Riferimento bibliografico

Stephen Salloway, Jeffrey Cummings. Aducanumab, Amyloid Lowering, and Slowing of Alzheimer Disease. Neurology, July 07, 2021.

In sintesi

Questo viewpoint offre una visione riassuntiva delle evidenze che hanno portato alla recente approvazione da parte della Food and Drug Administration (FDA) di Aducanumab per la cura della malattia di Alzheimer. Si tratta del primo farmaco approvato per il trattamento della demenza di Alzheimer dal 2003, e del primo agente ad azione specifica contro uno dei meccanismi patogenetici della malattia.

Il contesto

Aducanumab è un anticorpo monoclonale diretto contro gli aggregati di proteina beta-amiloide. Gli accumuli cerebrali di beta-amiloide, le cosiddette “placche senili”, rappresentano uno dei segni anatomopatologici distintivi della Malattia di Alzheimer, insieme ai depositi intracellulari di proteina tau. La malattia di Alzheimer rappresenta la causa più comune di demenza neurodegenerativa, che porta a una irreversibile disfunzione e morte neuronale manifestata clinicamente da un progressivo e inesorabile decadimento cognitivo. La teoria della “cascata amiloidea” ha sostenuto per anni che l’accumulo cerebrale di amiloide rappresentasse il primum movens nel processo neurodegenerativo. È tuttavia ormai riconosciuto che altri processi, tra cui appunto l’accumulo di proteina tau, così come la risposta neuroinfiammatoria, concorrano o direttamente determinino la disfunzione sinaptica inizialmente alla base della neurodegenerazione. Gli studi di neuroimging con PET-amiloide e PET-tau per individuare, rispettivamente, le placche senili ed i depositi di proteina tau, così come la rachicentesi diagnostica con dosaggio liquorale di peptidi di beta-amiloide e tau totale ed iperfosforilata, hanno permesso di definire il ruolo di questi biomarcatori nel processo patologico alla base della malattia di Alzheimer. Su queste premesse si è sviluppata la ricerca, nelle ultime due decadi, di molecole volte ad aggredire gli accumuli patologici presunti responsabili della neurodegenerazione. Tra i vari anticorpi monoclonali studiati in vitro e su modelli animali, Aducanumab si è dimostrato efficace nell’attaccare gli aggregati neurotossici di proteina beta-amiloide. A partire da questi dati preclinici sono stati quindi condotti due studi di fase 3, EMERGE ed ENGAGE, volti a valutare l’efficacia di Aducanumab nel rallentare il declino cognitivo caratteristico della demenza di Alzheimer.

I risultati degli studi

I trial EMERGE ed ENGAGE sono stati progettati in maniera identica, reclutando complessivamente oltre 3000 individui in 20 stati diversi. I partecipanti inclusi erano soggetti con Mild Cognitive Impairment (decadimento cognitivo minimo senza impatto nell’autonomia delle attività della vita quotidiana) o pazienti con demenza di Alzheimer iniziale, e con evidenza, ottenuta tramite PET-amiloide e prelievo liquorale, di accumulo cerebrale di amiloide. L’età media dei soggetti era di circa 70 anni. L’end-point primario si proponeva di valutare l’effetto di Aducanumab a 18 mesi sul punteggio globale nella Clinical Dementia Rating (CDR) Scale, scala valutativa della gravità della demenza. I partecipanti sono stati suddivisi in maniera randomizzata in soggetti trattati con basse dosi di Aducanumab (dosi crescenti fino a 6 mg/kg in infusione endovenosa ogni 4 settimane), soggetti trattati con alte dosi di Aducanumab (dosi fino a 10 mg/kg) e soggetti con placebo. Entrambi i trial sono stati interrotti nel 2019, quando un’analisi preliminare aveva ritenuto improbabile un effetto postivo significativo di Aducanumab rispetto al placebo. Analisi successive, condotte ugualmente in cieco, hanno però portato a rivalutare i risultati. Nello specifico è emerso, a partire da dati del trial EMERGE, il raggiungimento dell’endpoint primario a 78 settimane, con una riduzione del 22% del declino osservato – misurato tramite la CDR – nei pazienti trattati con Aducanumab rispetto a quello osservato nei pazienti trattati con placebo, nei quali il peggioramento cognitivo risultava quindi significativamente maggiore. In altre parole, Aducanumab si dimostrava efficace nel rallentare il declino cognitivo nei pazienti affetti da demenza di Alzheimer, con effetti misurabili anche utilizzando altre scale cognitive (endpoint secondari), come l’Alzheimer’s Disease Assessment Scale (differenza del 27% rispetto al placebo) ed il più noto test per la valutazione dello stato cognitivo globale, il Mini Mental State Examination (differenza del 18% rispetto al declino osservato nel gruppo trattato con placebo).

