Riferimento bibliografico
Eun-jeong Kim, MD; Thomas J. Hoffmann, PhD; Gregory Nah, MA; Eric Vittinghoff, PhD; Francesca Delling, MD; Gregory M. Marcus, MD, MAS Coffee Consumption and Incident Tachyarrhythmias. Reported Behavior, Mendelian Randomization, and Their Interactions. doi:10.1001/jamainternmed.2021.3616
In sintesi
Il consumo di caffè solitamente viene sconsigliato in soggetti cardiopatici, per il possibile sviluppo di aritmie che potrebbero peggiorare le loro condizioni cliniche: tale indicazione si basa su assunti teorici relativi all’aumento dei livelli sierici di catecolammine e al rilascio di calcio dal reticolo sarcoplasmatico in correlazione al consumo di caffeina, oltre che a piccoli studi osservazionali che riscontravano un’associazione tra caffeina e un maggiore rischio di aritmie. Questo studio prospettico valuta la correlazione tra assunzione di caffeina e l’insorgere di aritmie nella popolazione inglese e giunge alla conclusione che il consumo di caffè si dimostra protettivo nello sviluppo di aritmie, con una riduzione del rischio di insorgenza di tali patologie per ogni tazza di caffè assunta in più ogni giorno. Allo stesso modo non sono state rilevate associazioni tra un metabolismo più rapido della caffeina e il rischio stesso di sviluppare aritmie.
Il contesto e il punto di partenza
L’obiettivo principale nell’analisi effettuata in questo articolo è di valutare l’associazione tra il consumo di caffeina e il rischio di insorgenza di aritmie cardiache, valutando non solo la correlazione con l’apporto giornaliero di caffè, ma anche il rapporto tra i diversi alleli che codificano per il citocromo CYP1A2 (responsabile del metabolismo della caffeina) e il verificarsi di aritmie cardiache. La popolazione è stata divisa in gruppi in funzione dell’abituale consumo di caffè, mentre, sulla base dei campioni biologici raccolti, è stata eseguita una tipizzazione dei geni che codificano per il citocromo CYP1A2.
Le caratteristiche dello studio
Si tratta di uno studio prospettico basato sui pazienti inseriti nella UK Biobank, un progetto del sistema sanitario britannico che ha reclutato 502543 partecipanti tra il 2006 e il 2010: essi sono stati sottoposti a questionari sul loro stato di salute e sulle loro abitudini di vita, a visite mediche e al prelievo di campioni biologici per analisi genetiche. L’obiettivo primario prevedeva di rivalutare l’incidenza di aritmie, in base alle diagnosi codificate secondo ICD-9 e ICD-10, tra il 2006 e il 2018, escludendo dallo studio precedenti diagnosi di aritmia. La seconda ipotesi testata prevedeva di valutare se l’isoforma di citocromo che metabolizza più rapidamente la caffeina fosse correlata ad un maggior consumo di caffè nei soggetti che la possiedono.
Per valutare quest’ultimo aspetto è stato utilizzato uno strumento noto come randomizzazione mendeliana, un metodo analitico che utilizza varianti genetiche per evitare che influenze di fattori confondenti non misurabili alterino le afferenze che si determinano negli studi osservazionali.
I risultati ottenuti
In primo luogo i ricercatori hanno trovato che chi assume in modo abituale una dose maggiore di caffè sembra avere un ridotto rischio di sviluppare aritmie cardiache, con una riduzione di incidenza del 3% (Hazard Ratio [HR], 0.97; CI, 0.96-0.98; P < .001). In secondo luogo hanno dimostrato, con la randomizzazione mendeliana, che tale valutazione non è influenzata da fattori genetici associati al metabolismo della caffeina.
Tale metodo ha permesso di ridurre i fattori confondenti non misurabili in associazione alla correzione, durante l’analisi statistica, per fattori di rischio noti allo sviluppo di aritmie cardiache come età, sesso, etnia e i molteplici fattori di rischio cardiovascolare (diabete, ipertensione, dislipidemia, patologie coronariche).
Dal punto di vista biochimico questi risultati si spiegano se si prendono in considerazione alcune caratteristiche della caffeina: questa sostanza, infatti, è in grado di bloccare il recettore per l’adenosina (la cui attività è legata allo sviluppo di fibrillazione atriale), possiede attività antiossidanti e attiva il sistema catecolaminergico, proteggendo da aritmie correlate a complessi ventricolari prematuri o da eccessivo tono vagale. In questo studio, infatti, il rischio aritmico è valutato in base alla fibrillazione atriale e tachicardia sopra-ventricolare.
I dati ottenuti in questo studio suggeriscono, quindi, che la raccomandazione contro l’uso di caffè in soggetti cardiopatici non è supportata da evidenza e non protegge dall’insorgenza di aritmie.
Limiti dello studio
Benché questo studio raccolga un gran numero di partecipanti, con una analisi basata sulla raccolta di multipli fattori epidemiologici, clinici e genetici, ci sono diversi limiti che possono influenzare i risultati ottenuti.
Prima di tutto, il consumo di caffè era auto-riportato e non si conosce il tipo di caffè consumato: questo potrebbe influenzare in modo importante la quantità di caffeina assunta e alterare le analisi successive. Inoltre si assume come il consumo di caffè valutato al reclutamento di ciascun soggetto nella UK Biobank non sia variato nel corso degli anni, ma sia rimasto costante.
Secondariamente l’analisi randomizzata mendeliana effettuata sul polimorfismo del gene che codifica per il citocromo CYP1A2 non tiene conto di altri fattori che possono influenzarne l’attività come l’abitudine al fumo, l’età e l’etnia.
Ulteriormente, i dati ottenuti utilizzando i codici ICD-9 e ICD-10, sembrano essere meno sensibili nel riscontrare alcuni tipi di aritmia (come i complessi atriali prematuri), rispetto alle più comuni e clinicamente più evidenti fibrillazione atriale e tachicardia sopra-ventricolare. Infine, il campione valutato nello studio, risulta sì di dimensioni significative, tuttavia è composto per la maggior parte da uomini di mezza età, in salute e appartenenti all’etnia caucasica.
Quale la novità
La principale novità riportata in questo studio ribalta la storica concezione che il consumo di caffè debba essere scoraggiato nei soggetti cardiopatici per il rischio di sviluppare aritmie. In questo articolo si descrive come esso possa essere correlato ad una minor insorgenza in particolare di fibrillazione atriale e tachicardia sopra-ventricolare. Inoltre, l’analisi genetica per la prima volta esclude un’associazione tra il metabolismo della caffeina e un maggiore rischio di aritmie.
Quali le prospettive
Analisi future che riprendano questo studio potrebbero valutare la correlazione tra aritmie e consumo di caffè su un periodo temporale maggiore rispetto alla mediana di 4 anni, in modo tale da valutarne l’impatto sul lungo periodo. Sarebbe, inoltre, utile, valutare in modo più oggettivo la quantità di caffeina assunta e non solo il numero, riportato autonomamente, di tazze di caffè.
A cura di Enrico Gallina