Riferimento bibliografico
Nguyen Ho, P. T., Hoepel, S. J. W., Rodriguez-Ayllon, M., Luik, A. I., Vernooij, M. W., & Neitzel, J. (2024). Sleep, 24-Hour Activity Rhythms, and Subsequent Amyloid-β Pathology. JAMA neurology, e241755. Advance online publication. https://doi.org/10.1001/jamaneurol.2024.1755
In sintesi
I disturbi del sonno sono comuni tra gli anziani e sono stati associati allo sviluppo della malattia di Alzheimer (AD). L’obiettivo di questo studio è determinare l’associazione tra i ritmi dell’attività nelle 24 ore e i ritmi del sonno con l’aumentato rischio dello sviluppo di AD. In particolare, vengono messi in relazione i disturbi del sonno con la deposizione di proteina β-amiloide (Aβ) cerebrale, che risulta essere una componente importante nella diagnosi di AD.
Il contesto e il punto di partenza
Considerando la crescente prevalenza della malattia di Alzheimer, è fondamentale identificare i fattori di rischio modificabili. Tra questi, i disturbi del sonno e i ritmi delle attività giorno-notte (24 ore) sottostanti possono essere fattori di rischio per l’AD su cui si può intervenire. Stanno emergendo prove che collegano il sonno interrotto e i ritmi di attività delle 24 ore all’accumulo di Aβ, una delle caratteristiche che definiscono l’AD. Una scoperta importante è stata che la rimozione di Aβ dal cervello attraverso il sistema glinfatico è dipendente dal sonno e avviene due volte più velocemente durante il sonno che durante la veglia. Per sviluppare una prevenzione efficace, è dunque essenziale determinare quali aspetti specifici del sonno e dei ritmi di attività delle 24 ore sono associati alla deposizione di Aβ in assenza di demenza.
Le misure del sonno studiate finora in relazione alla patologia Aβ rientrano in quattro ampie categorie: durata del sonno aumentata o diminuita, scarsa qualità del sonno, sonnolenza diurna, disturbi dei ritmi di attività delle 24 ore. Tuttavia, sono state utilizzate sia misure auto-riportate sia oggettive, con risultati contrastanti. Gli studi precedenti hanno inoltre misurato il sonno, i ritmi di attività delle 24 ore e la Aβ più o meno nello stesso periodo, è quindi difficile concludere se i disturbi identificati siano un fattore di rischio che varrebbe la pena considerare in uno studio di prevenzione o il risultato di una patologia Aβ già sviluppata. In aggiunta, la maggior parte degli studi precedenti non ha indagato su una modifica dell’effetto da parte del genotipo dell’apolipoproteina E ε4 (APOE4), nota per essere correlata alla deposizione di Aβ e allo sviluppo di AD e che è stata invece considerata in questo lavoro.
Le caratteristiche dello studio
L’attuale studio è stato inserito nello studio di Rotterdam, uno studio prospettico di popolazione condotto nel distretto di Ommoord, Rotterdam, Paesi Bassi, avviato nel 1990 con 7983 partecipanti che vengono riesaminati in media ogni quattro anni. Si tratta di uno studio di coorte osservazionale nel quale un sottocampione di 319 partecipanti tra 48 e 80 anni senza diagnosi clinica di demenza è stato seguito dal 2004 al novembre 2021. I partecipanti sono stati sottoposti ad actigrafia (uno strumento convalidato in grado di stimare il sonno e la veglia in base ai movimenti dei polsi), diari del sonno, dosaggi plasmatici di amiloide (Aβ42/409) e tau fosforilata (p-tau e p-tau217), che sono le due principali proteine coinvolte nell’AD, genotipizzazione per APOE e PET amiloide (eseguita al follow-up a circa otto anni di distanza).
