Cosa pensereste se qualcuno si approfittasse delle vostre debolezze per vendervi prodotti miracolosi e inutili? Vi sentireste presi in giro, immaginiamo. Con una analisi più razionale, potreste dire che la vostra libertà di scelta del prodotto non è stata rispettata.
La tutela del consumatore è anche libertà di scelta ed è al centro del diritto privato di fonte europea che ha deciso, fin dalla sua nascita, di tutelare la parte debole (cioè i consumatori) nel rapporto contrattuale con le imprese. Quando compriamo beni o ci avvaliamo di servizi al di fuori della nostra attività professionale, il diritto privato europeo fornisce una serie di tutele efficaci per contrastare la forza contrattuale dei nostri fornitori. In particolare, la direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali mira a impedire che forme di pubblicità, etichette o marchi, o modalità di vendita traggano in inganno le persone e le influenzino nelle loro scelte di acquisto.
Come si può capire se una pratica commerciale è sleale? La direttiva europea prende come riferimento il “consumatore medio”. Questo significa che l’ingannevolezza di un messaggio pubblicitario, di un marchio, oppure di un’etichettatura deve essere valutata non con riferimento alla capacità cognitiva del singolo, ma oggettivamente, secondo dei parametri che possano applicarsi alle persone ragionevolmente attente e informate. L’Autorità chiamata a valutare la slealtà di una pratica commerciale deve considerare se, ad esempio l’etichettatura, potrebbe trarre in inganno sul reale contenuto del prodotto non un soggetto determinato, con caratteristiche cognitive e di istruzione particolari, ma un consumatore normalmente informato, ragionevolmente attento e avveduto. Per la Corte di Giustizia Europea, infatti, il consumatore medio non è un soggetto sprovveduto, disattento o acritico.
Il consumatore può essere vulnerabile?
Sappiamo però che alcune pubblicità sono dirette esplicitamente a categorie cosiddette “vulnerabili” di consumatori. La direttiva europea prevede anche che i consumatori vulnerabili possano avere tutele maggiori. Chi sono i consumatori vulnerabili? Secondo il Parlamento europeo, la questione della vulnerabilità dei consumatori si basa sull’«indebito condizionamento» che potrebbe essere esercitato sui consumatori la cui capacità di decidere non sia pienamente sviluppata.
In Italia, il Codice del Consumo (art.20) tutela i consumatori vulnerabili e vieta quelle pratiche commerciali che possano falsare in misura apprezzabile il loro comportamento economico a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità.
Fino ad oggi, il gruppo chiaramente individuato di consumatori vulnerabili sono i minori, che non possono essere considerati consumatori medi per quanto riguarda la loro capacità di fare scelte autonome e indipendenti. I bambini e gli adolescenti sono molto influenzabili quando vedono immagini che pubblicizzano, ad esempio, raccolte di figurine, merendine o oggetti di “moda” e i pubblicitari sanno perfettamente come farli cadere nella trappola del desiderio.
La persona anziana è un consumatore vulnerabile?
La persona anziana, nella sua vita quotidiana, è un consumatore e quindi si può avvalere delle tutele previste dalla legislazione europea che vieta le pratiche commerciali sleali e può ricorrere alla normativa italiana che implementa la legislazione europea.
La persona anziana può avere caratteristiche particolari rispetto al consumatore medio? Il rallentamento cognitivo, la progressiva perdita della vista e dell’udito, la lentezza che in qualche modo si manifestano a partire da una certa età, la solitudine, o una minore capacità di gestire le proprie emozioni sono aspetti ormai documentati nel processo di invecchiamento. Queste particolari caratteristiche possono influenzare alcune scelte negli acquisti di beni o servizi e, soprattutto, possono essere sfruttate ad arte dai pubblicitari. Ad esempio, le etichette dei prodotti scritte con caratteri minuti o le pubblicità che magnificano proprietà terapeutiche di alcuni pseudo-farmaci possono influenzare il consumatore. Ci si può quindi ritrovare a casa prodotti ormai scaduti, oppure con ingredienti non adatti alla propria dieta, perché non si è potuta leggere bene l’etichetta oppure si possono acquistare prodotti inutili, se non dannosi per la salute, nella speranza di veder alleviato un dolore.
Prima dell’introduzione della disciplina sulle pratiche commerciali sleali, in Italia c’erano stati dei tentativi di configurare gli anziani come una classe di persone vulnerabili. Alcune pubblicità erano state considerate ingannevoli proprio perché cercavano di influenzare le scelte dei consumatori anziani basandosi su alcune debolezze, bisogni o desideri.
Un caso esemplificativo riguarda la vendita porta a porta di un “rimedio”, un “aiuto dalla natura” contro “reumatismi, ernia del disco, problemi ai reni, ischialgia, nevralgia, problemi di insonnia, problemi di irrorazione sanguigna”. Il consumatore non poteva sapere in cosa consistesse il rimedio miracoloso, che veniva descritto in modo negativo: “non è una pomata, non è una medicina, non è un apparecchio”. Il prodotto curativo era in realtà una coperta di pelo gatto, che ovviamente non poteva essere un rimedio per nessuna delle malattie elencate nella pubblicità!
