Il noto psichiatra e proficuo saggista Vittorino Andreoli dedica ai lettori più anziani questo scritto “Lettera a un vecchio”. Una serie di curiose osservazioni, riflessioni e pensieri che compongono alla fine un quadro più definito. Osservando il mondo dei vecchi – termine che l’autore stesso predilige ad altri – Andreoli compie un volo d’uccello sul mondo e sulla società contemporanea.
Un giro a trecentosessanta gradi intorno a vari aspetti della vita, ponendo la lente d’ingrandimento sull’impatto di questi sull’anzianità: dall’alimentazione alla malattia, passando per il senso di solitudine e le nuove tecnologie.
Andreoli mette a disposizione la sua esperienza di maître à penser per andare in profondità rispetto a tutti aspetti della vita sociale, ma lo fa con gli occhi dell’anziano.
Lettera a un vecchio: la vecchiaia come stile di vita
Fin dalle prime pagine, l’autore mette in chiaro la sua posizione: essere vecchi è bello ma non è da tutti poter arrivare alla fase della vita più libera dalla tirannia del tempo e degli impegni. Certo però, occorre anche essere consapevoli – anzi maturare piano piano la consapevolezza – che quello che in apparenza può risultare un periodo faticoso e più incline alla solitudine e alle malattie, può essere invece rivalutato completamente. Come detto, si tratta di un percorso verso una maturità senile che l’autore vuole agevolare al lettore, ribaltando completamente alcune prospettive, in apparenza non così confortanti, della vecchiaia.
Il messaggio più importante che il saggista ci lascia, di fatto, è proprio questo: l’essere vecchi è “una nuova percezione di sé e del mondo”, un modo del tutto diverso di concepire e concepirsi, ma bisogna essere disposti, in primis, ad accettarlo. Forte critica è infatti rivolta a quello che l’autore chiama “giovanilismo”, ovvero al voler sentirsi giovani a tutti costi, continuando a cercare e ricercare quella vita e quel modo di approcciarsi ad essa che non può più esserci. La “missione” di Andreoli è invece quella di illuminare la strada a chi invece cerca nell’ultima fase un ulteriore cammino da intraprendere all’insegna dell’esperienza e della maturità accumulate per tutta una vita.
La ricerca della solitudine
Uno dei passaggi più intensi di tutto il libro è quello dove l’autore parla di uno degli ostacoli più grandi dell’esistenza di un’anziano: la solitudine. Spesso infatti essere anziani è sinonimo di essere soli, un po’ perché costretti dallo scorrere del tempo, un po’ perché spesso l’anzianità è associata, da chi non la vive, a responsabilità. Responsabilità significa prendersi cura, e non sempre questo atto è vissuto con positività. Capita infatti di guardare ai vecchi solo come “qualcosa a cui badare”, o peggio, un peso da cui volersi liberare.
Tuttavia, mettendo da parte gli aspetti più tristi di questa condizione, l’autore invita i lettori quasi a ricercare la solitudine.
Come accennato in precedenza, scopo del saggista è quello di fornire nuovi occhi per guardare l’anzianità, e quello della solitudine ne è forse il più forte esempio.
Vittorino Andreoli parte dall’esempio dei monaci e dei santi eremiti, che nella scelta dell’isolamento più profondo trovavano un ponte verso l’illuminazione – o il contatto con Dio nel caso dei secondi. I casi citati chiamano un’idea di solitudine come quella di dare valore al tempo, di guardare al tempo passato da soli come tempo da spendere con sé stessi e alla ricerca di sé stessi. Ecco che quindi quella che di primo impatto appare come una condizione totalmente negativa su tutti i fronti, acquisisce tutt’altra veste e significato. Sfruttare il molto tempo libero che l’età anziana concede in modo costruttivo, utilizzando le ore da soli per andare alla ricerca di qualcosa che c’è stato, o chiedendosi cosa accadrà nel futuro, insomma, riflettere e meditare.
Così come per lo stare soli, nel corso di tutto il libro sono molteplici i concetti che vengono affrontati e, spesso, osservati sotto una luce nuova, che ben si presta alla fase di vita protagonista di tutto lo scritto.
Questo per Andreoli è il modo di vivere l’esser vecchi, esplorando questa condizione con lo spirito del tempo, del proprio tempo, quello che non possiamo controllare e che l’età anagrafica sceglie per noi. Quello che può fare paura a una certa età, può essere un’opportunità in un’altra, tutto sta nel decidere di saltare dall’altro lato di quella paura.
L’accettazione di sé passa per il confronto
La piena realizzazione di tutto questo, di un rapporto sano con la propria età, non può tuttavia esserci senza l’elemento fondamentale dell’apertura di spirito. Andreoli infatti accenna anche a delle piccole critiche sulla rigidità di pensiero, spesso tipica di chi ha tanti anni sulle spalle.
Risultato di tale rigidità sono i conflitti generazionali, che però dovrebbero essere percepiti come un veicolo di confronto e strumento di relazione piuttosto che causa di sterili e divergenti conflitti. Per chi ha vissuto tanto è semplice confondere la propria esperienza con la verità, ma questo non deve fermare la continua ricerca del nuovo in tutte le sue forme.
Il contatto con figli, nipoti, e più in generale con le generazioni più giovani, può e deve essere uno strumento prezioso anche per superare punti di vista e pregiudizi che magari si è portati con sé per molto tempo. Le nuove generazioni sono una risorsa e anche in questo la lettera di Andreoli può aiutare chi fa più fatica a “sfruttarla”.
Infine, dunque, l’autore sottolinea come un sano confronto con gli altri e, soprattutto, con le proprie posizioni, sia fondamentale per abbracciare il nuovo stile di vita.
Chi è vecchio ha molto più tempo libero e l’autore, ancora una volta, tiene a sottolineare quanto questo possa essere un dono, che invita chi lo possiede a dedicarsi quasi completamente all’altro. L’aver tanti anni anni d’esperienza da poter condividere, scrive l’autore, fanno del vecchio un “saggio della fragilità”.
Una definizione affascinante, che chiama sia l’idea classica che associa la vecchia alla saggezza, ma anche un’idea nuova, dai toni più umani.
Chi, più di chi ha vissuto tanto, può dare ai cari e al mondo, un consiglio più lucido su come affrontare tutti quei dubbi, quei bivi e quelle difficoltà che contraddistinguono l’esperienza di ciascuno? E chi può mettere più di tutti il proprio tempo a disposizione per essere per gli altri un aiuto concreto e un punto di riferimento?
Il vecchio, per Andreoli, è un faro, una luce che il mondo non deve assolutamente lasciar spegnere. È importante, quindi, che chi si appresta a iniziare l’ultimo atto della propria esistenza terrena l’abbracci non con triste rassegnazione, ma con l’entusiasmo di una nuova avventura.
Scheda libro
AUTORE: Vittorino Andreoli
TITOLO: Lettera a un vecchio
EDITORE: Solferino
PAGINE: 140