Per quanto riguarda le misure oggettivate i partecipanti hanno indossato un actigrafo sul polso per sette giorni e notti consecutivi. Adottando un algoritmo validato rispetto alla polisonnografia, sono state definite le seguenti quattro misure riguardanti il sonno: tempo totale di sonno (espresso in ore), latenza per l’induzione del sonno (in minuti), efficienza del sonno (% di tempo impiegato dormendo/trascorso a letto), veglia successiva all’avvio del sonno (in minuti). Riguardo l’attività distribuita sulle 24 ore, il medesimo algoritmo actigrafico ha fornito tre misure: la variabilità dell’attività da un giorno all’altro nell’arco della settimana, la variabilità all’interno di ogni singola giornata, e l’orario in cui iniziano le cinque ore consecutive meno attive. Per le misure auto-riportate ogni partecipante ha tenuto un diario del sonno giornaliero insieme all’actigrafia, considerando sette misure: il tempo di sonno totale giornaliero (espresso in ore), la latenza per l’induzione del sonno (in minuti), il tempo trascorso a letto (in ore), l’efficienza del sonno, la qualità del sonno, la presenza di pisolini (frequenza settimanale), la sonnolenza diurna (frequenza settimanale). Il carico amiloideo dei partecipanti è stato misurato mediante PET amiloide nelle aree frontale, del cingolo, regioni parietali laterali e temporali laterali rapportate alla regione cerebellare. La PET amiloide non è stata effettuata al basale, ossia in concomitanza con l’actigrafia; per questo motivo la patologia AD è stata valutata al basale sulla base dei marcatori plasmatici. Sono stati quindi dosati mediamente 11 mesi dopo l’actigrafia l’amiloide (Aβ40 e Aβ42) e la Tau fosforilata (pTau-181 pTau-217), considerati come i migliori predittori ematici per il successivo accumulo di Aβ alla PET. Tutti i dati ottenuti sono stati analizzati statisticamente mediante modelli di regressione lineare.
I risultati ottenuti
Il campione di 319 partecipanti, di cui il 47% donne, mostrava un’età media di 61,5 anni alla valutazione basale del sonno e 69,2 anni all’acquisizione della PET amiloide. Il tempo medio di follow-up è stato di 7,8 anni. Un totale di 90 partecipanti (28,2%) erano portatori di APOE4 e 49 partecipanti (15,4%) sono risultati positivi alla scansione PET amiloide.
Una maggiore variabilità intra-giornaliera, intesa come modificazione dei ritmi sonno-veglia e delle attività all’interno di ogni singola giornata e tra le diverse giornate è stata significativamente associata ad un maggior rischio di accumulo cerebrale di proteina amiloide e quindi ad un rischio aumentato di sviluppare deterioramento cognitivo. Tale associazione è risultata più forte nei portatori di APOE4 rispetto ai non portatori che di base sono più predisposti ad accumulare Aβ e quindi a sviluppare AD Ciò significa che risulta importante mantenere regolari ritmi di attività durante le giornate alternati ad altrettanti momenti di riposo in associazione ad una buona qualità del sonno. Questo stile di vita aiuterebbe a mantenere un buon livello cognitivo e rallentare il deterioramento cerebrale. I risultati di questo lavoro sono in linea con uno dei due studi precedenti che hanno esaminato l’interruzione dei ritmi di attività nelle 24 ore associati alla patologia Aβ; nel secondo studio non è stata trovata alcuna associazione, probabilmente per un potere statistico limitato (n = 59). Sulla stessa linea, due studi prospettici di actigrafia hanno concluso che i ritmi di riposo-attività interrotti sembrano precedere l’insorgenza dei sintomi nell’AD.
I dati suggeriscono quindi che i portatori di APOE4 potrebbero essere più suscettibili a disturbi nei ritmi sonno veglia. Tuttavia, i due studi correlati precedenti non hanno considerato APOE4 come una covariata o un modificatore di effetto. Poiché i non portatori di APOE4 accumulano la patologia Aβ molto più tardi nella vita rispetto ai portatori, non si può escludere che i disturbi sonno-veglia siano dannosi anche nei non portatori in età più avanzata rispetto a quelli studiati in questo lavoro.
Nessun’altra misura oggettiva è stata significativamente associata alla patologia Aβ, né lo sono state misure del sonno auto-riportate. Non sono state trovate associazioni robuste tra tempo totale di sonno, tempo trascorso a letto, ora di inizio e patologia Aβ. Ci sono molti studi precedenti su questo, ma i risultati sono incoerenti. Pertanto, sembra possibile che un sonno notturno inferiore sia associato a una maggiore patologia Aβ, sebbene l’effetto sia probabilmente piccolo e possa essere stimato in modo robusto solo in campioni di grandi dimensioni.