Entrambi i trial hanno poi dimostrato, in un sottogruppo di pazienti, la significativa efficacia di Aducanumab nel ridurre l’accumulo cerebrale di amiloide, e di proteggere contro le ulteriori alterazioni caratteristiche dei processi neurodegenerativi, proteggendo contemporaneamente anche dall’accumulo di proteina tau.

I risultati emersi dallo studio EMERGE non sono però stati stati confermati nella successiva analisi del trial ENGAGE, che invece ha fallito nel soddisfare sia l’endpoint primario che gli endopoint secondari. Occorre sottolineare però come i soggetti inclusi nel trial EMERGE, iniziato successivamente rispetto al trial ENGAGE, erano stati sottoposti a dosi più alte di Aducanumab e per periodi più lunghi, e che risultati simili a quelli ottenuti nel trial EMERGE si osservavano anche in un sottogruppo di pazienti del trial ENGAGE trattati con dosi più alte di Aducanumab.

Prospettive

Il 7 giugno 2021, la FDA ha approvato l’utilizzo di Aducanumab per il trattamento della malattia di Alzheimer. L’approvazione è avvenuta tramite l’Accelerated Approval Pathway, un percorso più rapido che può essere utilizzato quando uno studio ottiene un’evidenza, basata su un biomarcatore, che ragionevolmente predice un miglioramento clinico. Quindi l’approvazione di Aducanumab è basata sulla dimostrata efficacia nel ridurre l’accumulo cerebrale di amiloide. Le evidenze che supportano l’utilizzo di Aducanumab, oltre al miglioramento della condizione di amiloidosi cerebrale, riguardano il rallentamento del declino cognitivo misurato dalle scale cognitive, come emerso nel trial EMERGE, l’impatto benefico su altri meccanismi implicati nella neurodegenerazione, come l’accumulo cerebrale di proteina tau, ed i risultati incoraggianti emersi da altri studi su nuovi anticorpi monoclonali indirizzati contro le placche senili. Quasi vent’anni dopo l’avvento degli unici farmaci disponibili per rallentare il decadimento cognitivo della malattia di Alzheimer, Aducanumab accende una nuova speranza nella ricerca della cura per le demenze.

Limiti

L’editoriale pone l’attenzione su limiti strutturali, sociali ed economici nell’utilizzo della nuova terapia. Il trattamento con Aducanumab, infatti, implica un dispendio di risorse considerevole per il sistema sanitario, in relazione soprattutto al monitoraggio dei pazienti affetti da demenza di Alzheimer, che richiederebbe strutture in grado di fornire adeguato follow-up laboratoristico e strumentale (disponibilità di Risonanza Magnetica ad alto campo, di PET-amiloide e PET-tau, possibilità di effettuare rachicentesi diagnostiche anche ripetute, centri infusionali dedicati alla somministrazione del farmaco). La scarsa disponibilità sul territorio di strutture attrezzate per il trattamento ed il successivo monitoraggio potrebbe precludere l’accesso alle cure alla gran parte dei pazienti affetti da malattia di Alzheimer, creando disparità di trattamento inaccettabili.

