Nell’articolo precedente “Cefalee ed emicrania: impariamo ad ascoltare la nostra testa” abbiamo visto quali sono i principali tipi di cefalea e come possiamo suddividerla in primaria e secondaria, in base alla possibilità di individuare una causa sottostante del dolore oppure no.
Come già abbiamo accennato, le cefalee secondarie meritano un trattamento più o meno urgente in base alla causa. In questo articolo, invece, descriveremo tutti i possibili trattamenti, medici e non, delle cefalee primarie, che si dividono in “cefalea tensiva” ed “emicrania”. A questo proposito dobbiamo distinguere fra trattamenti da assumere nella fase acuta, ovvero nel momento dell’attacco, e quelli da assumere in caso di cronicità, con l’obiettivo di ridurre il numero di attacchi nel tempo e migliorare così la qualità di vita.
Terapia in fase acuta: le opzioni farmacologiche
Secondo le linee guida della Società internazionale delle Cefalee (IHS) pubblicate nel 2021 sulla prestigiosa rivista Cephalalgia, diversi sono i trattamenti per la fase acuta dell’attacco. Tra i farmaci che si possono utilizzare sia per la cefalea primaria di tipo tensivo, sia per la cefalea primaria di tipo emicranico, alcuni sono molto comuni e rientrano tra i farmaci da banco, cioè possono essere acquistati autonomamente senza prescrizione medica. Tra questi troviamo il paracetamolo, l’ibuprofene, il ketoprofene e via dicendo. Nella maggior parte dei casi questi farmaci sono sufficienti a ridurre l’intensità del dolore e permettono di tornare a svolgere le attività quotidiane.
Nei casi di intenso dolore di tipo emicranico (attacco emicranico di severa intensità), può succedere però che queste terapie non siano abbastanza efficaci. Allora è bene sapere che esiste una classe di farmaci specifici per l’attacco emicranico, da assumere su prescrizione medica e in assenza di controindicazioni. Questi farmaci, che per altri tipi di dolore non danno alcun beneficio, prendono il nome di triptani: essi sono in grado di oltrepassare la barriera ematoencefalica e agiscono su particolari aree cerebrali per potenziare l’azione antidolorifica dell’ormone serotonina (noto anche come “ormone del buonumore”). I triptani (tra gli altri: sumatriptan, almotriptan, rizatriptan…) hanno differenti vie di somministrazione (orale, sublinguale, sottocutanea…) e una differente sensibilità individuale; sono ottimi farmaci per il trattamento dell’attacco emicranico severo e sono in grado di interromperlo in breve tempo.
Terapia in fase cronica: le opzioni farmacologiche
Oltre ai trattamenti al bisogno, ovvero durante l’attacco, ci sono terapie, chiamate terapie di profilassi, che hanno il compito di ridurre la frequenza e l’intensità degli attacchi. Prima di iniziare un trattamento di questo tipo il medico deve indagare accuratamente, e se possibile rimuovere, eventuali fattori scatenanti e tenere sotto controllo per almeno un paio di mesi l’andamento degli attacchi (in genere si consiglia la compilazione di un diario in cui appuntare alcuni parametri, per esempio la durata, l’intensità e la risposta alla terapia sintomatica). Se il dolore si verifica almeno quattro giorni al mese, è indicato impostare un trattamento preventivo. Sono numerosi i farmaci che possono essere utilizzati dal neurologo per la terapia profilattica della cefalea primaria: ci si può infatti avvalere di farmaci beta-bloccanti o calcioantagonisti (farmaci utilizzati principalmente come antipertensivi), antidepressivi o antiepilettici. In queste terapie l’effetto non è immediato, ma è necessario assumere regolarmente il farmaco per un periodo di due-tre mesi.
Terapia in fase cronica: le opzioni non farmacologiche
Come abbiamo visto, sono possibili diverse terapie per sconfiggere un attacco di mal di testa ed evitare che questo si automantenga tutto il giorno o per giorni, rendendo difficile l’attività lavorativa e sociale. Ma i farmaci non sono l’unica risorsa cui può attingere il medico per il trattamento delle cefalee primarie; certo, essi sono un’ottima arma, e spesso è molto difficile farne a meno, ma il loro beneficio può essere potenziato dalla combinazione con terapie non farmacologiche. Facciamo alcuni esempi.
