Morte, amore, memoria. Già dalle prime righe, anzi, già dall’epigrafe, Marguerite Yourcenar ci fa sentire in quale intrico di ricordi, sentimenti, riflessioni stiamo per addentrarci, e di chi sarà il vivere e l’invecchiare ad accompagnarci per tutto il libro: dell’imperatore romano Adriano, vissuto nel secondo secolo dopo Cristo.
“Memorie di Adriano” riporta in apertura quelli che sono noti per essere stati alcuni versi pronunciati dall’imperatore stesso in punto di morte: Anima vagula blandula, verso in genere tradotto con Piccola anima smarrita e soave. Si narra infatti che questi fossero gli ultimi pensieri dell’imperatore Adriano, e che egli si rivolgesse così alla sua anima sentendo l’avvicinarsi imminente della morte, che lo coglierà a 62 anni, malato di cuore da tempo.
L’autrice sfrutta questa consapevolezza per l’incipit del suo libro, che vede Adriano riflettere sulla sua ultima visita dal medico, che segna il suo declino fisico, e su come il corpo, una volta suo servo fedele, lo abbia ormai abbandonato. Adriano contempla con rassegnazione e serenità la prossima, seppur non imminente, venuta della morte. Coglie l’occasione per scrivere una lunga lettera – il libro stesso è un romanzo epistolare – indirizzata a Marco Aurelio, suo nipote adottivo e futuro imperatore, per affidare a lui i suoi pensieri, la sua eredità filosofica e non solo.
Come il viaggiatore che naviga tra le isole dell’Arcipelago vede levarsi a sera i vapori luminosi, e scopre a poco a poco la linea della costa, così io comincio a scorgere il profilo della mia morte” scrive Adriano, e piano piano, a partire da alcune riflessioni sui piaceri della carne che lo abbandonano – alcune frasi dedicate al sonno e all’insonnia paiono molto sincere – si rende conto che l’intento della sua lettera non sarà tanto informare Marco Aurelio sul suo stato di salute, ma piuttosto raccontargli cosa è stata la sua vita, chi è stato davvero Adriano e cosa ha desiderato: “Poco a poco, questa lettera cominciata per informarti dei progressi del mio male è diventata (…) la meditazione scritta d’un malato che dà udienza ai ricordi. Ora, mi propongo ancor più: ho concepito il progetto di raccontarti la mia vita”. Marguerite Yourcenar ci restituisce il ritratto di un imperatore appassionato della cultura, della filosofia e dell’architettura greca, attraverso un’opera che, per la sua intensità, scrupolosa documentazione, profondità di analisi e stile impeccabile, è considerata il suo capolavoro.

La meraviglia del libro di Yourcenar va oltre lo stile e la rappresentazione della società dell’epoca: è coinvolgente e commovente anche nel narrare l’amore che legava l’imperatore Adriano a Antinoo, un giovane nato in Bitinia che lo seguì nei suoi viaggi, fino a quando, in circostanze mai chiarite, morì durante una navigazione sul Nilo. Le pagine in cui Adriano riflette sulla morte di Antinoo, la sua disperazione, legano la fine tragica del suo amore al suo improvviso invecchiare, alla perdita di speranza, all’ossessione per il suicidio: “Tutto crollò attorno a me, tutto sembrò spegnersi. Zeus Olimpico, il Padrone di tutte le cose, il Salvatore del Mondo precipitò: non vi fu più che un uomo dai capelli grigi che singhiozzava, sul ponte d’una barca”.
La maestria di Yourcenar trasforma Adriano da mera figura storica a un essere vivido, rendendo la sua saggezza evidente. Sebbene non riesca a superare completamente la morte di Antinoo – la cui memoria sarà onorata con un culto e una città – la sua saggezza gli impedisce di considerare il suicidio come un’opzione per porre fine alla propria vita. Questa consapevolezza, ancora una volta, si trasmetterà attraverso il suo essere.: “Per tutta la vita, mi sono fidato della saggezza del mio corpo; ho cercato di assaporare con criterio le sensazioni che questo amico mi procurava; devo a me stesso d’apprezzarne anche le ultime. Non respingo più quest’agonia fatta per me, questa fine lentamente elaborata dal fondo delle mie arterie, forse ereditata da un antenato preparata poco a poco da ciascuno dei miei atti nel corso della mia vita. L’ora dell’impazienza è passata; al punto in cui sono, la disperazione sarebbe di cattivo gusto tanto quanto la speranza. Ho rinunciato a precipitare la mia morte. Resta ancora tutto da fare”.
Giunto così alle ultime fasi della sua vita, l’imperatore sa che ci sono ancora diverse faccende da sistemare. Tra queste, è importante che Marco Aurelio sia adottato e, almeno nella finzione, far sì che possa godere di questa lunga lettera non solo come testimonianza ma anche come guida per il suo futuro di imperatore. Così quello che all’inizio era un racconto di cui Adriano stesso scriveva “ignoro a quali conclusioni mi trascinerà” rimane come un testamento di una certa filosofia, di una certa idea della vita, ma anche di come abbandonarsi alla vecchiaia con consapevolezza, riprendendo quello che da principio Adriano sperava, ovvero che il racconto sarebbe diventato un “esame dei fatti per definirmi, forse anche per giudicarmi o, almeno, per conoscermi meglio prima di morire”.

