Riferimento Bibliografico

 

Saez-Atienzar, S., Masliah, E. Cellular senescence and Alzheimer disease: the egg and the chicken scenario. Nat Rev Neurosci 21, 433–444 (2020). https://doi.org/10.1038/s41583-020-0325-z

 

In sintesi

In questa review della letteratura scientifica viene sottolineato lo stretto legame tra invecchiamento, senescenza cellulare e neurodegenerazione: in particolare gli autori evidenziano la correlazione tra senescenza e malattia di Alzheimer. La senescenza cellulare avrebbe un ruolo nella progressione della malattia di Alzheimer sia attraverso meccanismi che dipendono dall’accumulo patologico di proteine sia con altri meccanismi che coinvolgono la predisposizione genetica e la perdita di mielina nel cervello che avviene con l’invecchiamento. Nonostante queste prove, è ancora dibattuto se la senescenza cellulare sia la causa o piuttosto la conseguenza della neurodegenerazione: questa relazione deve essere indagata maggiormente, soprattutto perché le terapie a base di senolitici (farmaci che eliminano selettivamente le cellule senescenti), sulla base dei dati preclinici, sono molto promettenti. Le cellule senescenti, infatti, potrebbero essere un target per la prevenzione e il trattamento della malattia di Alzheimer e di altre demenze a essa correlate.

 

Il contesto e il punto di partenza

L’invecchiamento è il principale fattore di rischio per le malattie neurodegenerative legate alla demenza, come la malattia di Alzheimer. La senescenza cellulare è considerata uno dei segni distintivi dell’invecchiamento: si tratta di un processo dinamico e multistadio in cui le cellule cessano di replicarsi in maniera permanente. A partire dallo stadio più precoce, e in modo particolare nella tarda senescenza, le cellule acquisiscono un particolare fenotipo detto SASP, in cui vengono prodotte molecole pro-infiammatorie: queste hanno un’azione sia autocrina che paracrina, inducendo anche le cellule vicine a entrare in senescenza. Il segnale SASP ha anche il compito di reclutare il sistema immunitario per rimuovere le cellule senescenti, ma, con l’invecchiamento e in presenza di stress, questo meccanismo non funziona bene: ciò porta a un accumulo di cellule senescenti e a uno stato infiammatorio cronico. Invecchiando, la senescenza è un processo inevitabile, conseguenza dell’accumulo di danni e stress a livello cellulare durante tutta la vita di un individuo: cellule senescenti sono state trovate nei tessuti di individui anziani e anche di individui affetti da sindromi di invecchiamento precoce. Inoltre, diversi studi sugli animali suggeriscono che la senescenza cellulare possa guidare l’invecchiamento, e sempre più prove sottolineano il ruolo chiave della senescenza cellulare nella neurodegenerazione.
Scopo del lavoro era una revisione della letteratura per trovare potenziali meccanismi che potessero chiarire la funzione della senescenza nella progressione delle malattie neurodegenerative.

 

I risultati ottenuti

Nelle cellule cerebrali delle persone affette da malattia di Alzheimer sono stati trovati numerosi regolatori del ciclo cellulare e marker della senescenza, tra cui CDK4, il suo inibitore p16 e la beta galattosidasi. Gli autori dello studio propongono due tipi di meccanismi grazie ai quali la senescenza giocherebbe un ruolo fondamentale: uno di questi dipende dall’accumulo di proteine tipico della malattia (gli ammassi neurofibrillari della proteina tau iperfosforilata, intracellulari, e la formazione di placche di beta amiloide, extracellulari), mentre l’altro comprenderebbe processi che sono indipendenti dall’accumulo proteico.

Ci sono prove secondo cui l’accumulo di proteine indurrebbe una tossicità nelle cellule del cervello tale da farle entrare in senescenza:

• in vitro, la deposizione di fibre di beta amiloide fa entrare astrociti e cellule della microglia, sia umani sia murini, in senescenza; inoltre un recente studio ha dimostrato che l’accumulo di beta amiloide induce la senescenza in un altro tipo di cellule cerebrali, i progenitori degli oligodendrociti;

• la formazione degli ammassi neurofibrillari genera modificazioni metaboliche, cambiamenti nell’espressione genica e induzione al danno da DNA altamente correlate con la senescenza (in neuroni umani e murini); l’accumulo della proteina tau indurrebbe il neurone a entrare in senescenza in risposta allo stress, probabilmente agendo sui geni Cdk1a e Cdk2a. Questi però sono gli stessi geni che stimolano il fenotipo SASP, provocando uno stato infiammatorio che peggiorerebbe la neurodegenerazione.

