In occasione dell’evento di lancio del nuovo progetto REACTion, sono state presentate alcune iniziative progettuali che ne costituiscono l’antecedente. Si tratta di progetti finalizzati a migliorare la qualità della vita e dell’assistenza alle persone
Oggi abbiamo chiesto a Chiara Fornara, referente e responsabile del coordinamento del progetto e Claudia Ratti, project manager operativa, di raccontarci la loro esperienza con La Cura è di Casa.
Che cos’é il progetto La Cura è di Casa?
Il progetto La Cura è di Casa è stato cofinanziato nel 2016 nell’ambito del programma Welfare in Azione di Fondazione Cariplo. Il progetto si realizza nella provincia del Verbano Cusio Ossola grazie a una rete di 23 partner, pubblici e privati. L’obiettivo è quello di aiutare gli anziani ad invecchiare bene a casa propria, migliorando la loro qualità di vita e offrendo un supporto alle famiglie e alla comunità, favorendo la permanenza dell’anziano vulnerabile nella sua casa, tra i suoi ricordi e le sue abitudini.
Il tutto con l’occhio vigile e attento di operatori e volontari, in un’ottica di prevenzione, per intercettare precocemente gli eventi acuti e per contrastare il decadimento psico-fisico dei soggetti. Perseguire questo obiettivo è stato reso possibile dalla valorizzazione e dalla messa in rete delle risorse convenzionali e non, secondo una logica di sussidiarietà e integrazione e attraverso lo sviluppo di una cultura di welfare di comunità. In questi oltre 4 anni la rete dei servizi ha preso in carico 672 anziani vulnerabili.
Quali sono stati i benefici apportati dal progetto?
Abbiamo operato su un target che fino a ieri non veniva preso in considerazione dai servizi tradizionali. Abbiamo quindi individuato servizi leggeri o “di bassa soglia” – ad esempio, aiuto nelle attività quotidiane, socializzazione e compagnia, cura della persona, servizi infermieristici, servizi fisioterapici, supporto psicologico – che possano essere importanti per posticipare una presa in carico più complessa, spesso fisiologica con il passare degli anni o dettata da eventi acuti.
La Cura è di Casa ha consentito agli operatori dei servizi tradizionali del Sevizio Assistenza Domiciliare (SAD) di leggere i bisogni delle persone anziane vulnerabili in un continuum. Uno sviluppo di complessità in cui il passaggio precedente aiuta e facilita l’agire di quello successivo, sia direttamente con il beneficiario, sia con la sua famiglia, e che trova negli operatori territoriali un riferimento di continuità nell’accompagnamento alle cure.
Con il progetto abbiamo sperimentato un nuovo modo di attivare la comunità, che si realizza in due sensi: da un parte stimolando e sensibilizzando la comunità alla cultura del dono, dall’altra ingaggiando le persone per (ri)costruire reti di buon vicinato e ripensare l’azione volontaria in una logica organizzativa integrata con i servizi professionali. L’ingaggio delle persone è fondamentale per creare coesione sociale e condizione da cui partire per costruire benessere nel territorio cui si appartiene. Il progetto La Cura è di Casa ha consentito al sistema socio-assistenziale domiciliare di incrementare di circa il 19% la presa in carico degli anziani vulnerabili.
Quali sono state le principali difficoltà incontrate?
Un percorso complesso e composito come il nostro ha certamente visto delle difficoltà, che talvolta hanno rallentato il processo e in altre occasioni si sono rivelate delle opportunità di miglioramento. Un aspetto che ha richiesto un lavoro intenso, non senza difficoltà, è la costruzione di una rete territoriale diffusa su un territorio molto disperso, capace di rispondere con continuità alle esigenze quotidiane delle persone anziane.
Tutto ciò implica di poter contare su una forza di risorse umane (professionale e volontaria) numerosa e ben coordinata; significa progettare continue azioni di ricerca di volontari motivati e da formare, capaci e desiderosi di entrare in collaborazione con gli operatori dei servizi tradizionali. Questo lavoro richiede impegno e non può essere lasciato alla semplice disponibilità delle persone. Un errore è stato quello di sottovalutare, talvolta, quanto sia complesso governare questi elementi, dando per scontato che l’aver avviato o facilitato la comunicazione e il coordinamento tra i diversi soggetti e i diversi ruoli fosse di per sé sufficiente a ridurre la frammentazione.
La manutenzione dei legami collaborativi tra i partner è una delle attività che un progetto deve mettere in conto di gestire con continuità.
Ricordi un episodio che, a tuo avviso, rappresenta un esempio dei benefici e del valore del progetto?
Il progetto ha certamente contribuito a creare rapporti solidali tra le persone. Per esempio nel corso di questi anni Antonio, volontario de La Cura è di Casa di oltre 86 anni, ha seguito con costanza e affettuosa attenzione il Sig. Mario, vedovo che di anni ne ha 106. Antonio è andato da Mario costantemente per oltre due anni ogni settimana e più volte alla settimana: insieme andavano a fare la spesa, facevano visita al Museo del Paesaggio, cucinavano le verdure e amavano passeggiare sul lungolago di Verbania.
È nata così una vera amicizia, che ha consentito a Mario di stare a casa sua più a lungo. Purtroppo alla fine 2020 Antonio è mancato e Mario ha dovuto trasferirsi dal nipote.
Questa storia vera ci insegna quanto sia importante facilitare la costruzione di relazioni solidali, anche informali, perché queste assumono una valenza di cura alternativa al ricovero, laddove ci siano le condizioni di sostenibilità. Alla luce della pandemia tutte le azioni messe in campo con La Cura è di Casa hanno assunto importanza strategica ed emblematica di quanto sia essenziale potenziare l’assistenza domiciliare, non solo sanitaria ma soprattutto socio-sanitaria.