Riferimento bibliografico

Howlett, S.E., Rutenberg, A.D. & Rockwood, K. The degree of frailty as a translational measure of health in aging. Nat Aging 1, 651–665 (2021). https://doi.org/10.1038/s43587-021-00099-3

In sintesi

La fragilità è una condizione sistemica età-correlata, associata a un aumentato rischio di esiti avversi per la salute. Il grado di fragilità condiziona lo sviluppo delle malattie dell’età avanzata e ne modifica l’espressione. I fattori di rischio sono molteplici e vanno da meccanismi molecolari e cellulari a determinanti sociali. Studiare le persone e gli animali che convivono con la condizione di fragilità, includerli negli studi clinici e misurare l’impatto del grado di fragilità sulla loro salute sono modi per comprendere meglio le malattie della vecchiaia e stabilire le migliori pratiche per la cura dei soggetti anziani.

Contesto e punto di partenza

Convenzionalmente, sino al 2014, le malattie correlate all’invecchiamento venivano approcciate separatamente l’una dall’altra, con conseguenti problemi associati alla polifarmacoterapia e al decadimento organico legato alla degenza ospedaliera prolungata. Più recentemente la geroscienza ha deciso di muoversi verso un approccio sistemico alle malattie dell’anziano, spinta dall’eterogeneità nei tassi di invecchiamento: a parità di età cronologica, il rischio di morte non è uguale per tutti. Proprio questa eterogeneità ha motivato l’introduzione del concetto di fragilità: la fragilità non è una malattia, ma una condizione multifattoriale che influenza profondamente l’espressione di malattie in età avanzata e il rischio di morte. Qualunque fascia di età si consideri, soggetti a maggiore grado di fragilità sono maggiormente suscettibili a eventi avversi, rispetto a soggetti di pari età, meno fragili.
Pertanto, comprendere la fragilità serve a classificare con maggiore precisione e comprendere le basi di rischio differenziale, sia al fine di modificarlo sia di gestirlo: conoscere il grado di fragilità e come gli interventi medici possano modificarlo può aiutare a correggere i fattori di rischio correlati alla fragilità e, così, la prognosi, e a prendere più correttamente decisioni cliniche.

Le caratteristiche dello studio

Questo studio è una revisione della letteratura, che si pone l’obiettivo di analizzare il concetto stesso di fragilità, presentando i principali strumenti di misura della fragilità ed il suo impatto su differenti outcomes clinici.

I risultati ottenuti

Il grado di fragilità può essere determinato con diversi sistemi classificativi, di cui alcuni utilizzano poche variabili chiave (come nella classificazione secondo fenotipo o nella Clinical Frailty Scale), altri utilizzano molti parametri (come nell’indice di fragilità). Inoltre, alcuni strumenti considerano la fragilità come una sindrome caratterizzata da specifiche manifestazioni, altri come un progressivo sommarsi di deficit funzionali. Indipendentemente da quale sia la visione, le diverse scale hanno risultati consistenti: un maggiore grado di fragilità è comunque sempre correlato a esiti peggiori. Infatti, è esperienza comune che non tutte le persone invecchino a velocità simile: ciò dipende da fattori di rischio (genetici o ambientali) e da intrinseche caratteristiche dell’invecchiamento come la capacità di resistere ad eventi stressanti e la capacità di rispondere ad un eventuale danno da essi causato. Pertanto, la fragilità è definibile come una perdita della capacità di rispondere a comuni eventi stressanti, età-correlata.

L’impatto della fragilità è evidente in molte patologie umane, ad esempio nel COVID-19, il cui rischio di mortalità è strettamente correlato al grado di fragilità dell’individuo. Il grado di fragilità modula inoltre la severità del quadro clinico in pazienti affetti da demenza in generale e da Alzheimer in particolare e ha un ruolo molto rilevante nelle malattie cardiovascolari, in quanto si associa ad un maggiore rischio di eventi cardiovascolari ad una maggiore mortalità da infarto e a maggiori complicazioni in soggetti affetti da fibrillazione atriale.