Controversie

L’approvazione di Aducanumab ha creato non poche controversie nella comunità scientifica, e non solo in relazione ai presunti limiti socio-economici. I risultati emersi dallo studio EMERGE non sono stati replicati nella controanalisi dello studio ENGAGE, e la presenza di dati che si discostano dall’atteso in quest’ultimo studio, così come l’utilizzo di dosi inferiori di Aducanumab spiegano solo in parte questa discordanza. Pertanto la principale critica rivolta all’approvazione del nuovo farmaco riguarda l’evidenza di un minimo beneficio clinico che scaturisce da un unico studio. Proprio la mancata conferma dei risultati in entrambi i trial aveva spinto la stessa FDA, attraverso un comitato consultivo riunitosi nel novembre 2020, a pronunciarsi negativamente sull’efficacia di Aducanumab. L’assenza di ricadute cliniche significative a fronte di una chiara riduzione dei depositi di amiloide rappresenta il principale punto critico. Esistono quindi numerosi dubbi riguardo all’utilizzo di anticorpi monoclonali agenti contro la beta-amiloide nel trattamento della demenza di Alzheimer. Gli anticorpi monoclonali, pur riducendo la quota di placche senili, potrebbero essere inefficaci contro gli oligomeri tossici di amiloide effettivamente responsabili della neurodegenerazione, o potrebbero comunque non interrompere il processo neurodegenerativo, dal momento che accumuli di proteina tau possono essere presenti indipendentemente dalla quantità di placche senili. L’effetto della riduzione del carico di amiloide cerebrale non è direttamente corrispondente ad un minore decadimento cognitivo, dal momento che le placche senili, il cui accumulo aumenta all’aumentare dell’età, possono ritrovarsi anche in soggetti anziani perfettamente integri dal punto di vista cognitivo. La selezione del soggetto candidato alla terapia risulterebbe così estremamente difficoltosa, con rischi di reclutare pazienti già compromessi dal punto di vista cognitivo e nei quali si sarebbe già instaurato un processo di neurodegenerazione ormai irreversibile. D’altra parte la somministrazione di Aducanumab non è scevra di rischi, potendo indurre, ad alte dosi, piccole emorragie cerebrali ed alterazioni correlate all’amiloide (amyloid-related imaging abnormalities) associate ad edema cerebrale e disturbi neurologici. Infine, sono state avanzate critiche per le possibili pressioni da parte dell’Alzheimer’s Association per una rapida e positiva conclusione dell’iter di approvazione del farmaco, ed ulteriori sospetti sono stati mossi in merito a presunti finanziamenti da parte di Biogen e conflitti di interesse per ricercatori coinvolti nell’approvazione di Aducanumab. Il successo di Aducanumab è senza dubbio legato ad eventuali nuovi conferme, con studi su larga scala e lungo follow-up volti a valutarne l’effettiva efficacia sul piano clinico.

A cura di Cristoforo Comi

Bibliografia

Jeffrey Cummings, Paul Aisen, Cynthia Lemere et al., Aducanumab produced a clinically meaningful benefit in association with amyloid lowering. Alzheimer’s Research & Therapy, 10 May 2021.

Billy Dunn, Peter Stein, Patrizia Cavazzoni. Approval of Aducanumab for Alzheimer Disease-the FDA’s Perspective. 2021 Jul 13.

David S Knopman, David T Jones, Michael D Greicius. Failure to demonstrate efficacy of aducanumab: An analysis of the EMERGE and ENGAGE trials as reported by Biogen, December 2019. Alzheimers Dement. 2021 Apr;17(4):696-701.

Lewis H. Kuller, Oscar L. Lopez, ENGAGE and EMERGE: Truth and consequences? Alzheimer’s & Dementia, 03 March 2021.

 

 


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