D’altra parte, alcuni studi evidenziano anche che cellule cerebrali senescenti possono indurre l’accumulo proteico tossico, con conseguente infiammazione e neurodegenerazione. Questo suggerirebbe che la senescenza giochi un ruolo nell’iniziare e nel far progredire la patologia:

• in modelli di topo di malattie neurodegenerative, eliminando gli astrociti e le cellule della microglia entrate in senescenza, si ha una diminuzione degli ammassi neurofibrillari, con conseguente miglioramento nel declino cognitivo;

• topi transgenici, portati ad accumulare la proteina precursore amiloide, e che quindi manifestano i sintomi precoci dell’Alzheimer, trattati con dasatinib e quercetina (farmaci senolitici approvati dall’FDA, che eliminano le cellule senescenti), hanno riportato una riduzione delle placche amiloidi e un miglioramento nella memoria e apprendimento, rispetto al controllo;

• in diverse analisi post-mortem di cervelli di pazienti con malattie neurodegenerative, sono state trovate cellule della microglia senescenti anche in aree del cervello in cui era previsto si sviluppasse l’accumulo di proteine tossico, ma non si fosse ancora verificato, suggerendo che la senescenza cellulare precedesse questo evento.

Oltre a queste prove, gli autori dello studio propongono meccanismi, indipendenti dall’aggregazione di proteina tau e di beta amiloide, che possono contribuire all’accumulo di cellule senescenti nella malattia di Alzheimer:

• grazie a studi di associazione genome-wide, è stato trovato che pazienti con malattia di Alzheimer possiedono un rischio genetico associato a varianti di geni noti per essere coinvolti nella senescenza cellulare. Gli individui più a rischio di sviluppare Alzheimer, quindi, sarebbero gli stessi più suscettibili all’attivazione della senescenza cellulare, e alla conseguente infiammazione;

• studi di risonanza magnetica funzionale hanno evidenziato che, con l’età, la quantità di mielina nel cervello diminuisce; per questo, la perdita di mielina è stata associata all’insorgenza di malattie neurodegenerative. La quantità di questa sostanza è data dall’equilibrio dell’attività degli oligodendrociti (che la producono) e della microglia (che si occupa di eliminare i detriti cellulari). L’eccesso di detriti di mielina, normale con l’invecchiamento, indurrebbe le cellule della microglia a entrare in senescenza, generando uno stato infiammatorio che porta a un danneggiamento di tutte le cellule del cervello.

 

Limiti dello studio

Nonostante la review presenti molte prove, effettivamente non è stato chiarito se la senescenza cellulare possa essere causa o conseguenza della malattia di Alzheimer. Inoltre, dal momento che diversi studi riportati sono modelli animali di invecchiamento precoce, la cui condizione è fonte di stress per l’organismo in generale, le conclusioni tratte sulla senescenza cellulare potrebbero essere messe in discussione.

In più, nello studio compare un paragrafo dedicato ai senolitici, farmaci che eliminano le cellule senescenti attualmente in fase di sperimentazione clinica, come terapia promettente per il prevenire, ritardare o curare i sintomi delle demenze. Tuttavia, utilizzare questi farmaci potrebbe portare a effetti avversi sconosciuti, in quanto la senescenza è un processo naturale, e meccanismi importanti per l’organismo, come la riparazione dei tessuti danneggiati, potrebbero essere compromessi.

Quali le prospettive

Il prossimo passo, per far luce sul tipo di relazione causale che c’è tra senescenza cellulare e malattia di Alzheimer, sarà quello di trovare geni della senescenza cellulare nei loci associati alla malattia. Un approccio potrebbe essere quello di valutare, attraverso studi genome-wide, come le varianti di questi geni possano influire nei diversi esiti della malattia. Inoltre, studi di genetica funzionale potrebbero chiarire se la senescenza cellulare sia una causa o piuttosto una conseguenza della neurodegenerazione.

 

A cura di Chiara Di Lucente


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