Cosa spinge un pensionato a fare la scelta un po’ strana di ritornare sui banchi di scuola? Ha davvero senso riprendere a studiare proprio quando sarebbe ora di prendersela comoda dopo anni di lavoro? La risposta è sì. Sono diverse le ragioni che spingono a riprendere in mano i libri o a tenersi attivi culturalmente. Rispetto ai giovani all’inizio del loro percorso lavorativo, dopo le esperienze di una vita cambia la motivazione e cambiano gli intenti. Vediamo come.
REINVENTARSI: una nuova carriera dopo la pensione
Il periodo post-pensionamento non significa solo cura dei nipoti, hobbies occasionali e qualche passeggiata. Paradossalmente, per alcuni pensionati l’atteso orologio d’oro è l’occasione per reinventarsi professionalmente. È ciò che è emerso da uno studio della Merrill Lynch Bank of America, una banca di investimento con sede a New York, che ha sfatato alcuni miti sull’invecchiamento dimostrando che quasi 7 anziani su 10 decidono di continuare a lavorare dopo la pensione. L’aspetto interessante è che, invece di proseguire l’occupazione che hanno svolto per tutta la vita, spesso decidono di cambiare rotta aspirando a una nuova carriera e nella maggior parte dei casi non tanto per motivi finanziari quanto per puro piacere e appagamento personale. Anziché dedicarsi totalmente al riposo, rispolverano un vecchio sogno nel cassetto che da giovani non erano riusciti a realizzare e tentano di farlo avverare, segno che le ambizioni non sono una prerogativa dei giovani. Lo stesso studio ha evidenziato che circa l’80% dei pensionati lavoratori è convinto che continuare a lavorare sia un antidoto contro l’invecchiamento perché permette di rimanere mentalmente attivi e apparire più “giovanili”. L’invecchiamento non è un periodo di declino, sembra suggerire questo studio, ma una nuova fase della vita da vivere appieno.
Mentre le generazioni precedenti, al momento della pensione, scrivevano la parola fine sull’ultima pagina della loro storia lavorativa, sembra che i nuovi anziani siano più propensi a considerare il pensionamento come l’inizio di un nuovo capitolo. In questo contesto, riprendere gli studi è spesso la porta di ingresso per lanciarsi in una nuova avventura professionale, un percorso obbligato per acquisire o affinare le proprie competenze. L’iscrizione a un’università o a corsi professionali viene fatta con gli stessi obiettivi che può avere un ventenne, soltanto qualche decade più avanti.
UNA PENSIONATA DA 110 E LODE: studiare punto e basta!
Se da una parte ci sono i pensionati che decidono di studiare con l’obiettivo di migliorarsi per continuare a lavorare e per i quali gli studi sono finalizzati a un preciso scopo lavorativo, dall’altra c’è chi invece decide di iscriversi all’università solo per una soddisfazione personale, magari per riprendere un percorso accademico interrotto prematuramente o mai iniziato. Ne abbiamo parlato con Anna, maestra in pensione tornata nelle aule universitarie per realizzare il sogno che aveva chiuso in un cassetto subito dopo il diploma, un cassetto che ha voluto riaprire alle soglie della pensione perché “i sogni vanno realizzati”.
“Mi sono detta: <<Preferisco avere un rimorso per essermi lanciata in un’impresa fuori dal comune oppure un rimpianto per non averla nemmeno tentata?>>. La risposta è venuta da sé: meglio provare e non farcela piuttosto che non fare niente. È iniziata così questa nuova avventura.”
L’ultimo anno prima della pensione, Anna lo ha trascorso come una vera studentessa liceale alle prese con la scelta dell’università, partecipando agli open day, parlando con docenti e studenti universitari e chiedendo colloqui privati con i servizi orientativi, il modo migliore per informarsi per tempo e fare una scelta importante con la testa sulle spalle.
“Lo confesso senza problemi, questa volta volevo fare qualcosa per me stessa. L’aspetto migliore era il fatto che la laurea non era finalizzata a uno scopo lavorativo. Ogni tanto mi chiamano ‘Dottoressa’, ma mi suona male. Mi sono laureata per laurearmi, punto e basta. Non avevo particolari ambizioni. Volevo solo realizzare il sogno che avevo chiuso nel cassetto tanti anni prima. Ho avuto la fortuna di aprire quel cassetto, togliere il sogno e dire <<Fatto>>.”
In questi casi, l’atteggiamento di chi si iscrive a un corso di laurea da pensionato è totalmente diverso da quello di un neodiplomato. Mentre per un ragazzo l’università rappresenta una porta di ingresso, a volte obbligata, ad una successiva carriera, per un 60-70enne la scelta avviene in totale relax. Si studia per puro piacere e interesse, senza pressioni e con le idee più chiare e sicuramente questo avrà un impatto positivo anche sulle proprie prestazioni, dato che la forte motivazione e la passione per ciò che si sta studiando, non per dovere ma per piacere, sono i motori principali per ottenere buoni voti in poco tempo.
