Le vertigini sono il motivo di circa il 5% delle visite mediche e sono tanto più frequenti quanto più s’invecchia: ne ha sofferto il 27% delle persone a 70 anni, ma il 54% nei novantenni. La vertigine è stata definita una sfida diagnostica, perché difficile da definire, impossibile da misurare e problematica da trattare.  Il termine, infatti, descrive una sensazione soggettiva che può essere d’instabilità nella postura e nel cammino o d’intensa e persistente sensazione di rotazione o anche di malessere e di obnubilamento. Le vertigini possono generare un senso di insicurezza, una riduzione dell’autonomia, aumentare il rischio di cadute e peggiorare sensibilmente la qualità della vita.

Ne abbiamo parlato con il professor Paolo Aluffi Valletti , Direttore della SCDU Otorinolaringoiatria AOU Maggiore Novara e Direttore Scuola di Specializzazione in Otorinolaringoiatria dell’Università del Piemonte Orientale

Le vertigini sono un fenomeno estremamente diffuso, ma non sono tutte uguali. Per esempio esistono vertigini periferiche, la cui causa si colloca a livello dell’orecchio interno, e vertigini centrali, causate da un problema a livello dell’encefalo: potrebbe spiegarci come si distinguono?

La classica vertigine periferica è acuta, rotatoria (si dice “oggettiva”, perché è il mondo che sembra girare), accompagnata da sintomi di durata limitata (da secondi o minuti a ore). Si tratta di solito di forme benigne che possono talora risolversi spontaneamente (come, per esempio, la vertigine posizionale da otoliti), anche senza farmaci.

La vertigine di origine centrale è meno intensa dal punto di vista dei sintomi, ma tende a continuare nel tempo ed è accompagnata da segni neurologici, che possono manifestarsi anche in un secondo momento.

A questo proposito, va segnalato che, in una persona anziana con patologie vascolari, una vertigine acuta potrebbe esordire come apparentemente benigna per poi, a distanza di ore/giorni, rivelare un coinvolgimento del sistema nervoso centrale: il paziente anziano con vertigini acute è, quindi, un paziente da monitorare nel tempo.

Nella popolazione anziana sono più frequenti le vertigini di origine periferica o quelle di origine centrale?

In età avanzata, le vertigini tendono a essere multifattoriali e quindi sono sia periferiche, sia centrali: gli anziani sono spesso portatori di patologie vascolari, cardiache e cerebrali e i deficit circolatori possono ripercuotersi sulla funzionalità dell’orecchio interno e dell’apparato vestibolare. Inoltre, gli anziani spesso assumono molti farmaci, che talvolta interagiscono tra loro con effetti negativi sulle varie strutture, oto-neurologiche, visive o scheletriche, che concorrono al mantenimento dell’equilibrio.

Quali sono i fattori di rischio di una crisi vertiginosa nelle persone anziane?

Sicuramente l’età avanzata, per il complesso di ragioni illustrate (patologie vascolari, disturbi del sonno, della memoria, della sfera cognitiva e della vista e l’assunzione di molti farmaci) e, probabilmente, i problemi di metabolismo del calcio e della vitamina D nelle donne con osteoporosi

Quali informazioni può essere utile condividere con il medico in caso di episodi di vertigini?

Per il medico è importante conoscere:

  • la durata della crisi di vertigine
  • l’eventuale coesistenza di disturbi dell’udito (ipoacusia, perdita monolaterale dell’udito, fastidio per i suoni, ovattamento auricolare, acufene (presenti, per esempio, nella malattia di Ménière, che è tra le più frequenti cause di sofferenza vestibolare periferica)
  • l’eventuale presenza di sintomi di tipo neurologico (visione doppia, difficoltà ad articolare le parole, perdita delle sensazioni tattili)
  • l’eventuale presenza di nausea, vomito, sudorazione o altre manifestazioni di iperattività vagale
  • l’anamnesi personale, familiare e patologica remota e prossima (in particolare emicrania, patologie vascolari, diabete, pregresso trauma cranico, disordini psichiatrici)
  • i farmaci assunti (in particolare, farmaci sedativi, anticonvulsivanti, litio)
  • l’esistenza di eventuali fattori che innescano il sintomo: una vertigine episodica scatenata dal movimento della testa può essere posizionale benigna, mentre senza fattori scatenanti può essere una neurite vestibolare.

Che tipo di esami vengono svolti durante la visita per raggiungere una diagnosi?

L’esame vestibolare (il vestibolo è una parte dell’orecchio interno ndR) è una visita medica, condotta in genere da un otorinolaringoiatra o audiologo, che può essere eseguita anche al letto del paziente e che è così informativa da rendere, il più delle volte, non necessarie le indagini strumentali.

