Riferimento bibliografico
Grabrucker S, Marizzoni M, Silajdžić E, et al. Microbiota from Alzheimer’s patients induce deficits in cognition and hippocampal neurogenesis. Brain. 2023;146(12):4916-4934. doi:10.1093/brain/awad303
In sintesi
Ricerche recenti hanno dimostrato come il microbiota intestinale sia un importante fattore di suscettibilità per la malattia di Alzheimer, osservando che specifiche condizioni di disbiosi sia nei pazienti, sia nei modelli di roditori sono favorenti lo sviluppo di malattia. Nello studio presentato l’attenzione si è focalizzata sia sui pazienti, cercando differenze di microbiota tra questi e i controlli, sia sui roditori, cercando di valutare l’effetto del microbiota dei pazienti se trapiantato in roditori, con risultati di notevole interesse scientifico.
Il contesto e il punto di partenza
La Malattia di Alzheimer (AD) è una complessa malattia neurodegenerativa che porta a un declino progressivo delle funzioni cognitive, in particolare a carico della memoria a breve termine. Le caratteristiche neuropatologiche dell’AD si contraddistinguono per la deposizione extracellulare di placche di β-amiloide (Aβ), accumulo intraneuronale di grovigli neurofibrillari composti da tau iperfosforilata, neuroinfiammazione e morte neuronale. In tutto ciò l’ippocampo gioca un ruolo chiave: questa area cerebrale, infatti, svolge negli individui un ruolo fondamentale nell’apprendimento e nella memoria, ed è particolarmente vulnerabile nell’AD, perché è una delle prime aree del cervello a essere colpita; nell’ippocampo, inoltre, si trova anche una popolazione di cellule staminali neurali in grado di generare nuovi neuroni durante la vita (questo processo prende il nome di neurogenesi). Questa forma di plasticità neurale è un processo chiave per alcune funzioni cognitive, tra cui l’apprendimento e la regolazione delle emozioni.
Recenti ricerche hanno individuato il microbiota intestinale come un importante fattore di suscettibilità per lo sviluppo di numerose malattie, tra cui le malattie neurodegenerative. Nell’AD è stato osservato che alterazioni specifiche nella composizione del microbioma intestinale si ritrovano sia nei modelli animali murini, sia nei pazienti. Tuttavia non è noto se le alterazioni del microbiota intestinale siano causa o conseguenza dei sintomi tipici di AD.
Nello studio in oggetto, per comprendere il ruolo fisiopatologico del microbiota intestinale nell’AD, è stato trapiantato in alcuni roditori il microbiota fecale dei pazienti con AD e quello di controlli sani di pari età; successivamente, sono stati valutati i molteplici effetti risultanti.
Le caratteristiche dello studio
Pazienti con Malattia di Alzheimer (n=69) e cognitivamente sani (n=64) sono stati reclutati presso l’IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli, Brescia, Italia. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a valutazione clinica e neurocognitiva e a un esame obiettivo generale.
Dapprima sono state eseguite sia analisi sul plasma dei pazienti con AD, sia sui controlli sani; successivamente sono stati valutati gli animali in cui è stato trapiantato il microbiota. In particolare, ai roditori è stato somministrato un cocktail antibiotico di ampicillina (1 g/l), vancomicina (500 mg/l), ciprofloxacina HCL (200 mg/l) e imipenem (250 mg/l) per sette settimane; successivamente sono stati colonizzati per tre giorni consecutivi tramite sonda orale con il microbiota del donatore (300 μl di 100 mg/ml di liquame fecale omogeneizzato). Dopo 10 giorni dal trapianto sono incominciati i test neurocognitivi e comportamentali.
I risultati ottenuti
Pazienti. La valutazione dei marcatori plasmatici nei pazienti e nei controlli mostra che l’IL-1β, il marcatore dell’inflammasoma NLRP3 e il fattore inibitorio della migrazione dei macrofagi (MIF) erano significativamente sovraregolati nei pazienti, indicando un aumento globale dell’infiammazione sistemica. Il lipopolisaccaride (LPS) – che è stato precedentemente riscontrato elevato nel siero dei pazienti con Malattia di Alzheimer e pare influenzare l’omeostasi di amiloide, tau e neuroinfiammazione – in questo studio non risulta modificato tra casi e controlli, ma ciò non esclude la possibilità che l’LPS possa comunque influenzare indirettamente il cervello, la neurogenesi e lo stato cognitivo attraverso il rilascio di citochine proinfiammatorie dalle cellule immunitarie circolanti nel plasma; inoltre, la calprotectina fecale, che è stata dimostrata associata all’infiammazione intestinale, era significativamente aumentata nei pazienti con AD rispetto ai soggetti di controllo. Le analisi del microbiota intestinale non hanno rivelato cambiamenti significativi nelle diversità alfa e beta tra i soggetti di controllo e pazienti con AD; tuttavia, a livello di phylum, i pazienti con AD avevano una maggiore abbondanza di Bacteroidetes (proinfiammatori) e una minore abbondanza dei phyla Firmicutes e Verruocomicrobiota (antinfiammatorio). Non si sono osservate differenze di genere né per i marcatori plasmatici, né per la composizione del microbiota.
