Le differenze geografiche nell’invecchiamento e la ricerca della felicità
Nell’Unione Europea la popolazione non invecchia dappertutto allo stesso modo. Infatti, ci sono evidenti differenze geografiche sia tra paesi membri che al loro interno. Lo afferma il report “The demographic landscape of EU territories”, recentemente pubblicato dal Joint Research Center (JRC), il CNR dell’Unione Europea.
L’indagine prende il via dalla constatazione che l’aspettativa di vita è aumentata moltissimo durante gli ultimi centoventi anni e, complice l’abbassamento della natalità, è aumentata anche la percentuale di anziani over 65. Nel corso del 2020 il 21% dei cittadini europei – più di una persona su 5 – è entrato nella sua terza età e non si prevedono particolari cambiamenti di questo trend dovuti alla pandemia in corso.
Il confronto tra la percentuale di anziani e quella dei giovani sotto i 15 anni, che nel loro insieme raggiungono solo il 15% dei cittadini comunitari, rende chiaro che i fenomeni demografici sono destinati a modificare profondamente il tessuto socioeconomico dell’Unione e che sono anche un’urgente questione di welfare sanitario.
Quello che il JRC ha cercato di ricostruire, a beneficio delle future politiche comunitarie, è dove si troveranno principalmente gli anziani, in Europa, e perché.
La fotografia dipinta nel rapporto ritrae un’Europa che invecchia, con il centro del continente destinato a raggiungere rapidamente le elevate percentuali di anziani dell’Europa Mediterranea mentre l’Europa dell’Est, attualmente più giovane, si avvierà più lentamente nella medesima direzione.
L’Europa continentale mostra inoltre un fenomeno su scala minore: all’interno delle singole nazioni sono le zone rurali attorno ai grandi conglomerati urbani a invecchiare di più, mentre le città mantengono un’età media minore.
Come mai proprio questo tipo di cambiamento? Il report del JRC individua come principale causa del l’invecchiamento di una zona geografica il suo spopolamento. Le generazioni più giovani e produttive sono quelle più inclini a spostarsi per motivi di lavoro, di studio e alla ricerca di una migliore qualità della vita. Spesso costrette a cercare fortuna in luoghi diversi da quelli dove sono nati, si lasciano alle spalle le generazioni precedenti.
Nelle zone più ricche di opportunità per i giovani, come le principali aree urbane, si instaura così un circolo virtuoso: la presenza di persone più giovani, quindi più innovative e produttive, migliora l’economia, che a sua volta migliora i servizi e la qualità della vita. Questo si traduce in una maggiore attrattiva per altri giovani che vi si spostano da aree più periferiche e mantengono bassa l’età media. Per contro, le persone più anziane restano nelle periferie rurali “vampirizzate” delle forze più giovani e produttive. Qui il rischio è di un percorso inverso: un circolo vizioso di regressione economica che induce ulteriormente i giovani a “scappare” verso le città.
Purtroppo, questo fenomeno non è una novità nel nostro paese. L’Italia è da tempo interessata da un saldo migratorio interno che vede le giovani generazioni lasciare il Sud del paese per cercare nel nord economicamente più avvantaggiato migliori condizioni di studio, di lavoro e una miglior qualità della vita.
Un’indicazione che possiamo trarre dal rapporto del Joint Research Center è quindi che investire nello sviluppo necessario per attrarre le giovani generazioni a restare o a ritornare in meridione può essere la chiave non solo per invertire questo fenomeno, ma anche per agire sulla componente geografica delle differenze di salute tra cittadini italiani.