La teoria dell’attività, elaborata negli anni Sessanta dal gerontologo  Robert J. Havighurst, è una delle principali teorie socio-psicologiche dell’invecchiamento. In antitesi con la teoria del disimpegno, la teoria dell’attività sostiene che l’anziano che, il più a lungo possibile, resta socialmente attivo e impegnato ha maggiori probabilità di avere un invecchiamento di successo.

Si tratta di una teoria dell’equilibrio o omeostatica: evidenzia l’idea che un individuo dovrebbe mantenere il livello di attività raggiunto nella mezza età e cercare di conservarlo il più a lungo possibile o con minimi adattamenti verso il basso.

La teoria dell’attività presuppone una correlazione positiva tra attività, felicità e soddisfazione nella vita: l’anziano che si mantiene attivo anche in tarda età compensa la perdita di alcuni ruoli sociali (per esempio, la perdita del lavoro a causa del pensionamento) con altre attività ricche di valore e significato (per esempio, fare il nonno), che gli permettono di contrastare la pressione sociale verso l’isolamento o la riduzione del proprio spazio di vita.

Critiche alla teoria dell’attività

Le principali critiche alla teoria dell’attività riguardano la pretesa di universalità: numerosi studi sperimentali hanno documentato l’estrema variabilità individuale (personalità, stili di vita), socio-economica e di genere, nel valutare che cosa rende la vecchiaia soddisfacente. Sia il modello dell’attività sia quello del disimpegno sono pattern esistenti nella popolazione, nessuno dei due può rappresentare una norma universalmente valida.
Inoltre, questa prospettiva funzionalista sottovaluta le diseguaglianze socio-economiche o lo stato di salute che potrebbero limitare la capacità di impegnarsi da parte dell’anziano.

Rilevanza storica: l’invecchiamento di successo

Il principale merito della teoria dell’attività è stato quello di aver sottolineato gli aspetti positivi e produttivi dell’invecchiare al di là delle narrazioni prevalenti di disabilità, declino e fragilità, aprendo la strada a quello che oggi chiamiamo “active aging”.
Havighurst è stato anche il primo a utilizzare esplicitamente il concetto di “invecchiamento di successo” (successfull aging): anche se la storia della letteratura ci ha tramandato numerosi trattati su come invecchiare bene (per esempio il De Senectute di Cicerone), il merito di questo gerontologo è stato quello di proporne una definizione operativa che potesse essere testata empiricamente. In particolare propone 4 definizioni:

  • un modo di vivere che è socialmente desiderabile per questa fascia d’età/che è considerato dalla società come appropriato per le persone anziane;
  • il mantenimento dell’attività della mezza età;
  • un sentimento di soddisfazione per il proprio stato e le proprie attività attuali
  • una sensazione di felicità e soddisfazione per la vita.

La teoria dell’attività come invecchiamento di successo di Havinghurst rappresenta una fondamentale premessa alle moderne teorie dell’invecchiamento di successo, con alcune differenze: mentre oggi l’invecchiamento di successo è orientato principalmente a proporre uno stile di vita sano (alimentazione sana, attività fisica, prevenzione delle malattie), nelle definizioni di Havighurst appare evidente il ruolo della componente soggettiva – la realizzazione personale, la soddisfazione – e sociale.

A cura di Francesca Memini

 

Bibliografia


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