Dal punto di vista neurocognitivo è stata osservata una correlazione significativa tra il Mini-Mental State Examination (MMSE) e i livelli di Coprococcus (noto batterio protettivo per patologie intestinali, ndr) – indicando una miglior performance cognitiva in pazienti con livelli maggiormente aumentati di batteri protettivi – e una correlazione negativa tra MMSE e i livelli di alcuni batteri patogeni intestinali, come Desulfovibrio e Dialister.
Modelli Animali. Una diminuzione nella diversità alfa è stata osservata in entrambi i gruppi di roditori dopo il trapianto con microbiota umano, indicando globalmente una perdita di batteri (ciò, in prima ipotesi, si può spiegare con un’eccessiva elaborazione del materiale fecale, o con un processo di incompatibilità dell’ospite). In modo interessante, i roditori colonizzati con un modello AD hanno mostrato maggiori alterazioni nei generi microbici rispetto ai topi colonizzati con microbiota da soggetti sani (soprattutto a carico del genere Desulfovibrio che, come detto sopra, è un patogeno intestinale).
Successivamente, per indagare se le alterazioni del microbiota intestinale umano contribuiscono alle alterazioni cognitive-comportamentali dei malati AD, queste sono state valutate nei roditori colonizzati. A breve distanza dal trapianto di microbiota, non sono state osservate alterazioni nei task motori, nell’ansia e nella depressione, a indicare che il microbiota intestinale umano di pazienti AD non ha un effetto specifico sulla modifica a breve termine dei task psicometrici. Tuttavia, in test cognitivi mirati, sono state osservate variazioni nei roditori colonizzati: infatti, i ratti colonizzati con microbiota e Alzheimer sono risultati significativamente più compromessi in test atti a valutare la memoria (con il “modified spontaneous place recognition test”), la memoria spaziale a lungo termine (con il “Morris Water Maze”), e nella memoria di riconoscimento. Queste osservazioni sono state ulteriormente confermate correlando il profilo clinico del donatore umano alle alterazioni comportamentali dei roditori riceventi, con correlazioni lineari tra il grado di compromissione umana e score peggiori ai test.
A livello anatomopatologico, inoltre, è stata valutata la sopravvivenza di nuovi neuroni nel giro dentato (parte di ippocampo situata nella parte più mediale della corteccia cerebrale) a sei settimane dal trapianto, ed è stata osservata una riduzione significativa di cellule nei roditori trapiantati con microbiota AD rispetto a quanto osservato nei roditori trapiantati con quello di controlli sani (ridotta neurogenesi).
Infine, in vitro, è stato osservato che il siero dei pazienti AD riduceva la neurogenesi nei progenitori di cellule ippocampali umane attraverso la riduzione dell’espressione di Ki67, marcatore della capacità proliferativa cellulare.
Limiti dello studio
Il lavoro descritto, seppur preliminare, presenta solidi dati e tratta un argomento, il ruolo del microbiota nelle malattie neurodegenerative, sicuramente interessante e attuale.
Il principale limite attuale riguarda la necessità di studi futuri in grado di convalidare ed espandere i risultati ottenuti, in particolare cercando di dare una spiegazione patofisiologica alla correlazione tra i differenti ceppi microbici e il loro effetto sulla neurogenesi. Sono inoltre necessari studi longitudinali per valutare se queste correlazioni persistono nel tempo e per determinare se hanno un valore predittivo per lo sviluppo o la progressione della Malattia di Alzheimer.
Quali le novità e le prospettive
In conclusione, i risultati di questo studio dimostrano che la colonizzazione di ratti adulti sani e giovani con microbiota intestinale di pazienti con AD induce alterazioni cognitive e comportamentali e neurogeniche tipiche della Malattia di Alzheimer stessa. Nel complesso, i risultati rivelano che alcune alterazioni riscontrate nei soggetti con AD possono essere trasferite a un organismo giovane e sano attraverso il microbiota intestinale, confermando un ruolo causale del microbiota intestinale nella Malattia di Alzheimer. Studi futuri, verosimilmente integrati con tecniche omiche, permetteranno di confermare l’associazione tra microbiota e Alzheimer.
A cura di Fabiola De Marchi