“In alcuni momenti mi sono detta: <<“Ma chi me l’ha fatto fare?>>, soprattutto in prossimità degli esami … ma non ho mai rifiutato un voto. Non avevo particolari aspettative e i voti alti sono venuti da sé. Avevo solo voglia di divertirmi, senza ambizioni.”
Grazie all’informatica e alle telecomunicazioni, inoltre, gli anziani del XXI secolo hanno sicuramente molte più opportunità: se in passato era impensabile seguire corsi universitari se non in un’aula didattica, oggi è perfettamente normale ascoltare un professore comodamente seduti sul proprio divano. Le università telematiche che offrono corsi online sono sempre più frequenti e questa è un’ottima soluzione soprattutto per quegli anziani che possono avere qualche difficoltà a spostarsi frequentemente.
DA “FORZA-LAVORO” A “FORZA-CULTURA”: l’università della terza età
C’è chi infine decide di non lanciarsi in imprese straordinarie pur non rinunciando al piacere dell’informazione. Si apre così il mondo delle università della terza età, una realtà forse poco conosciuta ma fortunatamente sempre più diffusa. Le università della terza età sono state introdotte negli anni ’80 come centri culturali riconosciuti dalle Regioni e funzionano da università a tutti gli effetti. Nascono con l’obiettivo di promuovere l’integrazione degli anziani nella vita culturale e sociale del luogo in cui vivono, trasformando la “forza-lavoro” in “forza-cultura” e sono aperte proprio a tutti, senza barriere dettate dal titolo di studio già in possesso e senza alcun limite di età. Basta fare una fotografia a una classe di studenti di Univ3, l’Università della Terza Età di Novara: una serie di volti molto variegati in quanto a età, con una media di 71 anni (si va dallo studente più giovane di 59 a quello più “attempato” di 92 anni!).
Le università della terza età sono organizzate in modo autonomo, ma ci sono dei requisiti minimi da rispettare. Per esempio, devono essere garantiti almeno 6 corsi all’anno per un minimo di 100 ore ciascuno. La differenza principale rispetto all’università tradizionale è che mentre quest’ultima offre una preparazione ad hoc allo scopo principale di immettere il laureato nel mondo del lavoro, l’università della terza età ambisce alla diffusione della cultura e alla piena realizzazione personale del soggetto, indipendentemente da finalità lavorative. Sembrerà strano, ma non c’è un risvolto “pratico” al termine del percorso, tanto è vero che invece di un diploma di laurea si ottiene un attestato, non valido ai fini legali, e anche dopo aver concluso una prima esperienza si può continuare a frequentare finché se ne ha voglia.
In quanto a offerta formativa, c’è l’imbarazzo della scelta. A Univ3 Novara, per esempio, si spazia dai corsi tradizionali di storia, letteratura, lingue straniere, diritto ed economia e medicina ai laboratori di canto corale, pittura o restauro. In un momento dove avere dimestichezza con il computer può senz’altro fare comodo, ecco che Univ3 interviene con i corsi di informatica a vari livelli e persino di “fotografia con il telefonino” per permettere anche ai nonni di farsi un selfie con i nipoti. Non mancano inoltre le proposte meno canoniche ma più accattivanti come “Parlate novaresi”, o, per gli intenditori, “Conosciamo la Negroni”, oppure corsi costruiti appositamente per studenti “senior”, come “geragogia”, cioè educazione all’invecchiamento, oppure “caregiver”, sulla figura di chi si prende cura dell’anziano.
In un sondaggio a cui hanno risposto con entusiasmo una cinquantina di studenti del corso di “Medicina e ricerca scientifica” di Univ3 tutti, ma proprio tutti, hanno valutato la propria esperienza all’università della terza età come positiva o molto positiva e i più estroversi si sono lanciati in commenti di apprezzamento o suggerimenti per migliorare l’offerta formativa ancora di più, addirittura proponendo corsi di yoga e tai chi. Alcuni si sono quasi “lamentati” di non essere stati ammessi ai corsi desiderati per il numero eccessivo di richieste!