 

Perché leggerlo

“Memorie di Adriano” è un libro di straordinaria profondità per le sue riflessioni sulla morte, sulla mortalità, sull’invecchiare e sull’amore. Attraverso le parole dell’Imperatore Adriano, Marguerite Yourcenar mette su carta le nostre paure di perdere la vitalità, l’eros e la gioventù e affrontare l’inevitabile avvicinarsi della fine. Un elemento che rende questa lunga epistola così coinvolgente è la sua capacità di mettere a nudo Adriano come uomo e come imperatore, nelle sue ambizioni così come nelle sue fragilità.
Un’altra ragione per leggere questo libro è godere della fascinazione che l’autrice stessa ebbe per Antinoo e per Adriano e per le loro vite, studiate e ripensate per lunghi anni prima di dare alle stampe il libro. Nelle pagine di “Taccuini di appunti”, che seguono il romanzo, Yourcenar condivide alcune parti del suo processo creativo e le ragioni che l’hanno ispirata a scrivere il romanzo, tra cui una visita da giovane alla Villa Adriana a Tivoli in compagnia del padre. Ne emerge il magnifico ritratto di una figura storica, a cavallo tra storia romana e cultura e filosofia greca, che Yourcenar, pur senza scrivere un romanzo storico, ha reso accessibile a tanti.
Da ultimo, senza avere l’ambizione di riuscire come l’autrice a rendere una voce così lontana, certamente Memorie di Adriano rappresenta un esempio per chi di noi si volesse cimentare in riflessioni sulla propria vita e sul ruolo della memoria.

 

Come comincia

Mio caro Marco,
Sono andato stamattina dal mio medico, Ermogene, recentemente rientrato in Villa da un lungo viaggio in Asia. Bisognava che mi visitasse a digiuno ed eravamo d’accordo per incontrarci di primo mattino. Ho deposto mantello e tunica; mi sono adagiato sul letto. Ti risparmio particolari che sarebbero altrettanto sgradevoli per te quanto lo sono per me, e la descrizione del corpo d’un uomo che s’inoltra negli anni ed è vicino a morire di un’idropisia del cuore. Diciamo solo che ho tossito, respirato, trattenuto il fiato, secondo le indicazioni di Ermogene, allarmato suo malgrado per la rapidità dei progressi del male, pronto ad attribuirne la colpa al giovane Giolla, che m’ha curato in sua assenza. E’ difficile rimanere imperatore in presenza di un medico; difficile anche conservare la propria essenza umana: l’occhio del medico non vede in me che un aggregato di umori, povero amalgama di linfa e di sangue. E per la prima volta, stamane, m’è venuto in mente che il mio corpo, compagno fedele, amico sicuro e a me noto più dell’anima, è solo un mostro subdolo che finirà per divorare il padrone. Basta…

 

Scheda Libro

AUTORE: Marguerite Yourcenar
TITOLO: Memorie di Adriano
TRADUZIONE: Lidia Storoni Mazzolani
EDITORE: Einaudi

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