Riferimento bibliografico

Carstensen, L.L., Chi, K. Emotion and prosocial giving in older adultsNat Aging 1, 866–867 (2021)

In sintesi

L’articolo di Lara L. Carstensen e di Kevin Chi, del Dipartimento di Psicologia della Stanford University, ha l’intento di ricavare spunti di riflessione dall’enorme quantità di dati raccolta, durante la pandemia, da Jo Cutler e colleghi (2021) su un aspetto rilevante dell’emotività nella popolazione anziana: l’altruismo (prosocial giving).

Contesto e punto di partenza 

Nel 2020, infatti, Cutler e colleghi hanno condotto uno studio sperimentale, sfruttando la modalità di intervista on-line, su un campione di ben 46.576 americani, raggruppati per fasce di età comprese tra i 18 e 99 anni, al fine di investigare la tendenza verso comportamenti altruistici a seconda dell’età anagrafica

La letteratura attesta che nell’età avanzata si raggiunge mediamente una maggiore stabilità emotiva. In confronto a una popolazione adulta più giovane, le persone della terza età risultano essere più soddisfatte delle loro relazioni interpersonali, più disposte al perdono e alla risoluzione dei conflitti. Ciò si traduce anche – ma non solo – in attività di volontariato e assistenza personale non pagata, come attestano due rilevazioni – sempre americane – svolte nel 2021. Anche studi neuroscientifici confermano questa tendenza: nel cervello dell’anziano, confrontato con quello di campioni più giovani, di fronte a immagini di gesti caritatevoli si mobilitano maggiormente i circuiti neurali deputati al sistema di ricompensa. 

Le caratteristiche dello studio

La teoria della selettività socioemotiva, proposta proprio da Carstensen nel 2006, connette queste tendenze legate all’età – ovvero, maggiore altruismo e maggiore soddisfazione emotiva – con la consapevolezza della minore aspettativa di vita. Quando si invecchia, infatti, l’orizzonte di vita inesorabilmente si restringe. La consapevolezza di ciò porta la maggior parte delle persone a riconsiderare l’ordine delle priorità, che vengono orientate al presente e non più al futuro. Si tende, quindi, a investire una maggiore soddisfazione e arricchimento emotivi in azioni e scopi non più proiettati nel tempo, ma rivolti al presente. Tra i modi per adempiere alla nuova configurazione di bisogni emotivi e valori personali, vi è proprio l’impegno in atti di generosità e di aiuto rivolti alla comunità. O meglio – come suggerisce l’analisi interpretativa di Carstensen e Chi – verso la propria comunità locale. 

I risultati ottenuti

Tale declinazione dell’altruismo in senso locale è emersa chiaramente dall’indagine di Cutler e colleghi, nella quale venivano posti quesiti proprio in relazione ad azioni caritatevoli atte ad affrontare la crisi pandemica, anche a costo di contrarre il virus.  

I risultati dell’indagine di Cutler, sotto questo punto di vista, sono sufficientemente eloquenti, per cui si può affermare che gli anziani sono più altruisti dei giovani, anche in potenziali condizioni di rischio. Tuttavia, emerge una spiccata preferenza nell’aiutare persone ed entità associative locali, ovvero facenti parte della comunità di appartenenza. 

I limiti dello studio

Con tutte le cautele del caso e i vizi metodologici del vasto rilevamento, i cui risultati potrebbero essere condizionati dall’effetto coorte, Carstensen e Chi sottolineano come questi dati empirici siano compatibili con la teoria della selettività socio-emotiva. Dopotutto, è comprensibile – per chi voglia dare un senso emotivamente pregnante al proprio presente –  aiutare le persone che sono più vicine alla propria cerchia di conoscenti. 

Prospettive future

Il tema dell’altruismo nella terza età è tutt’altro che marginale nella scienza dell’invecchiamento, perché – sottolineano gli autori – avrà di sicuro un forte impatto sociale e ambientale. Si deve tenere conto, infatti, che nel 2050 la popolazione over 65 anni sarà raddoppiata nel mondo. Come è noto, il 2050 segna anche lo spartiacque del secolo per vincere o soccombere ai cambiamenti climatici. Promuovere, quindi, un genere di altruismo meno locale e più globale potrebbe essere un fattore di resilienza determinante.  

 

Approfondimenti bibliografici

 

A cura di Emiliano Loria


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