Forma d’arte, strumento espressivo, esercizio fisico, interazione sociale: la danza è tutto questo. Per le persone con malattia di Parkinson può rappresentare uno strumento importante per proteggere la salute

Certe cose si possono dire con le parole, altre con i movimenti, ma ci sono anche dei momenti in cui si rimane senza, completamente perduti e disorientati, non si sa più che cosa fare. A questo punto comincia la danza”. Con queste parole, la coreografa e ballerina tedesca Pina Bausch, che nel Novecento ha contribuito a innovare radicalmente il mondo della danza contemporanea, sottolinea il grande potenziale di questa forma d’arte nel recuperare la capacità di esprimersi quando tutto sembra essere perduto. E quando si perde parte della capacità di controllare i movimenti, come nella malattia di Parkinson?

Anche in questo caso questa forma d’arte sembra essere di grande aiuto: la danza-terapia per la malattia di Parkinson, infatti, è diventato un fenomeno sociale di dimensioni mondiali, che mette in luce l’importanza della danza come esercizio fisico, strumento espressivo e attività sociale capace non solo di migliorare le condizioni delle persone colpite da questa malattia neurodegenerativa, ma anche di influenzare la qualità della vita in generale, soprattutto in relazione all’invecchiamento e alle malattie croniche. In particolare, con questo articolo analizzeremo le recenti evidenze scientifiche sulle potenzialità terapeutiche della danza nella malattia di Parkinson. 

La malattia di Parkinson

Prima di parlare dei benefici apportati dalla danza, facciamo un passo indietro, per comprendere meglio la malattia di Parkinson: si tratta di una malattia neurodegenerativa cronica, progressiva e invalidante che colpisce soprattutto la sfera del movimento (è il disturbo neurodegenerativo del movimento più comune) e che ha un grande impatto sulla vita della persona che ne viene colpita, influenzando in maniera significativa le sue funzioni fisiche, psicologiche, emotive, sociali e finanziarie. La malattia di Parkinson colpisce in particolar modo le persone anziane: l’età, infatti, è il fattore di rischio maggiore per l’insorgenza di questa condizione. Nei paesi industrializzati, infatti, la prevalenza stimata del Parkinson è dello 0,3% nella popolazione generale, dell’1% nelle persone di età superiore a 60 anni e pari al 3% nelle persone di età superiore a 80 anni. Nella maggior parte dei pazienti le cause di questa malattia sono sconosciute, ma nel circa 5-10% dei casi l’insorgenza sembra essere dovuta a fattori genetici.

A livello patologico, la malattia di Parkinson si manifesta con la perdita progressiva dei neuroni dopaminergici in specifiche zone del cervello (soprattutto in quella chiamata substantia nigra). I neuroni del sistema nervoso centrale, infatti, comunicano tra loro attraverso i neurotrasmettitori, piccole molecole che funzionano da messaggeri chimici: neurotrasmettitori diversi, legandosi a specifici recettori sulla superficie delle cellule nervose, mediano funzioni differenti. I neuroni non producono tutti i tipi di neurotrasmettitori, ma ve ne sono specifici che ne sintetizzano preferibilmente un tipo e nel cervello costituiscono veri e propri circuiti che assolvono una determinata funzione. Nel caso dei neuroni della substantia nigra, essi producono principalmente il neurotrasmettitore dopamina (ecco perché si chiamano dopaminergici) e sono coinvolti nel controllo del movimento, della motivazione e della cognizione.

Quando insorge il Parkinson, la perdita dei neuroni causa una mancanza di dopamina, che si manifesta attraverso i sintomi tipici della malattia: tremore, rigidità, lentezza nei movimenti, instabilità posturale. In realtà, man mano che la malattia progredisce, essa si manifesta anche con sintomi non motori, che coinvolgono le funzioni vegetative, la sfera cognitiva e dell’umore. Generalmente, purtroppo, la diagnosi di Parkinson avviene quando una buona percentuale dei neuroni dopaminergici è già stata persa e la neurogenerazione si è diffusa anche in altre regioni del sistema nervoso centrale. 

