Le neurotrofine costituiscono una famiglia di piccoli messaggeri proteici che svolgono un ruolo fondamentale sia nel sistema nervoso centrale che in quello periferico. Le principali funzioni di queste proteine sono la regolazione della crescita della fibra nervosa (assone), la differenziazione neuronale e la plasticità sinaptica.
La prima neurotrofina, il Nerve Growth Factor (NGF), fu descritta da Rita Levi Montalcini l’11 giugno 1951, mentre la scienziata studiava i fattori di sopravvivenza cellulare. Fu una scoperta seminale capace di costituire un modello per importantissimi sviluppi successivi e che le valse il conferimento del premio Nobel nel 1986.
Ad oggi, sono note nei mammiferi quattro neurotrofine: il già citato NGF, il Brain Derived Neurotrophic Factor (BDNF), la neurotrofina-3 (NT-3) e la neurotrofina-4 (NT-4). Essi sono derivati da un gene ancestrale comune e si assomigliano moltissimo nella sequenza degli aminoacidi e nella forma.
Tuttavia, non è il NGF la neurotrofina più importante, bensì il BDNF. Non soltanto perchè è la più abbondante nel cervello, ma perché può essere trasportata all’esterno del cervello attraverso la barriera emato-encefalica ed agire perifericamente. Inoltre, il BDNF è prodotto anche dalle cellule muscolari scheletriche e questo potrebbe essere un fattore di grande importanza per spiegare la frequente associazione di malattie neurodegenerative in soggetti sarcopenici. Questa neurotrofina è essenziale per la sopravvivenza neuronale durante lo sviluppo e la formazione delle reti neuronali nel cervello, regola la sinaptogenesi, la trasmissione e la plasticità sinaptica, svolgendo un ruolo cruciale soprattutto nei meccanismi di apprendimento e memoria. Uno studio preclinico ha dimostrato che il deficit cronico di BDNF porta a un deficit nell’apprendimento correlato all’età e che il BDNF è in grado di interagire con i radicali dell’ossigeno (ROS) che sono noti per essere alla base dell’invecchiamento, delle malattie neurodegenerative e di alcuni disturbi neuropsichiatrici.
Esistono ormai numerose prove che un deficit di BDNF possa contribuire alla patogenesi di importanti malattie neurodegenerative come le malattie di Huntington, Alzheimer e Parkinson. Pertanto, la ricerca attuale è focalizzata sulla possibilità di mettere a punto una “terapia BDNF” capace di aumentare i livelli endogeni di BDNF agendo su obiettivi molecolari mirati.
Bibliografia
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