Il diabete mellito di tipo 2 è una delle più comuni malattie croniche al mondo: ha una prevalenza del 5% circa, maggiore nei paesi più industrializzati e con migliore disponibilità di cibo. Insorge tipicamente in età adulta e la sua incidenza cresce con l’avanzare dell’età. Tuttavia negli ultimi decenni si è osservato un abbassamento dell’età media nella popolazione diabetica: una delle cause è sicuramente l’aumento della prevalenza di sovrappeso e obesità, soprattutto quella addominale, importantissimi fattori di rischio per il diabete di tipo 2. Abitudini alimentari ipercaloriche e ricche di carboidrati, stile di vita non salubre e assenza di attività fisica aumentano il rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Esiste indubbiamente anche una familiarità per questo tipo di diabete, ma gli studi di genetica hanno finora ottenuto evidenze certe di associazione in un numero ridotto di casi.

Il diabete mellito di tipo 2 è caratterizzato da iperglicemia, ovvero un’elevata concentrazione di glucosio nel sangue, che è dovuta principalmente all’insulino-resistenza, fenomeno per cui le cellule del corpo diventano meno sensibili all’azione dell’insulina, ormone prodotto dal pancreas che ha lo scopo di diminuire la concentrazione di glucosio nel sangue facendolo entrare all’interno delle cellule. In caso di insulino-resistenza, quindi, il pancreas aumenta la secrezione di insulina per compensare l’iperglicemia (almeno nelle fasi iniziali di malattia). A lungo andare, ciò non è sufficiente a mantenere normali livelli di glucosio nel sangue e provoca una graduale riduzione della riserva di insulina nel pancreas.

Il glucosio nel sangue si lega a diverse proteine, tra cui l’emoglobina nei globuli rossi, la proteina che ha lo scopo di trasportare l’ossigeno. Dal momento che essi hanno una vita di circa 120 giorni, la misurazione dell’emoglobina glicata (ovvero dell’emoglobina che a cui è legato il glucosio) permettere di stimare la glicemia media mantenuta nei 3 mesi precedenti il prelievo, e rappresenta, come vedremo in seguito, un parametro utile per la diagnosi di diabete di tipo 2.

Sintomi

Una glicemia poco o moderatamente elevata non comporta sintomi, ma una glicemia molto elevata per un lungo periodo causa i tipici sintomi dello scompenso glicemico: elevata produzione di urine (detta poliuria) e la sensazione continua di sete con una grande introduzione di liquidi per compensare (polidipsia), calo del peso. Poliuria e polidipsia sono causate dall’eliminazione del glucosio nelle urine che, attraverso un meccanismo chimico-fisico detto osmosi richiama a sé molta acqua. Il calo del peso invece è dovuto allo smaltimento dei grassi all’interno delle cellule per ottenere energia: dal momento che, a causa dell’insulino-resistenza, il glucosio è abbondante in circolo ma non può essere internalizzato nelle cellule, esse avranno a disposizione solo i grassi.

In caso di grave scompenso glicemico è possibile arrivare alla cosidetta sindrome iperglicemica iperosmolare, caratterizzata da severa disidratazione, eccessiva concentrazione di glucosio e sali nel sangue e alterazione dello stato di coscienza che può aggravarsi fino al coma e alla morte.

Diagnosi

Solitamente la diagnosi di diabete mellito di tipo 2 segue esami del sangue in cui si riscontrano valori di glicemia a digiuno ed emoglobina glicata sopra la norma, oltre a tener conto dei sintomi di poliuria, polidipsia e calo ponderale nel caso si presentino.

Terapia

Ad oggi sono molte le opzioni terapeutiche disponibili, ma la terapia più importante è sempre un corretto stile di vita. In particolare è fondamentale seguire una dieta bilanciata riducendo, nelle quantità stabilite insieme al proprio medico, l’introito di carboidrati semplici (zucchero, dolci, bevande zuccherate) e complessi (farine, pasta, pane, riso, patate), e praticare attività fisica di grado almeno moderato con regolarità. Il calo ponderale è importante nei pazienti che presentano un sovrappeso o un livello elevato di grasso addominale. Se l’ottimizzazione dello stile di vita non è sufficiente, è necessario avviare la terapia farmacologica.

Esistono molti farmaci antidiabetici orali in grado di controllare la glicemia. Il farmaco di prima linea è la metformina, che ha lo scopo di ridurre la glicemia, a cui si possono accompagnare altre classi di farmaci se il controllo glicemico è insufficiente. Alcuni farmaci di nuova generazione hanno la capacità di proteggere l’organismo indipendentemente dal loro effetto sulla glicemia.

Nei casi poco o non responsivi alla terapia orale, infine, è possibile la somministrazione sottocutanea di insulina, disponibile come molecola a rapido assorbimento da somministrare prima dei pasti e come molecola a lento assorbimento che si somministra tipicamente di sera, prima di coricarsi. Le ipoglicemie, effetto collaterale dell’insulinoterapia e di alcuni farmaci che riducono la glicemia, sono caratterizzate da tremori, sudorazione profusa, senso di fame importante, vertigini, fino all’alterazione dello stato di coscienza.

Complicanze

Il diabete mellito, soprattutto se non trattato, può causare diverse complicanze al circolo sanguigno e ai vasi. I potenziali bersagli sono numerosi: per esempio il cuore (eventi cardiovascolari come infarto del miocardio), i vasi cerebrali e le arterie e vene che irrorano tutto il capo (ictus), il rene (nefropatia diabetica), l’occhio (retinopatia e maculopatia diabetica), il microcircolo degli arti inferiori (sindrome del piede diabetico) e del pene (disfunzione erettile), il sistema nervoso periferico (neuropatia diabetica).

Le complicanze sono più frequenti nei pazienti con una lunga durata di diabete e con un cattivo compenso glicemico. Inoltre, le complicanze cardiovascolari sono più probabili se insieme al diabete vi sono altri fattori di rischio come obesità, sedentarietà, ipertensione e dislipidemia. Questi fattori sono in parte correlati e sono spesso presenti nel paziente diabetico andando a delineare quella che viene detta sindrome metabolica

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