I test vestibolari valutano la funzione vestibolare da fermi e in movimento (statica e dinamica) e includono l’esame dei movimenti oculari (ricerca del nistagmo) e quelli della postura e della deambulazione, come il test di Romberg e quello delle braccia tese, che mostra la deviazione segmentaria degli arti. I pazienti con un deficit vestibolare acuto unilaterale, deviano o cadono verso il lato patologico, a meno che tengano gli occhi aperti e i piedi divaricati. I pazienti con vertigine di origine centrale, invece, sono sempre incapaci di stare in piedi senza aiuto.
Se i sintomi lo richiedono, si procede anche a una valutazione internistica e neurologica generale del paziente e a eventuali indagini strumentali integrative (Tac, Risonanza magnetica).
Tuttavia, proprio per la multifattorialità della vertigine senile, in una quota consistente di pazienti anziani non è possibile arrivare a una diagnosi univoca; per queste complesse alterazioni senili dell’equilibrio, una volta escluse cause specifiche, è stata coniata la definizione “presbiastasia”.

Cos’è il nistagmo?

È un segno tra i più importanti di quelli rilevati durante l’esame vestibolare, perché è, quasi sempre, indice di una sofferenza vestibolare: si tratta di un movimento oscillatorio, ritmico e involontario dei globi oculari, che, a seconda delle sue caratteristiche, è rivelatore dell’origine periferica o centrale della vertigine. Altri movimenti dell’occhio che vanno ricercati con manovre particolari sono le saccadi, movimenti involontari di aggiustamento della mira visiva.

È frequente, nell’anziano, la vertigine parossistica posizionale benigna?

La vertigine posizionale parossistica è, in assoluto, la forma più frequente di vertigine periferica e tende ad aumentare di frequenza nell’età. Spesso, a livello delle cure primarie, viene misconosciuta, perché diagnosticata come “capogiro” causato da artrosi cervicale, anche se l’artrosi cervicale di per sé non è correttamente inquadrabile tra le cause di “vertigine”.

Qual è la causa della vertigine parossistica posizionale benigna?

La vertigine parossistica posizionale benigna (VPPB) è causata dal movimento di sassolini di ossalato e carbonato di calcio, normalmente posizionati nella cupola che ricopre l’utricolo e il sacculo che governano l’equilibrio negli spostamenti lineari del capo nelle varie direzioni dello spazio. Se questi sassolini (detti otoliti o otoconi, per cui la VPPB viene anche chiamata canalolitiasi o cupololitiasi) si staccano e si muovono nel liquido dei canali semicircolari, che invece governano l’equilibrio degli spostamenti angolari, causano l’illusione della rotazione.
La VPPB è scatenata da movimenti (alzarsi dal letto o anche stendersi, alzare o abbassare o ruotare la testa) e tende a ripresentarsi con gli stessi movimenti.

Quali sono le manovre indicate nell’anziano per risolvere una vertigine posizionale parossistica?

La vertigine posizionale parossistica è ben curabile con le cosiddette manovre liberatorie, tra cui la più usata è quella di Epley, che prevede delle rotazioni forzate della testa finalizzate a riportare gli otoliti migranti al loro posto, nell’utricolo. Ve ne sono altre, però, che, con adeguati accorgimenti, possono essere condotte con minor disagio per l’anziano.

Qual è la terapia della sindrome vertiginosa?

La terapia farmacologica si basa sulla somministrazione di antistaminici, sedativi e, in generale farmaci sintomatici che migliorano il compenso vestibolare e, ove sia possibile riconoscerla, combattano la causa delle vertigini.
È, però, importante sottolineare che, soprattutto nei soggetti anziani, l’uso a lungo termine di farmaci soppressori vestibolari, il confinamento e l’immobilizzazione al buio ritardano il compenso vestibolare (l’insieme di processi neurologici complessi che consentono a un soggetto che ha subito una perdita improvvisa della funzione vestibolare di ritornare alla normalità)  e quindi il miglioramento dei sintomi. Inoltre, l’abuso di sedativi può alterare la sfera cognitiva e la vigilanza, con peggioramento dell’equilibrio. Il recupero della funzione è tanto più dilazionato quanto maggiore è stata la durata dell’immobilità: quindi, superata la fase più acuta, la mobilizzazione deve essere precoce e associata a protocolli riabilitativi vestibolari ed eventualmente a farmaci in grado di favorire il compenso centrale (come la betaistina, che aumenta il flusso sanguigno nell’area cocleo- vestibolare).

In cosa consiste la riabilitazione vestibolare?

Consiste nell’esecuzione (dapprima sotto la guida di un tutor e poi, quando possibile, in autonomia, al proprio domicilio) di una serie di esercizi motori della testa e del corpo che stimolano la funzione vestibolare e gli apparati che concorrono al mantenimento dell’equilibrio (vista, sistema muscolo-scheletrico) e favoriscono il compenso, migliorando l’equilibrio statico e dinamico.
Questi esercizi sono eseguibili anche da persone anziane o molto anziane, a meno di gravi difficoltà muscolo-scheletriche o cognitive. La riabilitazione vestibolare può limitare la ricorrenza delle crisi di vertigini.

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