Conoscere il grado di fragilità e come questo possa essere modificato da interventi medici (come procedure interventistiche, regimi terapeutici) può aiutare a prendere la corretta decisione medica per il paziente, scegliendo per esempio di non attuare un determinato intervento se questo impatta significativamente sul grado di fragilità del paziente e, quindi, sul rischio di esiti avversi e di morte; allo stesso tempo il grado di fragilità non è irreversibile, quindi riconoscere i fattori di rischio alla base del processo che conduce alla fragilità e, se possibile, correggerli in sede pre-procedurale, riduce i rischi legati ad alcuni interventi, rendendoli possibili anche quando il grado di fragilità di partenza del paziente li controindicava.

Il grado di fragilità può quindi aiutare significativamente medico e paziente nel processo decisionale, per il quale quantificare il più correttamente possibile la prognosi è fondamentale.
Inoltre, comprendere la fragilità aiuta a mettere in luce quei meccanismi indipendenti dall’invecchiamento che favoriscono l’espressione delle malattie nella vecchiaia, rendendo l’individuo più fragile e, quindi, più a rischio. Recenti studi hanno dimostrato, per esempio, che il rischio di delirium nel paziente anziano fosse molto maggiore nell’individuo con maggiore grado di fragilità. Tra i fattori di rischio che influenzano maggiormente il grado di forma fisica o di fragilità di un individuo si annoverano lo stile di vita (modifiche dietetiche, esercizio fisico), fattori sociali (bassa posizione sociale, ricchezza personale limitata, cattiva salute materna, bassi livelli di educazione dell’infanzia, basso PIL pro-capite) e interventi medici (terapie farmacologiche, etc..).

Quali le novità

La review presenta una visione complessiva del tema della fragilità e propone alcuni approcci innovativi; ad esempio, l’Hospital Elder Life Program, che rappresenta un nuovo programma che mediante uno screening cognitivo individua, tra le persone fragili, quelle a maggior rischio d’insorgenza del delirium. Comprendere la relazione tra fragilità e delirium, quindi, offre un mezzo pratico per ridurre l’incidenza del delirium.

Quali i limiti

Sebbene l’interesse per lo studio della fragilità sia crescente, questo entusiasmo non è universale. Secondo alcuni la fragilità risulta essere “un concetto peggiorativo”, che conferma e rafforza lo svantaggio e la vulnerabilità degli adulti che invecchiano. Inoltre, i pazienti fragili hanno problemi medici e sociali multipli, interagenti, che confondono i trattamenti monoproblematici sulla base dei quali è organizzata gran parte dell’assistenza sanitaria contemporanea.
Ciononostante, è stato dimostrato che un grado più elevato di fragilità comporti un rischio maggiore di disabilità nelle attività della vita quotidiana, di cadute, di delirio, di ricoveri ospedalieri, con periodi di degenza più lunghi, più visite di assistenza primaria, e quindi maggiori costi sanitari.
Inoltre, è ancora pratica comune l’esclusione delle persone più a rischio dalle linee guida di pratica clinica, sebbene siano proprio gli individui più fragili ad avere maggior probabilità di poter beneficiare dei trattamenti oggetto degli studi clinici.

Quali le prospettive

In futuro gli studi di coorte potranno fornire trattamenti mirati dell’invecchiamento, da applicare in relazione al grado di fragilità. Alla base ci sarà una sempre più dettagliata comprensione dei meccanismi correlati all’invecchiamento e non, e dei fattori di rischio che li determinano.
La complessità dell’invecchiamento può e deve essere affrontata con studi su modelli animali che invecchiano in modo fisiologico: attualmente sono usati modelli murini, data la loro idoneità alla manipolazione genetica; la diversificazione su altri modelli animali aiuterebbe a tradurre meglio dall’animale all’uomo gli interventi di gestione e cura dell’invecchiamento.
Inoltre, anche i modelli quantitativi dell’invecchiamento possono far progredire la nostra comprensione: permetteranno infatti di considerare separatamente le possibili fonti di danno che agiscono in vecchiaia e non (per esempio differenziando l’impatto dell’ambiente sociale da quello delle terapie farmacologiche), determinando con precisione il grado di fragilità di una persona e rendendo possibile una migliore definizione prognostica e delle misure per prevenire o trattare le conseguenze di un livello di rischio maggiore.

A cura di Eleonora Croce


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