È possibile prevenire le malattie infettive con lo stile di vita?

La pandemia da COVID-19 ha dimostrato una prognosi più sfavorevole nelle persone con malattie croniche (es: malattie cardiovascolari, metaboliche, cancro) e con i fattori di rischio comportamentali che più di frequente si associano ad esse. Si parla, quindi, di abitudini prevenibili e modificabili come il fumo attivo e passivo, il consumo eccessivo di alcol, l’uso di droghe, la cattiva alimentazione, l’obesità e, ovviamente, l’inattività fisica, di cui abbiamo già ampiamente parlato.

Da tempo, la letteratura scientifica ha dimostrato che questi comportamenti aumentano il rischio di disabilità e mortalità causati dallo sviluppo di malattie croniche, ma sappiamo meno sull‘effetto dello stile di vita contro le malattie infettive, batteriche e virali. Il gruppo di ricerca del NHS (National Health Service, UK), ha eseguito un’approfondita analisi della letteratura scientifica degli ultimi 10 anni. L’obiettivo era mettere in relazione i fattori di rischio comportamentali e la possibilità di contrarre, e con quale gravità, le più comuni malattie infettive. Gli autori, hanno valutato 53 revisioni sistematiche (di cui 36 con metanalisi) su tubercolosi, virus HIV (AIDS), virus dell’epatite B e C, malattie batteriche invasive, polmonite, influenza e COVID-19.

Il 94% degli studi analizzati ha concluso che almeno uno di questi fattori di rischio comportamentali aumenta il rischio di contrarre o subire esiti peggiori da una malattia infettiva. In alcuni casi, i comportamenti dannosi per la salute possono aumentare la probabilità di essere contagiati da 2 a 8 volte, fino a quadruplicare il rischio di una prognosi grave. Per la malattia da coronavirus, alcuni dati indicano una probabilità di prognosi peggiore nei pazienti che mangiano meno di 5 volte al giorno verdura e frutta e nei pazienti in sovrappeso, ma recenti studi segnalano una prognosi ancora peggiore per chi non fa attività fisica.

Queste evidenze mostrano come i comportamentali individuali svolgano un ruolo significativo nel rischio di sperimentare esiti più gravi da malattie trasmissibili comuni, anche nel caso del COVID-19. Di conseguenza, gli autori affermano che la prevenzione primaria (contagio) e secondaria (esiti e gravità) potrebbero avere maggior successo se venissero affrontati anche questi fattori di rischio modificabili, già comunemente associati alle malattie croniche che, ricordiamo, rimangono la principale causa di disabilità e morte nel nostro secolo.

Sono sicuramente necessari ulteriori studi per identificare il meccanismo d’azione protettivo dei corretti stili di vita, che comunque da soli non sono sufficienti a creare una barriera contro il contagio, ma possono certamente predisporre l’organismo a una migliore capacità di reazione alle malattie infattive. Si ipotizza, dati alla mano, che adottare comportamenti virtuosi per la salute, spesso associati anche ad un livello socio-economico-culturale più alto, porti ad una maggiore efficienza del sistema immunitario o comunque ad una migliore cura di sé, con benefici a più livelli.

In conclusione, affrontare i fattori di rischio comportamentali (e le disuguaglianze socio-economiche sottese) dovrebbe essere una priorità delle istituzioni pubbliche e dei privati cittadini, col fine di dotarsi della maggior resilienza possibile contro epidemie/pandemie, con tutte le varianti emergenti e le incertezze che ci attendono nel futuro.

A cura di Agatino Sanguedolce e Carmela Rinaldi

 

Bibliografia

The impact of behavioural risk factors on communicable diseases: a systematic review of reviews doi: 10.1186/s12889-021-12148-y

Links between Health-harming behaviours and communicable disease informing future pandemics and epidemics – Prifysgol Bangor University


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