Fisioterapia. La fisioterapia può essere un valido alleato nel combattere la cefalea, soprattutto quella tensiva/muscoloscheletrica, andando a ripristinare il corretto range di movimento della regione cervicale. Il fisioterapista può avvalersi di diverse tecniche, tra cui: esercizi di rieducazione posturale, stretching, tecniche di terapia manuale e terapie fisiche, con l’obiettivo di eliminare le disfunzioni presenti a livello dei muscoli paracervicali e paravertebrali.
Colloqui psicologici e psicoterapia. Non solo fattori organici, ma anche elementi psico-emotivi possono contribuire all’insorgenza e al mantenimento della cefalea primaria. Pertanto, se durante la visita clinica il medico percepisce uno stato ansioso-depressivo in grado di aggravare la patologia neurologica, può suggerire al paziente colloqui psicologici individuali e/o sedute di psicoterapia che propongono percorsi di rielaborazione cognitivo-emotiva della possibile correlazione tra cefalea e fragilità emotiva.
Mindfulness. Ultimamente si parla spesso di questo trattamento. Ma, esattamente, di che cosa stiamo parlando? Con il termine mindfulness (“consapevolezza”) indichiamo una pratica di meditazione centrata, appunto, sulla consapevolezza dell’esperienza personale del momento presente. È una tecnica di meditazione antichissima che insegna a prestare attenzione al “qui e ora” e ad “accettare tutto quello che arriva – sensazioni, pensieri, reazioni – in maniera non giudicante e accogliente”. Questa tecnica, se applicata nel tempo e correttamente, riesce a rendere i pazienti più consapevoli della loro condizione, più attivi nel processo di “recupero” e “guarigione” e a migliorare il loro rapporto con il dolore.
Le nuove opzioni terapeutiche
Nel campo della terapia delle cefalee primarie meritano un accenno le ultime novità, che si stanno dimostrando molto promettenti. Uno dei meccanismi chiave alla base dell’emicrania sembra essere l’infiammazione neurogenica del sistema trigemino-vascolare. Questo sistema è attivato da diversi stimoli e ciò porta al rilascio di molecole di natura proteica chiamate neuropeptidi tra cui il principale, è il CGRP (acronimo dall’inglese Calcitonin Gene Related Peptide). Da qui deriva l’azione dei nuovi farmaci contro l’emicrania, ovvero gli anticorpi monoclonali.
Attualmente l’indicazione per l’avvio di questa terapia richiede che i pazienti (adulti) abbiano presentato almeno 8 giorni di emicrania disabilitante al mese negli ultimi 3 mesi e che siano già stati trattati con altre terapie di profilassi (come quelle descritte sopra) con risposta insufficiente dopo almeno sei settimane di trattamento, oppure che siano intolleranti alle terapie di profilassi o, ancora, che presentino controindicazioni ad almeno tre classi di farmaci per la profilassi dell’emicrania. Dagli studi clinici condotti si è osservata una riduzione dei giorni di emicrania medi mensili in tutti i pazienti con tutti gli anticorpi monoclonali attualmente in commercio in Italia (erenumab, galcanezumab, fremanezumab). Il limite di questi farmaci è che necessitano di essere somministrati per via sottocutanea.
Prevedono una modalità di somministrazione per via orale, invece, una nuova categoria di farmaci approvata tra le terapie sintomatiche e di profilassi specifiche per l’emicrania; si tratta dei gepanti (attualmente non mutuabili con SSN), che agiscono bloccando reversibilmente i recettori del CGRP.
Infine, anche i ditani costituiscono una nuova classe di farmaci per la terapia acuta dell’attacco di emicrania. In questo caso l’azione è diretta verso i recettori della serotonina in modo più selettivo rispetto ai triptani. Questo meccanismo ne permetterebbe l’uso anche nei pazienti affetti da malattie cardiovascolari e impedirebbe l’insorgenza della sensazione tipica di costrizione toracica causata dai triptani.