Tutte le estati, nel quartiere londinese di South Kensington, si tiene una stagione concertistica (i Proms) che vede la partecipazione dell’orchestra filarmonica della BBC. L’ultima giornata è dedicata ai canti patriottici e della tradizione. In questa occasione, migliaia di persone si ritrovano alla Royal Albert Hall e sul prato di Hyde Park, dove il concerto viene trasmesso su grandi schermi, per cantare l’inno nazionale. È sorprendente vedere come tutti cantino insieme, in piedi, all’unisono, sventolando la bandiera inglese con gli occhi che luccicano di lacrime di emozione (qui il video YouTube). Per qualche minuto nessuno è più un singolo individuo, ma si sente parte di un’unica nazione e migliaia di cuori battono insieme pieni di orgoglio. Questa immagine ben rappresenta l’importanza della musica e del canto corale nel “fare gruppo”, creare legami e, perché no, generare benessere anche fisico.

Che la musica ci faccia sentire bene non è una novità. Quasi tutti hanno una canzone particolarmente a cuore o si emozionano mentre ascoltano un brano, considerandolo qualcosa di più che semplicemente orecchiabile, spesso senza nemmeno sapere il perché. Ci si può domandare però se gli effetti della musica possano andare oltre il benessere emotivo e rappresentare una sorta di toccasana per la salute fisica, soprattutto in un periodo della vita in cui gli acciacchi sono dietro l’angolo, come la terza età. Qualcuno si è spinto a dire che cantare in coro allunga la vita e forse questo paragone non è poi così esagerato. Una ricerca svolta dalle università di Yale e Harvard nel Connecticut ha dimostrato che, nelle cittadine che avevano un coro, l’età media della popolazione era sensibilmente più alta, segno che probabilmente il canto corale, oltre che una piacevole occasione di svago, ha implicazioni anche sulla nostra salute, prima di tutto quella mentale.

Ci stiamo addentrando in un’affascinante branca della scienza nota come neuromusicologia, che studia gli effetti della musica sul sistema nervoso. Innanzitutto, la musica non si limita a stimolare la corteccia uditiva, sarebbe troppo riduttivo e non spiegherebbe il piacere che si prova quando si ascolta un brano che piace. In realtà, vengono attivate una serie di connessioni neurali all’interno di quello che viene chiamato il “sistema della ricompensa”, una rete di neuroni che rilasciano prevalentemente dopamina, responsabile del senso di appagamento. La musica, però, non rafforza solo le connessioni tra neuroni, ma anche tra le persone ed è ciò che succede nelle corali. Quando si canta in un coro non c’è più nessun “io”, ma esiste solo un grande “noi”. La personalità individuale viene annullata, ma non in senso negativo, bensì per essere sostituita da una collettività armoniosa dove non c’è una voce che prevale sulle altre. Si è gruppo, si è insieme, si diventa una somma di persone che si coordinano e si supportano reciprocamente.

La creazione di relazioni sociali sembrerebbe ridurre l’isolamento e il senso di solitudine di cui alcuni anziani possono fare esperienza, soprattutto se affetti da patologie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer. Questa “medicina musicale” potrebbe essere un valido alleato da abbinare ai trattamenti tradizionali. Diversi studi effettuati su anziani affetti da demenza hanno dimostrato che organizzare delle sedute periodiche di canto corale migliora, già dopo poco tempo, il benessere psicologico e sociale dei partecipanti e di chi si prende cura di loro, con effetti positivi sull’autostima, su ansia e depressione, e sulla consapevolezza della propria malattia, contribuendo a ridurre lo stigma tradizionalmente associato a queste patologie.

Anche in questo caso, esistono valide motivazioni scientifiche del perché il canto corale migliori l’umore e contribuisca a creare legami. Da un lato, sembra che la musica stimoli la produzione di endorfine, neurotrasmettitori rilasciati dal sistema nervoso che conferiscono uno stato di benessere generalizzato agendo sulle aree meno “razionali” del nostro cervello ma importantissime per la regolazione dell’umore e del senso di appagamento. D’altra parte, fare musica promuove il rilascio di ossitocina, proteina che, nella comunicazione tra i neuroni, ha un ruolo nel generare legami affettivi.

