Riferimenti bibliografici

In sintesi

Il Prostate Testing for Cancer and Treatment (ProtecT) trial è uno studio randomizzato, prospettico e multicentrico che ha definito l’attuale linea di gestione del carcinoma prostatico localizzato a rischio basso/intermedio, portando alla luce l’importanza del concetto di sorveglianza attiva e promuovendo un approccio conservativo/attendista rispetto al più tradizionale approccio chirurgico radicale. Dallo studio su 1.643 pazienti è emerso infatti che, dopo 15 anni di follow-up, non si sono registrate sostanziali differenze nella sopravvivenza al tumore alla prostata tra i pazienti che avevano subito una prostatectomia, quelli sui quali era stata praticata una radioterapia e quelli che erano stati sottoposti a sorveglianza attiva.

Il contesto e il punto di partenza

È ben noto come il carcinoma della prostata sia il tumore più diffuso nella popolazione maschile: rappresenta circa il 18% di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo, con 36.074 nuovi casi all’anno (dati aggiornati al 2020). Nonostante l’alta incidenza, però, è anche risaputo come spesso si parli di un tumore poco aggressivo e con un ottimo tasso di sopravvivenza. Esistono molteplici approcci alla gestione di questa patologia, che spaziano dalla vigile attesa, o sorveglianza attiva, fino a trattamenti chirurgici demolitivi. Ma quale è la scelta migliore? È sempre giusto intervenire attivamente? Le risposte a queste domande possono essere molto complesse, perché dipendono da numerosi fattori associati al paziente e alla malattia. Un dato è certo: non sempre rimuovere chirurgicamente la prostata è la scelta più corretta.

Le caratteristiche dello studio

Lo studio ProtecT è uno studio randomizzato di fase 3, prospettico, multicentrico, pubblicato per la prima volta sul New England Journal of Medicine nel 2016; nel contesto di questo studio, svolto tra il 1999 e il 2008, 82.429 uomini tra i 50 e i 69 anni si sono sottoposti ad un dosaggio del PSA; di questi, 2.664 hanno ricevuto la diagnosi di tumore localizzato della prostata; 1.643 dei partecipanti che avevano ricevuto la diagnosi di tumore sono stati randomizzati in tre bracci di studio per valutare l’efficacia relativa dei tre differenti approcci terapeutici disponibili: prostatectomia radicale, radioterapia o sorveglianza attiva. I risultati sono stati valutati in termini di sopravvivenza al tumore della prostata (Prostate Cancer Survival) (outcome primario), morte per qualsiasi causa (death from any cause), diffusione metastatica (metastatic disease), terapia di deprivazione androgenica (androgen deprivation therapy), progressione clinica (clinical progression) (outcome secondari).

I risultati ottenuti

Dopo un follow-up di 15 anni, i dati dello studio mostrano una sopravvivenza relativa al tumore della prostata del 97.2%, senza forti differenze tra i tre gruppi. La morte associata ad altri fattori (principalmente cardiovascolari) si è verificata in 356 pazienti, senza differenze tra i tre bracci di studio. L’incidenza di metastasi (principalmente linfonodali) è stata del 9.4% nel gruppo della sorveglianza attiva, e di circa la metà negli altri gruppi. Tra i pazienti sottoposti a sorveglianza attiva segni di progressione locale di malattia sono stati osservati nel 12.7% dei casi (contro il  2.7% e 3.1% rispettivamente dei gruppi sottoposti a prostatectomia e radioterapia). Alla fine del periodo di osservazione, inoltre, il 61% dei pazienti che erano stati arruolati nel braccio della sorveglianza attiva erano stati sottoposti a prostatectomia o radioterapia.

Limiti dello studio

Questo studio ha numerose limitazioni: durante la fase di reclutamento non erano disponibili tecnologie quali la risonanza magnetica prostatica multiparametrica, o la PET-PSMA (fondamentali per la diagnosi e la stadiazione del tumore prostatico oggi) e le biopsie non utilizzavano la tecnologia della fusione d’immagine (oggi considerato il gold-standard). È ragionevole pensare che la stragrande maggioranza dei pazienti dello studio ProtecT verrebbe oggi considerata candidabile alla sorveglianza attiva e il maggior numero di metastasi osservate in questo gruppo sarebbe sensibilmente ridotto con l’ausilio delle moderne tecnologie.

Quali le novità

Lo studio ha valutato la mortalità associata al tumore della prostata differenziandola tra pazienti trattati radicalmente e pazienti sorvegliati, in un quadro di malattia locale a rischio basso/intermedio. Il dato più interessante è che se da un lato le evidenze dimostrano una maggiore progressione e un’incidenza superiore di metastasi nei pazienti sottoposti a sorveglianza, dall’altro questo dato non sembra influenzare la sopravvivenza generale.

Quali le prospettive

I risultati dello studio ProtecT evidenziano come spesso l’approccio radicale alla gestione del carcinoma prostatico a basso rischio sia più deleterio che utile: non bisogna infatti dimenticare che sia la prostatectomia radicale sia la radioterapia si associano ad effetti importanti sulla sfera sessuale e sulla continenza urinaria (in alcuni casi anche non reversibili). I dati relativi a metastasi e progressione nella sorveglianza attiva devono essere interpretati alla luce di questa consapevolezza: è davvero necessario sottoporre un paziente ad un trattamento radicale (e ad i suoi effetti collaterali) se ciò non ha un impatto sostanziale sulla sopravvivenza? Fortunatamente, rispetto a quanto avveniva nel 1999, oggi il concetto di sorveglianza attiva è stato sdoganato e sono molti i pazienti (e anche i medici) che accettano di intraprendere questo percorso. Non manca sicuramente anche una componente psicologica: non è raro trovare pazienti che richiedono un intervento chirurgico a causa dell’ansia provocata dall’avere un tumore non trattato, benché (curare l’ansia rimuovendo la prostata possa portare a più di qualche problema).

Nonostante la gestione e la cura del carcinoma prostatico si siano sensibilmente evoluti rispetto agli inizi del 2000, i dati forniti dallo studio ProtecT rimangono di fondamentale importanza per l’urologo, sia per la definizione del corretto iter da proporre al paziente sia per un attento counseling.

 

A cura di Matteo Taurino e Carlotta Palumbo


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