L’importanza dell’esercizio fisico e la potenzialità della danza

L’attuale trattamento della malattia di Parkinson si basa principalmente sull’assunzione di dopamina e, soprattutto nella malattia in stato avanzato, anche su approcci alternativi come la stimolazione cerebrale profonda. Al momento però non esiste una cura risolutiva: sebbene i trattamenti disponibili offrano un buon controllo dei sintomi motori, essi non sono in grado di fermare la neurodegenerazione e l’evoluzione della malattia. Nonostante ciò, oltre ai farmaci, numerosi studi hanno dimostrato che vi sono trattamenti complementari che possono aiutare a migliorare i sintomi e diminuire il carico di disabilità associato alla malattia. Tra questi, vi è l’esercizio fisico.

Le principali linee guida cliniche raccomandano che le persone con malattia di Parkinson facciano attività fisica quotidiana. Numerose ricerche, infatti, hanno dimostrato che l’esercizio fisico regolare, prevalentemente aerobico, sembra avere un effetto neuroprotettivo nel ritardare i sintomi del Parkinson, soprattutto quelli che riguardano l’equilibrio, la mobilità funzionale dell’andatura e la qualità della vita delle persone con questa condizione. Inoltre, studi su modelli animali hanno dimostrato che l’attività fisica promuova il recupero comportamentale e l’aumento della sintesi e rilascio di dopamina. Insomma, come per numerose altre condizioni, l’attività fisica è uno strumento fondamentale per prendersi cura della propria salute; per le malattie croniche e progressive come il Parkinson, poi, le principali linee guida raccomandano attività sportive/ricreative che possano mantenere alto l’interesse della persona che le pratica, in modo da favorirne la continuità anche a lungo termine. 

Dal momento che è coinvolgente, utilizza la musica e può essere eseguita individualmente o in gruppo, la danza rappresenta un ottimo candidato: numerosi studi hanno dimostrato che le persone con Parkinson sono motivate a frequentare regolarmente lezioni di ballo, ad avere un alto tasso di adesione e un basso tasso di abbandono e spesso continuino con l’attività fisica anche dopo il periodo di studio.

La danza e la malattia di Parkinson

Se volessimo darne una definizione “scientifica”, la danza può essere riassunta come una routine coreografica di movimenti solitamente eseguiti con la musica. Tuttavia, se lo chiedeste a chi pratica questa disciplina, sia a livello amatoriale che professionale, vi assicurerebbe che la danza è molto di più di questo. In effetti, essa è un’attività multidimensionale e multisensoriale, che accompagna le caratteristiche principali dell’esercizio fisico (come la resistenza, l’attività aerobica, l’apprendimento motorio) alla stimolazione uditiva, visiva e sensoriale, all’esperienza musicale, all’interazione sociale, alla memoria, alla capacità di espressione e interazione.

A partire dalle prime evidenze scientifiche, raccolte negli anni Ottanta, numerosi studi hanno dimostrato che la danza è una risorsa importantissima per le persone con Parkinson: il ballo, infatti, mira a migliorare il movimento, il benessere e la qualità della vita di questi pazienti, nonché il loro impegno nelle relazioni sociali e in generale la capacità di esercizio. Inoltre la danza è una  disciplina che consente l’espressione creativa: per questo la danza può distogliere l’attenzione dalla malattia, facendo focalizzare i pazienti sui propri movimenti, sulla musica e sulla connessione sociale. L’uso della musica, poi, sembrerebbe aumentare il rilascio di dopamina, contribuendo in questo modo a migliorare i sintomi dovuti al Parkinson.

Insomma,  la danza sembra essere più che un modo alternativo per fare attività fisica: uno studio del 2017 ha evidenziato che a volte il ballo è in grado di apportare maggiori benefici per la mobilità funzionale e i sintomi motori del Parkinson rispetto alla fisioterapia e all’esercizio fisico tradizionale. Alla pratica della danza sarebbe associata anche una diminuzione dei sintomi depressivi e una maggiore motivazione nel dedicarsi all’attività fisica

Una danza o tante danze?

