La più recente ricerca medica e biologica ha assegnato un ruolo da protagonista all’intestino, l’organo interno più grande del nostro corpo – è lungo circa 7 m, e 32 mq di superficie – che si trova fra lo stomaco e l’ano.
Se in passato era considerato come una struttura periferica deputata a svolgere solo funzioni marginali, oggi è riconosciuto al centro del nostro benessere, in asse con il cuore e il cervello. L’intestino è come un centro di elaborazioni dati: qualsiasi emozione – di gioia, sofferenza, o malessere, viene registrata e avvertita prima dalla pancia e poi dalla testa.
Ne abbiamo parlato diffusamente con Cristina Rigamonti, professore associato di gastroenterologia dell’Università del Piemonte Orientale, dipartimento di medicina traslazionale.
Professoressa, perché l’intestino è considerato il nostro “secondo cervello”?
L’espressione è stata coniata alla fine degli anni ’90 del secolo scorso da Micheal D. Gershon, un medico della Columbia University di New York, negli Stati Uniti. La definizione è piuttosto appropriata per descrivere la realtà del nostro intestino, composto da oltre 100 milioni di neuroni che lavorano in autonomia, svolgendo non solo le funzioni fisiologiche più note, ma contribuendo anche a segnalare le situazioni di stress che generano ansia, e a fissare nella memoria i ricordi legati alle emozioni, positive e negative. Provi a pensare alla sensazione di piacere associata ad alcune esperienze, per esempio alimentari, come mangiare un pezzo di cioccolato. Il ricordo evocato, presente nella nostra memoria, attiva una gamma di sensazioni ed emozioni che ci rilassano, e ci fanno stare bene.
Negli ultimi 30 anni la ricerca scientifica in questo campo ha progredito, riconoscendo nell’asse bi-direzionale intestino-cervello un unico sistema interconnesso con funzione di coordinamento metabolico, le cui parti comunicano fra loro attraverso il microbiota intestinale – ovvero quella comunità di microrganismi, prevalentemente batteri, ma anche funghi, virus e protozoi, concentrata nell’intestino – che è espressione del nostro stato di salute e un alleato molto prezioso per il nostro benessere.
Il microbiota intestinale sembra dunque svolgere un ruolo importante per la salute, potremmo dire olistica, della persona…
Sì, è così, e come sempre accade nella ricerca, ogni scoperta nuova è affascinante. Basti pensare al legame fra autismo e alterazione del microbiota intestinale, che sta emergendo da alcuni studi recenti, dove collaborano assieme esperti provenienti da diverse discipline: la medicina – in particolare la gastroenterologia e la neurologia, la biologia molecolare, la biochimica, la psicologia.
Il microbiota svolge una fondamentale funzione di barriera rafforzando il sistema immunitario dell’organismo, e una funzione di tipo metabolico, ovvero di sintesi di sostanze utili all’organismo. Per questo le alterazioni che subisce il microbiota possono influenzare il metabolismo dell’organismo e, per esempio, favorire lo sviluppo dell’autismo in un bambino che è geneticamente prediposto.
Inoltre abbiamo scoperto che il microbiota intestinale rappresenta una sorta di secondo genoma, in cui gli oltre 3 milioni di geni espressi dal microbiota sono – a differenza del DNA – modificabili nel corso della vita. Oggi sappiamo che il microbiota che si forma nel primo periodo della vita è influenzato anche dalle figure che si prendono cura del neonato/a, i cosiddetti caregivers – i genitori, i nonni, ma anche le persone che non hanno alcun legame di sangue con l’infante. E questo apre a ulteriori campi d’indagine sul rapporto molto stretto fra ambiente, inteso nel senso più ampio di environment, ambiente di vita, e alterazioni genetiche.
Quali sono le malattie che colpiscono più frequentemente l’intestino delle persone anziane?
Molto comuni sono i disturbi legati alle alterazioni della motilità intestinale (fra queste, la cosiddetta sindrome dell’intestino pigro, n.d.r.), frequentemente dovute alla vita più sedentaria che in genere la persona anziana conduce, e a un apporto idrico ridotto – durante la vecchiaia si avverte meno il bisogno di bere, con un rischio più elevato di disidratazione. Il risultato è la difficoltà a compiere la funzione della defecazione e la stipsi, che provoca gonfiore e dolore addominale.
Sappiamo però che possono esserci altre malattie che alterano la motilità intestinale, come il morbo di Parkinson e alcune forme di demenza, o lo stesso diabete mellito, spesso associato a neuropatia.
Le occlusioni intestinali sono spesso provocate anche dalla presenza di polipi intestinali, che a loro volta possono causare delle lesioni all’intestino; inizialmente benigne, possono trasformarsi in formazioni maligne. Si tratta di un disturbo silenzioso, e alcuni campanelli d’allarme possono essere una carenza di ferro rilevata attraverso gli esami del sangue, o la mancanza di appetito, spesso con il rifiuto della carne nella propria dieta, e una perdita di peso significativa.
