Le malattie non trasmissibili (cioè quelle malattie, generalmente croniche, non dovute a un agente infettivo) sono al giorno d’oggi le patologie più diffuse e la principale causa di mortalità nella popolazione generale, specie in quella anziana. Tra queste, la sindrome metabolica è considerata una vera e propria piaga a livello globale, la cui incidenza è in forte aumento non solo nei paesi industrializzati, ma anche in quelli in via di sviluppo. Per questo motivo, soprattutto negli ambiti in cui si promuove la salute, si sente spesso parlare di sindrome metabolica. Questo termine fu utilizzato per la prima volta dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 1998, per indicare l‘associazione di particolari caratteristiche patologiche con l’aumento del rischio di contrarre malattie cardiovascolari. Da quel momento, questa condizione è stata ampiamente studiata e la sua definizione è stata rivisitata più volte, al fine di descriverla e comprenderla al meglio: la letteratura scientifica, infatti, annovera moltissime pubblicazioni sull’argomento. Ma di cosa si tratta? Quali sono i fattori di rischio e quali sono i rischi a cui essa espone a sua volta? Vediamo insieme cosa ci dicono le ultime evidenze scientifiche.

Cos’è la sindrome metabolica

Attualmente la sindrome metabolica viene definita come un insieme di disordini che coinvolgono i complessi sistemi del nostro organismo responsabili dell’assimilazione del cibo e della gestione dell’energia proveniente da esso. Questi disordini metabolici aumentano il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, diabete mellito, insulino-resistenza e altre complicanze neurologiche e vascolari. Individuare precocemente questa condizione o il rischio stesso di svilupparla, può essere dirimente in termini di prevenzione e salute per le singole persone, ma anche di spesa sanitaria per la popolazione generale, data la sua diffusione quasi epidemica nei paesi più benestanti: essa, infatti, interessa una parte sempre più ampia di popolazione (negli Stati Uniti questa condizione riguarda circa il 23% della popolazione e la situazione è sovrapponibile a quella italiana), per questo motivo non deve essere sottovalutata, ma i suoi aspetti vanno approfonditi e studiati.

Ma come riusciamo a individuare questa sindrome?

La definizione è molto chiara, si parla di sindrome metabolica in presenza di almeno tre dei seguenti criteri diagnostici:

  • Circonferenza vita maggiore di 88 cm nelle donne e 102 cm negli uomini
  • Ipertrigliceridemia (cioè un valore dei trigliceridi nel sangue superiore a 150 mg/dl)
  • Basso livello di colesterolo HDL (inferiore a 40 mg/dl)
  • Pressione sistolica (quella detta massima) superiore a 130 e/o pressione diastolica (la minima) superiore a 85.

Trattandosi di una condizione multifattoriale, che cioè dipende da una serie di fattori insieme alla predisposizione genetica individuare le cause specifiche della sindrome metabolica non è semplice.
Infatti, condizioni come sovrappeso, obesità e scarsa attività fisica, insieme alla predisposizione genetica comportano una maggiore produzione di grassi, la quale a sua volta porta a insulino-resistenza e infiammazione cronica, i due principali fattori che predispongono poi allo sviluppo di diabete e malattie cardiovascolari.
Spiegare l’inizio del circolo vizioso che porta allo sviluppo di sindrome metabolica è complesso. In particolare, sappiamo che inizialmente il grasso, specialmente quello viscerale, gioca un ruolo fondamentale nell’insorgenza di insulino-resistenza, la quale a sua volta comporta un danneggiamento dei vasi sanguigni che diventano meno elastici. La perdita di elasticità dei vasi determina lo sviluppo di ipertensione arteriosa. Se cronica e non ben trattata, l’ipertensione arteriosa influisce sul rimodellamento del cuore, rendendolo ipertrofico. Un cuore ipertrofico, quindi ingrandito, inevitabilmente avrà una funzionalità alterata.
Inoltre, l’accumulo di lipidi sulla parete dei vasi, l’aterosclerosi, può degenerare fino al rischio di occlusione completa di preziosi vasi che irrorano il cuore, e ciò può portare all’infarto miocardico, evento che può avere esiti gravi e a volte fatali .

