Riferimento bibliografico

Dove A, Shang Y, Xu W, Grande G, Laukka EJ, Fratiglioni L, Marseglia A. The impact of diabetes on cognitive impairment and its progression to dementia. Alzheimers Dement. 2021 Oct 12. doi: 10.1002/alz.12482.

In sintesi

Il diabete di tipo 2 si associa a un aumentato rischio di demenza. Tuttavia, esistono risultati contraddittori sulla relazione tra diabete e la fase prodromica della demenza, così come sul ruolo svolto dal grado di compenso glicemico sull’insorgenza dei disturbi cognitivi. In uno studio longitudinale di popolazione, è emerso che non è il diabete per sé quanto il diabete scarsamente controllato ad aumentare del doppio il rischio di deterioramento cognitivo e del triplo quello di progressione verso la demenza. Inoltre, la coesistenza di diabete e malattia cardiaca appaiono raddoppiare sia il rischio di deterioramento cognitivo che della sua progressione verso la demenza. Al contrario, le stesse condizioni, prese individualmente, non si associano a nessuno dei due esiti clinici. Infine, il rischio di demenza risulta aumentato se il diabete si accompagna a infiammazione sistemica. In assenza di una cura per la demenza, la prevenzione attraverso un attento controllo del diabete risulta dunque indispensabile per la salute a livello cognitivo.

Il contesto e il punto di partenza

Il diabete di tipo 2 e la demenza rappresentano due importanti sfide per la salute pubblica nel contesto di una società che invecchia. Nel mondo, sono 463 milioni gli adulti con diabete e 374 quelli con prediabete. Nel contempo, almeno 50 milioni di persone soffrono di demenza, mentre il deterioramento cognitivo, che rappresenta uno stadio iniziale della demenza e colpisce circa il 20% delle persone dopo i 65 anni, progredisce verso la demenza in un terzo dei casi entro 5 anni. Sebbene esista una ben nota connessione tra diabete e demenza, c’è disaccordo sia sulla possibilità che questa relazione si estenda al deterioramento cognitivo sia sul ruolo svolto dal compenso glicemico sulla progressione verso la demenza. In questo studio longitudinale di popolazione, è stato analizzato l’impatto del diabete e del compenso metabolico sullo sviluppo e progressione del deterioramento cognitivo verso la demenza.

Le caratteristiche dello studio

Si tratta di uno studio condotto dai ricercatori del Karolinska Institutet sui dati raccolti dallo Swedish National Study on Aging and Care-Kungsholmen (SNAC-K) su 2522 ultrasessantenni arruolati fra marzo 2001 e giugno 2004, inizialmente non affetti da demenza (età 72.3±10.0, range 60-102 anni). Questi soggetti sono stati suddivisi al basale in una coorte cognitivamente indenne (1840 casi, 73,0%) e una coorte con deterioramento cognitivo senza demenza (682 casi, 27,0%), e sono stati seguiti per un periodo massimo di 12 anni. Durante il follow-up, è stata monitorata l’incidenza di deterioramento cognitivo e di demenza secondo i criteri rivisti del DSM-IV. Inoltre, a ogni fase dello studio, ai partecipanti è stata somministrata una batteria neuropsicologica comprendente sette compiti che affrontano cinque domini principali, i cui risultati sono stati messi successivamente in relazione a fattori socio-demografici, stili di vita, presenza di prediabete o diabete, grado di compenso glicemico, storia di malattia cardiovascolare (fibrillazione, coronaropatia o scompenso), e presenza di infiammazione sistemica stimata attraverso il dosaggio della proteina C-reattiva (PCR).

I risultati ottenuti

Alle condizioni iniziali, 860 soggetti (34%) presentavano una condizione di prediabete e 217 (8.6%) avevano il diabete. Durante il follow-up (9.2±3.1 anni), 544 partecipanti della coorte cognitivamente indenne (pari al 29,6%) hanno sviluppato deterioramento cognitivo, mentre 151 partecipanti della coorte con deterioramento cognitivo (il 22,1%) hanno sviluppato demenza. L’incidenza di deterioramento cognitivo e di sua progressione verso la demenza è risultata aumentata rispettivamente del doppio e quasi del triplo in presenza di un cattivo compenso glicemico (inteso come livelli di emoglobina glicata maggiori del 7.5%). Al contrario, la presenza di diabete o prediabete non è risultata associata al rischio di deterioramento o demenza. Inoltre, la presenza di diabete e malattia cardiaca ha circa raddoppiato il rischio sia di deterioramento cognitivo che della sua progressione verso la demenza, mentre né il diabete né la malattia cardiaca hanno individualmente aumentato il rischio di entrambi i risultati. Infine, una stratificazione secondo lo stato infiammatorio ha evidenziato che la presenza di diabete e PCR elevata ha triplicato il rischio di progressione del deterioramento cognitivo verso la demenza.

Limiti dello studio

Il diabete è una malattia cronica e eterogenea in termini di evoluzione, risposta terapeutica e impatto delle comorbidità. L’uso dell’emoglobina glicata, che ha una sensibilità diagnostica inferiore rispetto al test di tolleranza al glucosio orale (OGTT), per misurare il compenso glicemico, potrebbe aver generato problemi di classificazione, con conseguente potenziale sottostima delle associazioni presentate. Un secondo elemento mancante è la durata del diabete, un parametro fondamentale in relazione al deterioramento cognitivo, dato che più anni vissuti con il diabete lasciano maggiori opportunità per l’accumulo di danni correlati all’iperglicemia. In terzo luogo, va notato che meno del 9% dei soggetti inclusi era diabetico e che anche la dimensione del campione per le analisi stratificate per livello di malattia cardiaca e PCR è apparsa numericamente limitata, invitando quindi alla cautela sulla valutazione degli esiti relativi a questi eventi. Merita, infine, una riflessione l’epoca in cui lo studio è stato disegnato, caratterizzata dalla tendenza a perseguire target molto rigidi di controllo glicemico che, solo successivamente, hanno evidenziato un maggior rischio di mortalità legato a un controllo troppo rigoroso della glicemia soprattutto in soggetti anziani (studi ACCORD, ADVANCE e VADT). Quindi, alcuni dei soggetti più anziani e con più lunga durata di malattia inclusi nello studio potrebbero essere stati esposti a terapie ipoglicemizzanti più aggressive delle attuali e questo potrebbe aver creato bias di selezione portando a un campione più giovane e relativamente più sano.

Quale la novità

Rispetto ad altri studi che hanno valutato l’impatto del diabete per sé sul deterioramento cognitivo, questo studio ha tenuto conto dell’importanza di un adeguato controllo glicemico dei partecipanti, dello stato di flogosi sistemica e delle malattie cardiovascolari. Attualmente non esiste una cura per la demenza, dunque la prevenzione risulta indispensabile, e questo studio offre come chiave di lettura la necessità di un attento controllo del diabete mellito.

Quali le prospettive

La ricerca futura dovrebbe esplorare come la complessità del diabete influisce sul deterioramento cognitivo nella fase preclinica precoce della demenza, concentrandosi sui meccanismi infiammatori sottostanti. Sarà inoltre dedicata più attenzione al nuovo armamentario terapeutico del diabete. Infatti, i nuovi farmaci hanno dimostrato di promuovere una protezione di tutto l’organismo, che oltrepassa la sola efficacia ipoglicemizzante, e in studi preliminari hanno mostrato esercitare anche effetti sul rischio di deterioramento neurocognitivo.

A cura di Paolo Marzullo

Foto in evidenza: Myriam Zilles su Unsplash


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