Ci sono poi i diverticoli, piccole tasche o estroflessioni che si formano nella porzione terminale dell’intestino (colon distale) e possono generare uno stato infiammatorio – la diverticolite –che si manifesta con febbre e forti dolori addominali, e può portare ad ascessi, sanguinamento, fino alla perforazione dell’intestino, che va affrontata chirurgicamente.
Fra le cause dei disturbi intestinali, vanno anche menzionati i problemi vascolari che possono provocare l’angina dell’intestino o angina abdominis, dovuta al ridotto apporto di sangue per la presenza di placche di grasso lungo le pareti dei vasi che ne riducono la portata e impediscono un flusso sanguigno regolare. I sintomi, crampi addominali molto dolorosi, si manifestano soprattutto dopo aver mangiato, e vanno affrontati tempestivamente per prevenire l’infarto intestinale e la conseguente necrosi del segmento intestinale colpito.
Il carcinoma del colon-retto è una malattia che colpisce più frequentemente le persone anziane, fra i 60 e i 75 anni, e quando il caso lo consente si interviene chirurgicamente tagliando un pezzo di intestino.
Quali cure sono oggi disponibili per trattare le malattie intestinali?
In passato disponevamo solo di cortisone, e altri farmaci antibatterici e antinfiammatori, ma oggi abbiamo a disposizione gli anticorpi monoclonali per il trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali, riuscendo in alcuni casi a far regredire la malattia e a mantenere nel tempo la remissione.
Fra gli interventi innovativi oggi praticati va anche ricordato il trapianto fecale, eseguito – per esempio – su alcuni pazienti fragili come le persone anziane ospedalizzate a lungo, e sottoposte a terapie antibiotiche prolungate che indeboliscono il microbiota intestinale e il sistema immunitario.
Professoressa Rigamonti, quanto pesa lo stile di vita nello sviluppo delle malattie intestinali?
Direi molto. Un’alimentazione eccessivamente grassa e abbondante, associata a stress e scarso movimento, non favorisce certo la salute dell’intestino, né – più in generale – il benessere psicofisico della persona.
Anche l’abuso di antibiotici, spesso immotivato, porta alla distruzione della flora batterica intestinale.
Cosa possiamo fare per avere un intestino sano anche durante la vecchiaia?
Per rispettare il nostro microbiota dobbiamo adottare uno stile di vita adeguato, seguendo quotidianamente una dieta corretta, variata e in giuste dosi. Per esempio, la dieta mediterranea, che vede alla base della piramide alimentare i cereali integrali, i legumi, le verdure e la frutta fresche e di stagione, con un consumo moderato di pesce azzurro e carne bianca, olio d’oliva extra vergine, formaggi e latticini, e uova.
In sintesi, ciò che dovremmo tutti fare è tornare a uno stile di vita più semplice, frugale, quello che si viveva all’inizio del secolo scorso, quando non c’erano cibi processati industrialmente, raffinati, conservati, e si consumavano invece alimenti freschi e di stagione, con più fibra, meno sale e minor apporto di zucchero aggiunto. Un modus vivendi adeguato è in grado di modificare i fattori di rischio associati allo sviluppo di problemi cardiovascolari, ipertensione arteriosa, diabete mellito e dislipidemia (grassi in eccesso nel sangue, n.d.r.) che spesso accompagnano le malattie dell’intestino.
Abbiamo visto come anche bere acqua sia molto importante, in particolare per una persona anziana. Idratarsi frequentemente, preferibilmente assumendo acqua naturale, favorisce la motilità intestinale, contribuisce a formare un volume adeguato di feci, e ne facilita l’espulsione.
Dobbiamo anche fare attività fisica con regolarità, che è di grande aiuto per conservare il nostro intestino in buona salute. La sarcopenia, cioè la povertà del muscolo, è uno dei fattori prognostici negativi per tutte le malattie che possono colpire la persona anziana, non solo quelle del tratto gastro-intestinale.
Poi, superati i 50 anni, per conservare il nostro intestino in buona salute, è fondamentale aderire con fiducia alle campagne di screening per la ricerca di sangue occulto nelle feci, un indicatore di alcune malattie gravi come il tumore al colon retto, ma anche di altri disturbi come i polipi intestinali o i diverticoli. E infine dobbiamo sempre prestare attenzione a eventuali alterazioni del nostro benessere intestinale, per riuscire a cogliere anche il più piccolo campanello d’allarme che potrebbe sottendere una malattia più grave, e rivolgerci tempestivamente al nostro medico di medicina generale.
A cura di Patrizia Salvaterra
Bibliografia
- Armuzzi, A, 2022. Diverticoli: quali sono i sintomi della diverticolite e come si cura. In: www.humanitas.it/news (visitato il 4 gennaio 2023)
- Dumic I, Nordin T, Jecmenina M et al, 2019. Gastrointestinal Tract Disorders in Older Age. Can J Grastroenterol Hepatol; 2019:6757524.
- Firth M, Parker CM, 2002. Gastrointestinal motility problems in the elderly patient. Gastroerology; 122(6):1688-1700.
- Gershon MD, 1998. Il secondo cervello. Milano: Utet.