Se è vero che la conseguenza più grave della sindrome metabolica è a carico del cuore con rischio di infarto, bisogna tener presente che essa è una condizione in grado di impattare su più organi, ad esempio i reni ed il fegato.
L’accumulo di lipidi, infatti, può interessare anche il fegato, determinando una condizione di danno definita steatosi epatica, la quale evolvendo può degenerare anche in danni più gravi, come la cirrosi o addirittura il carcinoma epatocellulare, temuto tumore maligno a carico di questo organo.
In definitiva, tutte queste alterazioni possono portare allo sviluppo di un danno multiorgano da cui è difficile tornare indietro, motivo per cui la più efficace delle soluzioni è la prevenzione.

Dunque come riconoscere la sindrome metabolica e come capire chi ne può essere affetto? Quali sono le strategie corrette?

Innanzitutto si può partire dall’individuare i disordini genetici pre-esistenti: se è vero che non si tratta di una patologia a base genetica, è altrettanto corretto affermare che vi è una predisposizione genetica alla patologia oltre che familiarità. Una buona anamnesi fisiologica e familiare, in questi casi, può essere di ausilio. La presenza di anamnesi familiare positiva, dovrebbe fare accendere un campanellino d’allarme, ma non è l’unica cosa importante. Altri fattori fondamentali sono le scorrette abitudini di vita, come alimentazione poco sana, il fumo, la vita sedentaria, il sovrappeso o l’obesità. Oltre all’individuazione dei fattori di rischio e di predisposizione genetica è possibile aiutarsi nella diagnosi tramite esami strumentali e di laboratorio.

Utile fin da subito può essere richiedere indici come la glicemia e l’emoglobina glicata che sono di aiuto per inquadrare problematiche di insulino-resistenza o addirittura di diabete e stimarne la gravità. Dal momento che si parla di accumulo di grassi in eccesso, la richiesta di un pannello lipidico, che vada a indagare la quantità dei diversi tipi di grassi nel sangue risulta molto utile. Trigliceridi, colesterolo HDL (ad alta densità) e LDL (a bassa densità) sono parametri che fanno parte di questo pannello e i cui valori vanno contestualizzati e interpretati. La prima tipologia di colesterolo citata, quella definita HDL è il famoso colesterolo “buono” e ha un ruolo protettivo nei confronti dell’aterosclerosi e delle malattie cardiovascolari; valori al di sotto del valore soglia indicano una maggiore probabilità di sviluppare aterosclerosi. Il secondo, quello definito LDL o a bassa densità è il colesterolo “cattivo” e valori al di sopra di una certa soglia (che di solito è 100 mg/dl), aumentano il rischio cardiovascolare associato. I trigliceridi invece sono una spia dell’alimentazione condotta e tendono ad aumentare quando la dieta non è sana ed equilibrata. Infine sono fondamentali, anche in questo caso, la visita e l’esame clinico. Infatti un paziente con sindrome metabolica potrebbe presentare alcuni sintomi e segni tipici, determinati dall’accumulo di lipidi e da danno dei vasi periferici quali: retinopatia, polineuropatia periferica e xantomi (accumuli di grasso sotto la superficie della pelle) aumento della circonferenza della vita.

Questi elementi, insieme, vanno valutati al fine di fare diagnosi di sindrome metabolica o stimare il rischio di svilupparla. In entrambi i casi, la soluzione sta nel modificare i fattori di rischio modificabili per contrastare una possibile insorgenza di sindrome metabolica, ma anche per rallentarne il decorso. La correzione dei fattori di rischio è cruciale. Uno stile di vita sano, un’alimentazione adeguata, una regolare attività fisica e l’abolizione del vizio del fumo, rappresentano il primo step. Laddove questo non basti, si può ricorrere all’utilizzo di farmaci ipolipemizzanti come le statine, i fibrati, la niacina e gli omega tre. Per i pazienti più gravi, invece, potrebbe essere necessario dover ricorrere alla chirurgia bariatrica.

Il paziente con sindrome metabolica è un paziente complesso, esposto al rischio di contrarre molteplici patologie, a carico di diversi distretti corporei. Per questo motivo, va preso in carico in modo collegiale da diversi specialisti quali: diabetologi, neurologi, cardiologi, endocrinologi, fisioterapisti e psicologi.
Anche in questo caso però, niente sarà più efficace di una correzione sullo stile di vita e alimentare.

Il punto di svolta nella prevenzione e cura della sindrome metabolica sono l’educazione della popolazione generale e la ri-educazione dei pazienti con questa condizione verso uno stile di vita sano e attivo che riesca a cambiare o eliminare i fattori di rischio modificabili della sindrome metabolica che a oggi restano gli unici elementi sui quali si può agire in modo diretto ed efficace.

A cura di Francesca Santangelo e Martina Fracazzini

 

Fonti

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