handbook of Philosophy of Ageing, (Springer Publishing Co., New York, 2016)
- Malcom J. Johnson (a cura di), The Cambridge Handbook of Age and Ageing (Cambridge University Press, New York 2005)
- I. Lakatos, A. Musgrave (a cura di), Criticism and the Growth of Knowledge (Cambridge University Press, New York 1970).