Riferimento bibliografico

M.R. Irwin, C. Carrillo, N. Sadeghi, M. F. Bjurstrom, E.C. Breen, R. Olmestead, Prevention of incident and recurrent major depression in older adults with insomnia. A randomized clinical trial. Jama Psychiatry, 2022, 79(1), pp. 33-41.

In sintesi

Lo studio mette a confronto due terapie non farmacologiche per il trattamento dell’insonnia negli anziani e ne misura l’efficacia nella prevenzione di insorgenze e ricadute in stati depressivi: la terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia si è rivelata più efficace rispetto alla terapia dell’educazione al sonno.

Contesto e punti di partenza

La depressione in tarda età è una patologia tanto trascurata quanto insidiosa. Rappresenta un rischio significativo di declino cognitivo, disabilità, comorbidità, nonché – in una percentuale non trascurabile soprattutto negli uomini – di suicidio. Per questo motivo – raccomandano gli autori dell’articolo, e noi con loro – è quanto mai urgente intraprendere una effettiva prevenzione della depressione. E un modo per intervenire è quello di non trascurare un campanello di allarme molto indicativo: l’insonnia.

Fortemente correlata all’insorgere di stati depressivi o a cicliche ricadute, l’insonnia è frequentissima tra gli anziani. Negli USA, il 50% degli ultrasessantenni ne è affetto, stando a quel che rileva un’indagine americana sui disturbi del sonno, risalente al 2004.

Di solito l’insonnia si tratta con farmaci. Diffuso è il pregiudizio per cui l’assunzione di una pasticca prima di andare a dormire sia il metodo più rapido, efficace e meno costoso, ma non di rado gli effetti collaterali sono più fastidiosi dei risultati ottenuti, senza contare la dipendenza che si viene a creare, soprattutto nei casi cronicizzati, che sono anche quelli più a rischio. Al contrario, sono proprio i trattamenti non farmacologici ad aver mostrato un maggior successo su una remissione a lungo termine. Due sono i più diffusi: la terapia dell’educazione al sonno (Sleep education therapy, SET), che insiste sui fattori ambientali e comportamentali che influenzano l’alterazione del sonno; e la terapia cognitivo comportamentale per l’insonnia (CBT-I), che combina terapia cognitiva, controllo degli stimoli, limitazione del sonno, rilassamento.

L’esperimento

Lo studio ha inteso mettere a confronto i due trattamenti non farmacologici, la SET e la CBT-I per verificare se entrambi, e chi meglio dei due, riuscisse a prevenire manifestazioni di disturbi depressivi in anziani con età media di 70 anni. Per far ciò l’esperimento è durato 3 anni, dato che, a seguito della somministrazione del trattamento della durata di pochi mesi, vi è stata una lunga fase di follow-up. Il campione, comprendente 291 soggetti residenti in Californa, di cui 168 donne, era multirazziale e multietnico, anche se in prevalenza composto da bianchi non ispanici, e vario sotto il punto di vista di condizioni biografiche (famigliari e lavorative) e di salute pregressi (storia depressiva e uso di psicofarmaci antidpressivi). Condizione importante per la selezione dei partecipanti era non aver avuto episodi conclamati di depressione maggiore (secondo i parametri del DSM-IV e DSM-5) nei 12 mesi precedenti l’inizio dell’esperimento.

Risultati

Suddivisi in due macro gruppi a seconda del tipo di trattamento, CBT-I e SET, l’89,7% dei partecipanti al primo gruppo è riuscito a completare il trattamento CBT-I, mentre nel secondo gruppo a portare a termine tutte le sedute di SET è stato il il 96,3%. La proporzione di partecipanti che ha ottenuto la remissione duratura del disturbo di insonnia dopo il trattamento è stata significativamente maggiore nel gruppo trattato con la CBT-I (50,7%) rispetto al gruppo trattato con SET (37,7%).

Limiti dello studio

I possibili limiti dello studio sono di due tipi. Il primo è riconducibile alla durata dell’esperimento che inizialmente era di 24 mesi e poi aumentata, in corso d’opera, a 36 mesi. Ciò ha sicuramente rappresentato un’opportunità, ma anche una complicazione nell’osservazione dell’efficacia dei trattamenti. La seconda limitazione sta nella tipologia dei sottogruppi, visto l’andamento epidemiologico diverso della depressione tra genere e caratteristiche razziali del campione.

Prospettive future

Il risultato è, a conti fatti, molto incoraggiante e invita una riflessione importante sulla tipologia di primo trattamento in caso di insonnia persistente e cronica: la CBT-I si conferma essere la terapia psicologica più efficace con buone possibilità di prevenire disturbi più gravi quali la depressione, appunto, e in generale una condizione psico-fisica compromessa a causa dello stato infiammatorio, che sempre i disturbi del sonno possono causare. Infatti, altri studi mettono in relazione insonnia, attivazione infiammatoria e insorgenza di sintomi depressivi.

Intervenire sull’insonnia, quindi, gioverebbe a cascata su una serie di sintomatologie.

Altro vantaggio della terapia cognitiva applicata all’insonnia è che essa mostra lo stesso livello di efficacia sia se somministrata in presenza, faccia-a-faccia con il terapista, sia a distanza in modalità di teleassistenza. A mostrarlo è uno studio risalente al 2020 su un campione di 65 partecipanti affetti da insonnia trattati per 6 settimane con CBT-I a distanza e tre mesi di follow-up.

a cura di Emiliano Loria

 

Fonti

  1. Foley et al. (2004), Sleep disturbances and chronic disease in older adults: results of the 2003 National Sleep Foundation Sleep in America Survey, Journal of Psychosomatic Research, 56(5): 497-502.

J.T. Arnedt et al. (2021), Telemedicine versus face-to-face delivery of cognitive behavioral therapy for insomnia: a randomized controlled noninferiority trial, Sleep, n. 44(1): 1-11.

G.M. Slavich, M.R. Irwin (2014), From stress to inflammation and major depressive disorder: a social signal transduction theory of depression, Psychological Bullettin, 140(3): 774-815.

 

 


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