Riferimento bibliografico

Lee SL, Pearce E, Ajnakina O, et al. The association between loneliness and depressive symptoms among adults aged 50 years and older: a 12-year population-based cohort study. Lancet Psychiatry 2021;8:1. doi.org/10.1136/bmj.n2524

In sintesi

Da sempre la solitudine rientra nelle classificazioni tra i fattori di rischio per lo sviluppo di episodi depressivi; tuttavia, la maggior parte degli studi che esaminano la relazione tra solitudine e depressione sono stati finora inconcludenti. Questo studio longitudinale documenta per la prima volta la correlazione tra solitudine e depressione sul lungo periodo, valutandone anche l’andamento attraverso follow up biennali. Lo studio, escludendo possibili fattori confondenti, ha mostrato che dopo aver sperimentato la solitudine, il rischio di depressione persiste fino a 12 anni.

Il contesto e il punto di partenza

Negli ultimi due anni, con l’avvento della pandemia da Sars-Cov-2, è stata messa a nudo una delle nostre più ataviche paure: la solitudine. In un’epoca già contraddistinta dalla sempre meno frequente socializzazione “old fashion”, sostituita dai mezzi tecnologici più vari (social media, chat video-call etc…), siamo stati improvvisamente catapultati in una condizione di deprivazione affettiva senza precedenti, fatta di mascherine e distanziamento sociale, dove anche le relazioni più elementari e scontate tra membri di una stessa famiglia sono venute meno. Proprio in virtù di questa situazione, che ha coinvolto la quasi totalità della popolazione mondiale, è ancora più opportuno riflettere su quanto importanti siano i rapporti umani e su quanto incidano sul nostro tono timico, in particolare nei più anziani, nei quali i sintomi depressivi vengono spesso misconosciuti e confusi con quadri di deterioramento cognitivo.

Caratteristiche dello studio

Lo studio condotto da Lee SL et al. valuta l’associazione tra isolamento sociale/solitudine e sintomi depressivi, in particolar modo nella fascia di età superiore a 50 anni. Per fare ciò sono state prese in esame 4.211 persone incluse nell’English Longitudinal Study of Ageing (ELSA) uno studio longitudinale che raccoglie dati multidisciplinari da un campione rappresentativo della popolazione inglese di età pari o superiore a 50 anni. Circa il 66% di questo campione era composto da disoccupati o pensionati. I partecipanti selezionati hanno risposto ad alcune domande, poste ogni 2 anni per un tempo totale di 12 anni, riguardanti condizioni ritenute correlate con la depressione, quali la mancanza di compagnia, il sentirsi esclusi e isolati; su tali risposte è stata poi redatta una “scala di solitudine” con punteggio fino a 7, con i risultati che sono stati poi adeguati per tenere conto di vari fattori quali età, sesso, stato civile, mobilità, istruzione e ricchezza.

Principali risultati

Dallo studio è emerso che più alto è il punteggio di solitudine, più gravi sono i sintomi della depressione; non solo, ad ogni aumento di un punto della scala di solitudine corrisponde un incremento del 16% del punteggio medio di gravità dei sintomi depressivi, con un paziente su 5 che sperimenta depressione dopo un anno; inoltre, tra le persone con punteggi di solitudine maggiori si è assistito a un incremento dei sintomi depressivi nel tempo, con l’instaurarsi di quadri depressivi.

Limiti dello studio

Tuttavia, il fatto che tutti i partecipanti presi in esame fossero di razza caucasica e britannici è da considerare un limite importante, vista la scarsa rappresentatività del campione rispetto alla popolazione mondiale.

Quali le novità

Questo è il primo grande studio a lungo termine per indagare il legame tra solitudine e depressione nelle persone di età pari o superiore a 50 anni. I ricercatori già all’inizio dello studio hanno tenuto conto sia della depressione sia della solitudine, in modo tale da escludere che la prima potesse essere la causa della seconda, piuttosto che il contrario. È stato così possibile affermare con sufficiente sicurezza che il primum movens è rappresentato dalla solitudine.
Il fulcro dello studio, infatti, riguarda la scoperta dell’associazione tra solitudine (percepita) e l’aumento del rischio di depressione futura, indipendentemente da altre esperienze sociali correlate. Dopo aver sperimentato la solitudine, il rischio di depressione persiste fino a 12 anni.

Quali le prospettive

I risultati di questo studio portano con sé importanti elementi sui quali lavorare per il futuro, aprendo nuove strade non solo in termini di cura, ma soprattutto di profilassi della depressione; infatti, a differenza di altri fattori di rischio dinamicamente più complessi quali la predisposizione genetica, lo stato socioeconomico e altri fattori ambientali, la solitudine potrebbe essere prevenuta attraverso vari interventi terapeutici, come ad esempio terapie psicologiche mirate sulla solitudine, formazione sulle abilità sociali e psicoeducazione (insegnamento e miglioramento di abilità di problem solving ed altre forme di coping). Altrettanto importante, ovviamente, sarà una maggior partecipazione al problema da parte della popolazione generale, attraverso campagne di sensibilizzazione.

A cura di Marco Romero

 


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