Queste caratteristiche benefiche, seppur in misura diversa, si ritrovano in tutti i tipi di danza: da quelle più accademiche come la danza classica o contemporanea, a quelle tradizionali come le danze irlandesi, ai balli di gruppo o in coppia, come il foxtrot e il tango. Oltre a queste, vi sono anche i programmi di danza-terapia specifica per la malattia di Parkinson. Ve ne sono diversi, ma il più famoso e longevo è il Dance for PD, nato agli inizi degli anni 2000 a New York, quando Olie Westheimer, direttore del Brooklyn Parkinson Group ha iniziato a collaborare con il Mark Morris Dance Group, una compagnia di danza moderna newyorkese, per tenere lezioni mensili di danza a persone con il Parkinson. Da allora, il Mark Morris Dance Group ha sviluppato un programma di formazione per insegnanti di danza e ha iniziato a offrire lezioni dimostrative gratuite e seminari di formazione. Adesso Dance for PD è adottato in tutti gli Stati Uniti e in 25 Paesi del mondo, compresa l’Italia.

Nelle principali analisi della letteratura scientifica, gli interventi terapeutici legati alla danza considerano questa pratica in senso lato, senza focalizzarsi su una singola disciplina o esclusivamente sulla danza-terapia. Un tipo di danza piuttosto che un altro, infatti, per alcuni pazienti potrebbe essere più coinvolgente e quindi, in maniera indiretta, potrebbe favorire un numero maggiore di effetti benefici. Uno studio recente ha evidenziato come basterebbero tre mesi di lezioni di ballo per vedere i primi risultati sui sintomi del Parkinson, anche se sarebbero necessari studi ulteriori per definire gli effetti a lungo termine e la disciplina e la frequenza più efficace. Nel frattempo, va bene tutto, purché si danzi: come diceva Pina Bausch, “Balliamo, balliamo, altrimenti siamo perduti”.

Fonti:

Christensen-Strynø MB, Phillips L, Frølunde L. Revitalising sensualities of ageing with Parkinson’s through dance. J Aging Stud. 2021 Dec; 59:100978. doi: 10.1016/j.jaging.2021.100978. Epub 2021 Oct 23. PMID: 34794724.

Dos Santos Delabary M, Komeroski IG, Monteiro EP, Costa RR, Haas AN. Effects of dance practice on functional mobility, motor symptoms and quality of life in people with Parkinson’s disease: a systematic review with meta-analysis. Aging Clin Exp Res. 2018 Jul;30(7):727-735. doi: 10.1007/s40520-017-0836-2. Epub 2017 Oct 4. PMID: 28980176.

Sharp K, Hewitt J. Dance as an intervention for people with Parkinson’s disease: a systematic review and meta-analysis. Neurosci Biobehav Rev. 2014 Nov;47:445-56. doi: 10.1016/j.neubiorev.2014.09.009. Epub 2014 Sep 28. PMID: 25268548.

Carapellotti AM, Stevenson R, Doumas M. The efficacy of dance for improving motor impairments, non-motor symptoms, and quality of life in Parkinson’s disease: A systematic review and meta-analysis. PLoS One. 2020 Aug 5;15(8):e0236820. doi: 10.1371/journal.pone.0236820. PMID: 32756578; PMCID: PMC7406058.

Balestrino R, Schapira AHV. Parkinson disease. Eur J Neurol. 2020 Jan;27(1):27-42. doi: 10.1111/ene.14108. Epub 2019 Nov 27. PMID: 31631455.

Emmanouilidis S, Hackney ME, Slade SC, Heng H, Jazayeri D, Morris ME. Dance is an Accessible Physical Activity for People with Parkinson’s Disease. Parkinsons Dis. 2021 Oct 22;2021:7516504. doi: 10.1155/2021/7516504. PMID: 34721836; PMCID: PMC8556098.

http://danceforparkinsons.org/about-the-program

Articoli Correlati


Iscriviti alla Newsletter

* Richiesti
Scegli la newsletter
Consenso all’utilizzo dei dati

Aging Project userà le informazioni che fornisci al solo scopo di inviarti la newsletter richiesta.

Puoi annullare l'iscrizione in qualsiasi momento cliccando sul link che trovi nel footer dell'email. Per informazioni sulla Privacy Policy clicca qui.

Cliccando su "Acconsenti", accetti anche che le tue informazioni saiano trasferite a Mailchimp per l'elaborazione. Ulteriori informazioni sulle privacy di Mailchimp qui