Mantengono l’equilibrio di acqua e sali, producono sostanze importanti come vitamina D ed eritropoietina, eliminano scorie altrimenti dannose per il nostro organismo: i reni sono organi preziosi e molto complessi. Con il passare del tempo, tuttavia, essi invecchiano con noi: la funzione renale può diminuire progressivamente, fino a portare alla malattia renale cronica, la quale, negli stadi più gravi, necessita la dialisi, oppure il trapianto. Tra i diversi fattori di rischio che predispongono e guidano verso la malattia renale, spesso le lesioni renali acute sono poco considerate. Eppure, individuare in maniera tempestiva questi episodi è fondamentale per una ospedalizzazione più sicura e per scongiurare una futura malattia renale cronica.
È proprio in risposta a questa esigenza che il gruppo di ricerca del Professor Vincenzo Cantaluppi, direttore della struttura complessa a direzione universitaria di Nefrologia e Trapianto Renale dell’Ospedale Maggiore di Novara, nell’ambito del progetto Aging, ha iniziato lo studio NOV-AKI, volto a identificare un modello per la gestione delle lesioni renali acute in pazienti anziani ricoverati nell’ospedale di Novara.
Professor Cantaluppi, cosa sono le lesioni renali acute? Che ruolo hanno nell’anziano?
Le lesioni renali acute, che in inglese vengono chiamate Acute Kidney Injuries (AKI), consistono in una perdita improvvisa e repentina della funzione renale. Comunemente avvengono durante il ricovero ospedaliero, ma possono verificarsi anche fuori dall’ospedale, sul territorio. Le lesioni renali acute, infatti, comprendono molte situazioni patologiche: un esempio può essere la persona anziana fortemente disidratata, magari a causa di una gastroenterite, si presenta in pronto soccorso con una lesione già avvenuta. La stessa cosa può succedere anche a un paziente che, durante un intervento chirurgico in ospedale, sviluppa una lesione renale.
In ospedale, le principali cause di lesioni renali acute, infatti, sono gli interventi cardiovascolari, la sepsi batterica o la somministrazione di farmaci la cui eliminazione stressa il rene, come gli antibiotici o il mezzo di contrasto usato in esami diagnostici. Conta, quindi, anche la tempistica di rilevazione della lesione: in base a ciò si parla di lesione sul territorio oppure di lesione intraospedaliera.
Oggi abbiamo una definizione precisa delle lesioni renali acute, che le fa differenziare in stadi, basate sull’aumento della creatininemia, la quantità di creatinina nel sangue, e sulla riduzione del volume di diuresi. Per esempio, lo stadio 3 è il più grave, che necessita una dialisi d’urgenza. L’uso di questa classificazione permette una stratificazione dei pazienti ricoverati in ospedale in base al rischio di mortalità ospedaliera.
Come è nato questo progetto?
Per prima cosa abbiamo considerato i dati del nostro ospedale. Normalmente quello che si faceva era cercare, nelle cartelle cliniche, quando si riportava di lesioni renali acute: questo però portava a sottostimare gli eventi di lesione renale, perché quelle che venivano riportate tipicamente erano le lesioni più gravi, che richiedevano dialisi.
In realtà è stato creato un database con i dati raccolti in ospedale che incrocia quelli derivanti dalle cartelle cliniche dei pazienti con gli esami del sangue, riuscendo a individuare le lesioni renali a stadi meno avanzati. In questo modo, siamo riusciti a distinguere la mortalità ospedaliera sulla base dello stadio delle lesioni renali: ad esempio abbiamo visto che il passaggio da assenza di lesione a un’AKI di stadio 1 triplica la mortalità ospedaliera.
Questi sono parametri molto importanti per gestire l’ospedalizzazione del paziente, anche guardando i costi sanitari, oltre a giocare un ruolo determinante nella progressione della malattia renale, in quanto le lesioni renali acute insorgono di più in quei pazienti che presentano i fattori di rischio per la malattia renale cronica.
Quali sono i vostri obiettivi?
Il progetto, patrocinato anche dalla Società Italiana di Nefrologia, prevede tre parti: la prima è epidemiologica, e vuole indagare la reale incidenza delle lesioni renali acute intraospedaliere, la seconda è quella di creare un modello integrato di sviluppo delle lesioni renali acute tra ospedale e territorio.
Questo si è tradotto con la creazione di un ambulatorio post-AKI che, attraverso una valutazione specialistica nefrologica, vuole sia individuare le lesioni renali più gravi sia supportare i medici di medicina generale, avvisandoli che un loro paziente, durante il ricovero ospedaliero, ha avuto un episodio di insufficienza renale acuta. Il medico a questo punto farà eseguire al suo paziente, almeno una volta l’anno, gli esami diagnostici: se sono stabili lo può continuare a gestire, se invece c’è qualche problema (che sarà nostro compito far individuare), deve avvertire il nefrologo. In questo modo, i pazienti, dopo la dimissione dall’ospedale possono essere seguiti più efficacemente, scongiurando l’insufficienza renale cronica.
La terza parte prevede anche l’utilizzo della biobanca che si sta creando in UPO: consiste nel raccoglimento e nello studio dei campioni plasmatici e urinari dei pazienti che hanno avuto una lesione renale acuta. Così si ottiene un quadro il più possibile completo dei pazienti che stanno andando incontro alla malattia renale cronica, in modo da identificare nuovi obiettivi terapeutici.