Secondo quanto ricordato da James Joyce, ogni scrittore ha nella propria penna un solo romanzo, e quando se ne scrivono molti in realtà sono soltanto varianti del primo. Nessuna definizione poteva essere più appropriata per l’opera dello scrittore triestino Aron Hector Schmitz (1861-1928), noto con lo pseudonimo letterario di Italo Svevo, che nei suoi tre romanzi (Una vita, 1982; Senilità, 1898; La coscienza di Zeno, 1923) ripropone con accenti e sfumature diverse il tema dell’inetto, embrionale nel primo romanzo (Un inetto doveva essere originariamente il titolo di pubblicazione), dell’uomo comune e inerme nei confronti delle vicissitudini della vita quotidiana, una sorta di anti-eroe dimesso e perdente, senza slanci virtuosi o dinamiche estetizzanti, nell’epoca in cui il modello dell’uomo decadente, della vita come arte e arte come vita di derivazione dannunziana era preponderante nel pubblico dei lettori e privilegiato nelle scelte editoriali. Non stupisce pertanto che Schmitz, fu ogni volta costretto a pubblicare a sue spese tutti e tre i romanzi, dopo ripetuti rifiuti dei principali editori contemporanei e una sostanziale indifferenza del mondo culturale e letterario italiano.
Il romanzo sveviano è in realtà un anti-modello: in epoca di imperante dannunzianesimo e fortuna di autori minori che ritagliavano la propria produzione sui gusti del pubblico, Svevo propone una scrittura non decorativa, non evasiva e non estetizzante, lontana da eroismi e slanci retorici, pervasa dalla volontà di rappresentare sfumature diverse della sconfitta dei suoi personaggi (oppure, lo stesso personaggio da differenti angolazioni).
Dal personaggio inetto (Alfonso Nitti, Una vita) si passa in Senilità all’attesa dell’epifania della vita, che scorre inesorabile mentre Emilio Brentani nella sua identità piccolo borghese dai ritmi chiusi e ripetitivi cerca invano di prendervi parte. Emilio e la sorella Amalia hanno poco più di trent’anni ma sono irrimediabilmente vecchi: il primo, nel suo anelare insoddisfatto verso un’immagine di vita irrealizzabile, nel cui scontro egli prenderà piena coscienza del proprio fallimento, e la seconda «non era mai stata bella: lunga, secca, incolore-il Balli diceva che era nata grigia-di fanciulla non le erano rimaste che le mani bianche, sottili».
La senilità è qui la condizione interiore dei personaggi e il tono grigio di tutto il romanzo: l’inettitudine diventa rinuncia alla vita, slancio fallimentare, distanza incolmabile fra l’ideale e il reale.
Emilio vede nello scultore e amico Balli il modello esteriore di vita «giovanile» cui egli anela e, nello scialbo tentativo di imitarlo, si costruisce la propria rovina: «Egli s’era avvicinato a lei con l’idea di trovare un’avventura facile e breve, di quelle ch’egli aveva sentito descrivere tanto spesso e che a lui non erano toccate mai». Nella vana impresa di costruire un’altra immagine di sé, eccolo alle prese con Angiolina Zarri, femme fatale, nel cui dialogo sentiamo più la necessità del proprio autoconvincimento che l’interesse per l’inizio di una nuova conoscenza: «Mi piaci molto, ma nella mia vita non potrai essere giammai più importante di un giocattolo. Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia». È evidente in questo approccio il distacco fra l’ideale (carriera, famiglia) e il reale (l’impiego modesto in ufficio, una sola sorella triste e senza ambizioni), fra l’anelito di proporsi come l’amico tombeur de femmes ed alter ego nascosto e l’esito negativo di tutta la storia.
Perché leggerlo
Perché rileggere Senilità in questo contesto? Si tratta di una rilettura che deve tenere conto dell’originalità di un tema, quello dell’invecchiamento non legato allo stato fisico ma a quello mentale. La vecchiaia secondo Svevo non è quella del corpo ma quella dello spirito. La metafora della vecchiaia come sconfitta, come inettitudine ed esilio dalla vita è una metafora ancora efficace oggi? In epoca di ageismo e discriminazioni nei confronti degli anziani, forse sì.
Per la prima volta nella letteratura moderna si affronta il tema dell’esame psicologico, la riflessione interiore con l’intento di rivelarne i lati nevrotici, anti-ideali ed anti-lirici.
Come comincia
Subito, con le prime parole che le rivolse, volle avvisarla che non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria. Parlò cioè a un dipresso così: — T’amo molto e per il tuo bene desidero ci si metta d’accordo di andare molto cauti. — La parola era tanto prudente ch’era difficile di crederla detta per amore altrui e un po’ più franca avrebbe dovuto suonare così: — Mi piaci molto, ma nella mia vita non potrai essere giammai più importante di un giocattolo. Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia.
La sua famiglia? Una sola sorella, non ingombrante né fisicamente né moralmente, piccola e pallida, di qualche anno più giovane di lui, ma più vecchia per carattere o forse per destino. Dei due, era lui l’egoista, il giovine; ella viveva per lui come una madre dimentica di se stessa, ma ciò non impediva a lui di parlarne come di un altro destino importante legato al suo e che pesava sul suo, e così, sentendosi le spalle gravate di tanta responsabilità, egli traversava la vita cauto, lasciando da parte tutti i pericoli ma anche il godimento, la felicità. A trentacinque anni si ritrovava nell’anima la brama insoddisfatta di piaceri e di amore, e già l’amarezza di non averne goduto, e nel cervello una grande paura di se stesso e della debolezza del proprio carattere, invero piuttosto sospettata che saputa per esperienza.
Scheda Libro
AUTORE: Italo Svevo
TITOLO: Senilità
EDITORE: Newton
A cura di Lucio Boglione