Riferimento bibliografico:
Facchinetti G, D’Angelo D, Piredda M, Petitti T, Matarese M, Oliveti A, De Marinis MG. Continuity of care interventions for preventing hospital readmission of older people with chronic diseases: A meta-analysis. Int J Nurs Stud. 2020 Jan;101:103396. doi: 10.1016/j.ijnurstu.2019.103396. Epub 2019 Aug 15. PMID: 31698168.
In sintesi
Una recente metanalisi ha valutato l’efficacia degli interventi di continuità di cura, rispetto alle riammissioni degli anziani affetti da patologie croniche, documentando gli effetti positivi di tali strategie sulle riospedalizzazioni a breve termine. In particolare, lo studio riconosce il valore degli interventi multimodali che siano orientati in modo sincronizzato alle tre dimensioni della continuità di cura, quali quella relazionale, informativa e gestionale.
Al contrario, non sono stati riscontrati sostanziali benefici sulle riammissioni oltre i 6 mesi dalla dimissione. Tuttavia, sono necessari sforzi di ricerca per comprendere come poter sviluppare e sostenere le capacità di auto-cura del paziente e rendere più efficiente l’assistenza territoriale.
Il contesto e il punto di partenza
Gli anziani affetti da patologie croniche hanno spesso bisogni di salute complessi, che richiedono la presa in carico da parte di diversi specialisti e frequenti transizioni di cura tra setting assistenziali. Quando l’assistito percepisce gli interventi sanitari come coerenti, integrati e consistenti ai propri bisogni di salute, si parla di continuità di cura.
La continuità di cura si articola in tre dimensioni strettamente intercorrelate tra loro: la dimensione relazionale, determinata dalla relazione stabile e supportiva tra assistito e professionista sanitario, si fonda sulla comunicazione, la fiducia, il comfort e la condivisione di valori; la dimensione informativa, che si riferisce alla capacità di trasferire e disporre di tutte le informazioni cliniche rilevanti, rappresenta un prerequisito per un’assistenza coordinata; quella gestionale, che garantisce che gli interventi erogati siano tra loro complementari, coerenti e puntuali.
La frammentazione e l’assenza di coordinamento nell’erogazione di servizi sanitari ha un impatto significativo sul benessere dell’anziano e, in particolare, sul rischio di riammissione ospedaliera a breve e lungo termine. Se le riammissioni che si verificano nel breve periodo sono da attribuire all’incapacità dei servizi ospedalieri di rispondere adeguatamente ai bisogni di salute del paziente cronico o a una dimissione priva di follow-up, quelle a lungo termine sono più spesso correlate alle scarse capacità di auto-cura dell’assistito, alla disponibilità di risorse socio-economiche e alla capacità di presa in carico da parte dei servizi territoriali.
Per garantire una transizione di cura efficace e sicura è importante comprendere se e quali interventi assistenziali siano efficaci nel ridurre il rischio di riammmissione a breve e a lungo termine dopo dimissione ospedaliera.
Caratteristiche dello studio
Lo studio è una revisione sistematica con metanalisi che ha incluso 30 studi randomizzati e controllati. Gli studi primari includevano pazienti ultrasessantacinquenni, affetti da almeno una patologia cronica, dimessi dall’ospedale verso il domicilio sui quali veniva testato un intervento di continuità di cura.
I risultati ottenuti
I 30 studi inclusi nella revisione avevano reclutato complessivamente 8.920 assistiti, affetti da scompenso cardiaco cronico (16 studi, 53%), BPCO (3 studi, 10%), BPCO e scompenso cardiaco (2 studi, 7%), patologia cronica polmonare (1 studio, 3%). I restanti 8 studi (27%) classificavano la patologia come malattia cronica, senza ulteriori specifiche.
Il numero di interventi sperimentati in ogni studio variava da 1 a 6, la maggior parte dei quali attuato da un infermiere con competenze avanzate, in collaborazione con altre figure (N=23 studi, 77%). Gli interventi prevalentemente attuati erano visite domiciliari (N=17), follow-up telefonico, self-management (N=15) e modelli di cure di transizione (N=7).
Undici studi (37%) avevano sperimentato un intervento coerente alle tre dimensioni della continuità di cure. In particolare, 18 (60%) riguardavano la continuità relazionale, 19 (63%) quella informativa e 29 (97%) gestionale.
Gli interventi di continuità di cura riducevano le riammissioni che si verificavano entro 1 mese dalla dimissione (RR 0.84, IC 95% 0.71-0.99) e da 1 a 3 mesi (RR 0.74, IC 95% 0.65-0.84), mentre gli effetti sulle dimissioni a lungo termine erano inconclusivi per l’elevata eterogeneità degli studi riscontrata.
Si evidenziava un’associazione positiva per gli studi che garantivano interventi coerenti alle tre dimensioni della continuità di cura.
Limiti dello studio
È necessario tener conto di alcuni limiti dello studio. Innanzitutto, per privilegiare l’omogeneità degli studi, gli autori hanno selezionato solo le ricerche che misuravano l’incidenza di riammissioni come numero di assistiti riospedalizzati, che avessero testato interventi coerenti con il tempo di follow-up. Pertanto, alcuni RCT potrebbero essere stati persi. Inoltre, dato che la maggior parte degli studi sperimentava interventi multicomponenti che differivano sostanzialmente nell’approccio, è stato impossibile valutare quale intervento fosse più efficace di altri. Alcune dimensioni di cura potrebbero non essere state correttamente identificate per l’esiguità di dettagli forniti dagli autori.
Quale la novità
Si riconosce l’importanza di sincronizzare le tre dimensioni di continuità di cura per una presa in carico globale della persona con patologie croniche. Si rimarca l’importanza del progettare interventi di continuità multimodali e multidimensionali che sappiano rispondere ai complessi bisogni dell’assistito.
Quali prospettive
La gestione efficace della cronicità richiede un’assistenza sanitaria coordinata e senza interruzioni, in cui gli specialisti ospedalieri e i medici di medicina generale possano cooperare, disponendo di informazioni cliniche accurate, assicurando un supporto globale all’assistito e ai suoi famigliari. Al momento della dimissione è indispensabile attivare percorsi di continuità di cura multimodali che integrino diverse strategie, tra cui follow-up telefonici, strategie di riconciliazione terapeutica e visite domiciliari.
L’infermiere è la figura strategica cui affidare la responsabilità di guida e coordinamento continuo di tali percorsi. Grazie alla stretta relazione con l’assistito e alle sue competenze multidisciplinari, può predisporre un’assistenza continuativa, accompagnando il paziente durante il suo percorso di cura.
Allo stesso modo, occorre investire sui servizi territoriali affinché possano garantire un’efficace gestione della cronicità anche sul lungo periodo, assicurando interventi di sostegno e di self-management che possano produrre reali cambiamenti dei comportamenti degli assistiti.
La continuità di cura potrebbe ridurre le ospedalizzazioni e i costi associati, migliorando contestualmente la qualità dell’assistenza.
A cura di Ines Basso