Riferimento bibliografico
Terracciano A, Luchetti M, Karakose S, Stephan Y, Sutin AR. Loneliness and Risk of Parkinson Disease. JAMA Neurol. Published online October 02, 2023.
In sintesi
È noto che la solitudine, definita come sentimento soggettivo angosciante che nasce dalla discrepanza tra le relazioni sociali desiderate e quelle percepite, può danneggiare la salute del cervello ed è associata ad un aumento del rischio di malattie psichiatriche e neurodegenerative. Questo studio si è proposto di valutare se la solitudine è associata al rischio di sviluppare malattia di Parkinson e se l’associazione è indipendente da altri fattori di rischio, inclusi fattori socio-demografici, o se è modificata dall’età, dal sesso e dalla vulnerabilità genetica.
Il contesto e il punto di partenza
La solitudine è caratterizzata da un’accresciuta vulnerabilità emotiva, ipervigilanza e pensiero negativo ripetitivo. Oltre al costo emotivo, le persone che si sentono sole tendono ad adottare stili di vita non salutari e hanno profili clinici peggiori. Precedenti meta-analisi hanno rilevato che la solitudine è associata a un aumento del rischio di condizioni neurologiche come il morbo di Alzheimer e la demenza vascolare e frontotemporale. Tuttavia, non ci sono prove longitudinali che dimostrino se gli individui che segnalano la solitudine corrano un rischio maggiore di sviluppare la malattia di Parkinson.
Le caratteristiche dello studio
Si tratta di uno studio prospettico di coorte basato su un totale di 491.603 individui registrati tra il 13 marzo 2006 e il 1 ottobre 2010 presso il Servizio Sanitario Nazionale (NHS) del Regno Unito. I partecipanti avevano un’età compresa tra 38 e 73 anni (età media 56,54 anni): il 54,4% era composto da donne e il 45,6% da uomini. I partecipanti sono stati interrogati circa la solitudine con l’item “Ti senti spesso solo?” e le risposte sono state codificate come 0 per no e 1 per sì. Gli individui che non hanno riferito di sentirsi soli erano 400.417 (81,5%), mentre gli individui che hanno riferito di essere soli erano 91.186 (18,5%). I partecipanti sono stati seguiti per una media di 15,58 anni e i dati riguardanti la diagnosi di Parkinson sono stati ottenuti per la maggior parte dalla Biobank del Regno Unito attraverso i dati dei ricoveri ospedalieri. Una piccola percentuale dei casi è stata accertata dai registri dei decessi. Per questi partecipanti, come data di accertamento, è stata utilizzata la data della morte. Poiché la malattia di Parkinson è più comune negli anziani, dalla valutazione di base sono stati esclusi i pazienti di età inferiore a 50 anni.
I risultati ottenuti
Nel corso dello studio, durato 15,58 anni, 2.822 partecipanti hanno sviluppato malattia di Parkinson; di questi, 2.273 erano appartenenti al gruppo che non ha segnalato solitudine, mentre 549 erano appartenenti al gruppo che ha segnalato solitudine. L’analisi primaria ha indicato che gli individui che hanno riferito di sentirsi soli avevano un rischio più elevato di malattia di Parkinson (Hazard Ratio, HR 1,37), un’associazione che si è mantenuta tenendo conto delle variabili demografiche di base e di altri potenziali fattori di rischio, protettivi, prodromici o confondenti, tra cui isolamento sociale, stato socioeconomico, rischio genetico, fumo, attività fisica, diabete e ipertensione, depressione ed essersi rivolti a uno psichiatra per sintomi di ansia o depressione.
Nelle analisi stratificate in base al tempo di follow up, la solitudine non era associata a incidenza di malattia di Parkinson durante i primi 5 anni dopo il basale (388 su 8780 – 4,4%; HR 1,15; IC al 95%, 1,24-1,50), ma lo era durante i successivi 5-15 anni di follow up (2341 su 481.499 – 0,5%; HR 1,32, IC al 95%, 1,19-1,46).
Limiti dello studio
La solitudine è stata valutata da un singolo elemento, sì o no; questa misura è affidabile e valida, ma rispetto alle scale multi-item, è probabile che la valutazione a item singolo aumenti la varianza dell’errore e sottostimi l’associazione tra solitudine e malattia di Parkinson. Un altro limite è relativo all’uso dei registri dei ricoveri ospedalieri e dei decessi, che probabilmente non rilevano la malattia di Parkinson in fase iniziale, anche in questo caso sottostimandone l’incidenza. Similmente, pazienti a cui sia stata diagnosticata la malattia di Parkinson durante il periodo di follow up e che non siano stati ricoverati, sono stati esclusi erroneamente dalle analisi.
Quale la novità
Si tratta del primo studio che esamina l’associazione tra solitudine e rischio di successiva malattia di Parkinson. Questi risultati completano altre prove che dimostrano come la solitudine sia un determinante psicosociale della salute associato ad un aumento del rischio di morbilità e mortalità e che gli effetti dannosi della solitudine non sono limitati a un singolo percorso eziologico o neuropatologico.
Quali le prospettive
Sarebbe utile esaminare se la solitudine è associata a marcatori di neuropatologia come l’α-sinucleina e la catena leggera del neurofilamento. Ricerche longitudinali potrebbero aiutare inoltre a determinare se ci sono cambiamenti nella solitudine prima e dopo l’esordio della malattia di Parkinson.
A cura di Francesca Maria Caldarone