Risultati del sondaggio su 47 studenti iscritti al corso di “Medicina e ricerca scientifica” di Univ3
I PRO E I CONTRO: cosa dice la scienza
Dallo stesso sondaggio è emerso che la maggioranza degli studenti ha scelto di frequentare i corsi semplicemente per mantenere allenata la mente, per allargare le proprie conoscenze e avere altri interessi. “Voglio essere sempre nel mondo” confessa uno di loro, riassumendo in poche parole le motivazioni che hanno spinto la maggior parte dei compagni di corso a fare questa scelta. Non c’è dubbio, un’aula universitaria, anche se “della terza età”, è un’ottima opportunità per non rimanere isolati e permette di migliorare le capacità relazionali. È una vera e propria palestra della mente, utile per stimolare la memoria e le prestazioni cognitive in generale. Diversi studi scientifici sono concordi nell’affermare che uno stile di vita attivo sia fisicamente che mentalmente e una buona integrazione sociale hanno un impatto positivo significativo sull’aspettativa di vita e sul rischio di alcune patologie, al primo posto quelle cardiovascolari. Già nel 1996 uno studio svedese dimostrava che chi legge libri e giornali abitualmente o partecipa a eventi e attività culturali vive più a lungo dei soggetti meno attivi e più socialmente isolati. Sembra inoltre che l’isolamento sociale acceleri il declino cognitivo. I meccanismi alla base di questa associazione potrebbero essere il mantenimento della cosiddetta “riserva cognitiva” promosso dall’attività fisica e mentale, che da una parte stimolano la formazione dei neuroni e la creazione di nuove sinapsi o ne rallentano la perdita e dall’altra contribuiscono alla salute vascolare anche a livello cerebrale.
Un possibile scoglio potrebbe essere la difficoltà a tornare sui libri dopo tanto tempo. Come si è detto, la memoria va allenata e dopo anni dedicati ad attività completamente diverse potrebbe ritrovarsi un po’ arrugginita. Anche l’attenzione potrebbe creare qualche problema. Rimanere concentrati per un’intera lezione può essere difficile, almeno all’inizio, e dato che è scientificamente dimostrato che attenzione e memoria sono strettamente legate, potrebbe avere un impatto sulla capacità di immagazzinare informazioni.
Questi ostacoli non hanno però spaventato il nostro campione di intervistati:: tra gli studenti di Univ3, più dell’80% non ha lamentato particolari difficoltà a seguire i seminari offerti. Chi lo ha fatto, ha sottolineato che i problemi principali emergono proprio in fatto di memoria (50%) e attenzione (25%), ma ha subito liquidato la questione semplicemente suggerendo più pause durante le lezioni o confessando di migliorare di giorno in giorno seguendo attivamente le lezioni (“Più partecipo, più memorizzo”, commenta uno studente di Univ3). Anche Anna è dello stesso avviso: l’aver seguito tutte le lezioni in presenza, senza basarsi solo su appunti a posteriori, l’ha aiutata molto a memorizzare le informazioni. Allenamento costante e partecipazione attiva sono quindi le parole chiave per diventare studenti modello, indipendentemente dall’età, e per levigare gli scogli che l’età potrebbe rendere un po’ più appuntiti.
Per chi si iscrive all’università “vera”, un altro possibile ostacolo potrebbe derivare dalla differenza di età, ma forse è solo un preconcetto pensare che non avere più vent’anni possa compromettere le relazioni con gli altri studenti o, al contrario, facilitare la propria carriera universitaria. Ancora una volta è Anna a dare una risposta definitiva: nonostante i suoi 60 anni, sin dai primi giorni ha avuto la piacevole impressione di non essere una “mosca bianca” e, dopo la diffidenza iniziale, il ghiaccio si è rotto, dal “lei” si è passati al “tu” e in poco tempo si è creata un gruppetto di compagni di avventura. Lo stesso è valso per il rapporto con i professori, che l’hanno trattata esattamente come qualsiasi altra studentessa, senza favoritismi.
“Non mi hanno risparmiato proprio nulla, dal tirocinio formativo fino alla bocciatura all’esame di inglese! Ho preferito così, soprattutto per essere alla pari nei confronti degli altri studenti. Non volevo un trattamento di favore.”
“I più malevoli, quando vedevano che gli esami stavano andando bene, dicevano che era ovvio, che i professori, data la mia età, si sentivano in dovere di essere meno severi e di dare voti più alti. Così non è stato, e l’ho apprezzato molto.“
Anzi, il fatto di essere “grande” l’ha aiutata in molte occasioni, ad esempio ad esporre con una migliore dialettica dettata dall’esperienza. Non aveva 60 anni per niente!
“Non si smette mai di imparare” non è quindi solo un modo di dire. Davvero non è mai troppo tardi per regalarsi un’esperienza arricchente per riempire il proprio bagaglio culturale, con tanto di guadagnato per la mente, sempre in allenamento, e per il proprio benessere a tutto tondo. La domanda da porsi è questa: la decisione che sto per prendere potrebbe migliorare la qualità della vita che sto vivendo ora? Se la risposta è anche solo “forse”, allora vale la pena tentare.
Intervista integrale a una pensionata da 110 e lode
Riferimenti
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“Laurearsi a 60 Anni Conviene? I pro e i Contro” 2021. Blog Università Telematiche . November 13, 2021
“Le Università Della Terza Età: Cosa Sono e Dove Si Trovano?” 2021. Fondazione Alberto Sordi. October 1, 2021
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