I risultati sono rimasti sostanzialmente invariati dopo avere escluso dal computo i partecipanti con patologia alzheimeriana presente già all’inizio dell’osservazione, suggerendo così che la frammentazione dei ritmi circadiani possa avere preceduto la deposizione di Aβ.
In letteratura sono stati descritti due meccanismi con cui la frammentazione dell’attività nelle 24 ore può contribuire all’accumulo di Aβ. In primo luogo, l’Aβ solubile viene rilasciato durante l’attività sinaptica che è più elevata durante la veglia rispetto al sonno. Un ritmo di attività frammentato può portare a periodi ridotti di sonno ininterrotto, che potrebbero aumentare l’attività neuronale e, quindi, un eccesso relativo di Aβ solubile. Nel tempo, livelli più elevati di Aβ solubile aumentano la probabilità che gli oligomeri di Aβ si aggreghino in placche di Aβ insolubili. In secondo luogo, un ritmo di attività frammentato nelle 24 ore può influenzare la clearance di Aβ attraverso il sistema glinfatico. Il cervello drena le tossine, come Aβ, attraverso un’interazione dinamica tra fluido interstiziale e liquido cerebrospinale. Sebbene la complessità del meccanismo non sia completamente compresa, molti studi hanno dimostrato che questo processo è più efficace durante il sonno.
I risultati dello studio mostrano che un ritmo di attività delle 24 ore più frammentato è stato associato a un carico di β-amiloide più elevato valutato 7,8 anni dopo, e questa associazione si è mostrata essere più forte nei portatori di rischio genetico per AD. Infatti, il genotipo APOE è stato un modificatore di effetto significativo, tanto che questa associazione è stata osservata principalmente nei portatori di APOE4.
I disturbi del ritmo possono quindi precedere il deposito di β-amiloide e possono essere un fattore di rischio modificabile per AD. Ai fini di una prevenzione efficace è quindi essenziale individuare tali disturbi per poter intervenire di conseguenza.
Limiti dello studio
Questo studio presenta alcune limitazioni.
- Innanzitutto, i partecipanti hanno eseguito solo una scansione PET. Pertanto, non è stato possibile eseguire analisi longitudinali che potessero valutare una potenziale associazione causale tra sonno, ritmi di attività delle 24 ore e Aβ. Si è cercato di aggirare questa limitazione utilizzando marcatori plasmatici AD al basale. È necessario dunque uno studio longitudinale di actigrafia-PET per trarre conclusioni causali.
- In secondo luogo, il gold standard per la misurazione del sonno è la polisonnografia, che ha le sue limitazioni, come tempo e costi, rendendola poco pratica per studi di grandi dimensioni. L’utilizzo dell’actigrafia è meno gravoso e mostra discrete associazioni con la polisonnografia.
Quali le novità e i punti di forza
- La maggior parte degli studi precedenti ha misurato il sonno, i ritmi di attività delle 24 ore e Aβ più o meno nello stesso periodo, rendendo difficile concludere se i disturbi identificati siano un fattore di rischio che varrebbe la pena considerare in uno studio di prevenzione o il risultato di una patologia Aβ già sviluppata. In questo studio la misurazione dei marcatori plasmatici AD al basale ha consentito di indagare l’associazione temporale.
- In secondo luogo, la maggior parte degli studi precedenti non ha indagato una modifica dell’effetto da parte del genotipo dell’apolipoproteina E (APOE) che è stato invece preso in considerazione nello studio attuale.
Quali le prospettive
Sulla base di questi risultati sarebbe interessante proseguire lo studio, aumentando la casistica e confermando i dati di associazione tra la frammentazione del ritmo di attività delle 24 ore e il maggior accumulo di Aβ cerebrale soprattutto nei portatori dell’allele APOE4. Sarà sicuramente necessario aggiungere ulteriori studi rivolti al miglioramento della qualità dei ritmi circadiani, al fine di prevenire o rallentare la progressione dell’AD.
A cura di Valentina Medici