L’Autorità garante ha tenuto in considerazione la categoria di persone cui era indirizzato il messaggio pubblicitario, cioè persone che soffrono di acciacchi e problemi di salute che compaiono in età avanzata e ha considerato ingannevoli i messaggi pubblicitari perché facevano leva sulla condizione psicologica della persona anziana, che sperava di trovare un aiuto alternativo ai farmaci, ed era quindi disposta ad accettare in modo acritico e non sufficientemente informato le vanterie dei venditori a domicilio.
In un caso è stata riconosciuta l’ingannevolezza del messaggio che pubblicizzava “soggiorni assistiti per anziani” da parte di una società che non aveva ancora i requisiti necessari per operare in questo campo. L’Autorità garante ritenne ingannevole lo slogan pubblicitario per la particolare categoria di consumatori, le persone anziane appunto, cui era diretto il messaggio.
Le particolari condizioni delle persone anziani non le qualificano come classe di consumatori vulnerabili
Dopo la direttiva europea del 2005, l’Autorità preposta a decidere dei reclami sulla pubblicità ingannevole, non ha ritenuto di poter intraprendere la strada aperta dalla giurisprudenza italiana negli anni precedenti. Nonostante le pronunce sull’ingannevolezza di determinate pubblicità che fanno leva su debolezze che riguardano principalmente le persone anziane, il diritto europeo preferisce non configurare le persone anziane come una categoria particolare di consumatori vulnerabili.
Le ragioni sono varie, ma riguardano il fatto che non è l’età che configura la debolezza della persona: sono le specifiche condizioni di disagio fisico, psichico, socio-economico, o una combinazione di queste tre, che permetteranno di individuare una particolare classe di consumatori. Una ipotetica classe di consumatori anziani non sarebbe omogenea e univocamente delineabile, in base a caratteristiche comuni. L’età avanzata dà luogo a caratteristiche nei diversi soggetti che non sono né costanti né omogenee. Le persone anziane sono anziane, ma ciascuna in modo diverso. Ciò che rende ingannevoli certe pubblicità è l’abilità di far leva su condizioni di disagio, in cui si trovano in prevalenza persone anziane, ma non solo. Se si vuole costruire una categoria di consumatore vulnerabile, questa va costruita intorno alle particolari condizioni di disagio, indipendentemente dall’età delle persone.
Come in molte altre questioni che toccano il diritto, non è il raggiungimento di una età precisa a caratterizzare giuridicamente una persona, come invece accade per i minori. Questi diventano maggiorenni al raggiungimento dei 18 anni, indipendentemente dalla loro maturità e dalla loro capacità di discernimento. Secondo gli autori più accreditati, distinguere una categoria particolare di consumatori “solo” in ragione dell’età avanzata e ritenere che i consumatori sono più vulnerabili perché anziani non comporta per questi soggetti una maggiore tutela. Anzi, un raggruppamento di persone sulla sola base dell’età è un atteggiamento paternalistico e potrebbe porre le basi, anche in altri campi, per una dannosa discriminazione.
Ciò non toglie, però, che l’età avanzata possa delineare in molti casi il target ideale di pratiche commerciali sleali o di vere e proprie truffe. La difficoltà o la lentezza nel prendere decisioni, la perdita della vista o dell’udito, una diversa gestione delle emozioni e la mancanza di alfabetizzazione digitale sono tutti fattori su cui le pratiche e le comunicazioni commerciali fanno leva.
Sarebbe forse necessario il ripensamento della categoria dei consumatori vulnerabili per tutelare anche le persone anziane, in modo efficace senza cadere nel paternalismo o nella discriminazione.
Riferimenti legislativi
- Direttiva 2005/29/CE, modificata da direttiva (UE) 2019/2161 per una migliore applicazione e modernizzazione delle norme dell’Unione relative alla protezione dei consumatori, facendo fronte ai nuovi sviluppi del mercato, in particolare il marketing online.
- DECRETO LEGISLATIVO 2 agosto 2007, n. 146, Attuazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori
- Risoluzione del Parlamento europeo del 22 maggio 2012 su una strategia per rafforzare i diritti dei consumatori vulnerabili
- Codice del Consumo, artt. 20 e 21
Bibliografia
V. Cappellato, B. Gardella Tedeschi, E. Mercuri, Anziani. Diritti, bisogni, prospettive. Bologna, Il Mulino, 2021.
C. Poncibò, Il consumatore medio, Contratto e Impresa/ Europa, 2007, 734-757
R. Incardona, C. Poncibò, The Average consumer, the Unfair Commercial Practices, and the Cognitive Revolution, in 30 Journal of Consumer Law and Policy Issue, 21-38 (2007)