Un altro aspetto positivo del canto corale è rappresentato dal fatto che, inconsapevolmente, da coristi si è costretti a tenere a mente una serie di brani musicali. Lo spartito può aiutare, certo, ma prima o poi si finisce per ricordare il pezzo che si sta cantando. Questa forma di allenamento della mente non è assolutamente da considerarsi passiva, anzi, alcuni ricercatori l’hanno addirittura proposta come metodo per rallentare il decadimento cognitivo. Uno studio dell’università di Helsinki su 89 soggetti con demenza ha mostrato che, dopo poche settimane di canto corale costante, le funzioni esecutive, la memoria e l’orientamento dei partecipanti erano notevolmente migliorate.

Ma non è tutto; il canto sembrerebbe avere effetti benefici anche sul sistema cardiovascolare. Che i cuori dei partecipanti alla serata finale dei Proms battano all’unisono mentre si canta l’inno nazionale non è solo un modo di dire. Il canto è, di fatto, una respirazione guidata, ed esiste una vera e propria spiegazione scientifica del perché il respiro impostato influenzi la frequenza cardiaca tanto da sincronizzare i battiti dei cantori.

Il battito cardiaco ha una certa variabilità e parte di essa è proprio associata alla respirazione. Il pacemaker naturale si trova nell’atrio destro ed è popolato da cellule che si comportano come minuscoli pendoli in grado di produrre spontaneamente delle contrazioni regolari. Questa regione, nota come nodo senoatriale, è però controllata anche dal sistema nervoso autonomo, a sua volta influenzato da aree cerebrali che regolano la respirazione e da recettori che percepiscono la distensione dei polmoni. Quando espiriamo, per esempio, prevale l’attività del nervo vago, che fa leggermente rallentare il cuore. Al contrario, durante l’inspirazione, questo “freno vagale” è rilasciato e prevale l’attività del sistema simpatico, che fa accelerare il cuore. Già in condizioni normali, quindi, la frequenza cardiaca è governata, almeno in parte, da quella respiratoria, e si può perciò comprendere come la respirazione guidata possa avere ripercussioni interessanti sul benessere cardiovascolare.

Uno studio svedese ha voluto verificare gli effetti fisiologici del canto corale attraverso la registrazione minuziosa di alcuni parametri fisici. Ai 15 partecipanti, tutti ragazze e ragazzi di 18 anni, è stato chiesto di svolgere tre compiti “canori” in gruppo:

  1. canticchiare a bocca chiusa un motivetto a propria scelta respirando ogni volta che ne sentissero la necessità (canto non coordinato),
  2. cantare un inno respirando liberamente (canto parzialmente coordinato, con respirazione preferenziale)
  3. recitare un mantra respirando solo nelle pause tra le frasi (canto completamente coordinato).

Nel frattempo, la loro frequenza cardiaca veniva monitorata, un po’ come un elettrocardiogramma. I risultati sono apparsi molto interessanti. Quando i soggetti canticchiavano liberamente, le loro frequenze cardiache erano diverse da individuo a individuo, senza che una predominasse sulle altre, anche se si poteva già notare un battito più regolare rispetto alle condizioni basali. La semplice richiesta di riprodurre un suono a bocca chiusa, infatti, induce già dei cicli di respirazione più lunghi e profondi e il respiro inizia a coordinarsi meglio con il battito cardiaco. Quando poi i partecipanti hanno cantato in coro l’inno nazionale, ecco che i loro battiti hanno iniziato ad allinearsi su alcune frequenze e l’effetto è diventato ancora più evidente durante la recitazione del mantra, quando bisognava seguire delle regole precise anche per respirare. In questo caso è prevalsa una singola frequenza, come se i cuori di tutti i cantori si fossero improvvisamente sincronizzati.

In pratica, questo studio ha voluto dimostrare l’ipotesi che, quando si canta, la variabilità della frequenza cardiaca riflette la struttura del canto poiché quest’ultima determina la frequenza con cui respiriamo e, indirettamente, il suo rapporto con il battito cardiaco. È come se, in un coro, i cantori fossero uniti da fili invisibili capaci di far battere i loro cuori all’unisono, creando un’empatia non solo emotiva ma anche fisica con effetti benefici sul sistema cardiovascolare, come un ritmo più regolare e un migliore controllo della pressione sanguigna.

Tutto questo si traduce in un effetto positivo anche sull’ansia, dal momento che un respiro e un battito cardiaco più regolari si associano a livelli più bassi di cortisolo, l’ormone dello stress. Uno studio promosso dal Royal College of Music ha dimostrato che basta una sola ora di canto corale al giorno per abbassare notevolmente i livelli di cortisolo e di molecole pro-infiammatorie prodotte dal nostro sistema immunitario, segno che questa attività ha effetti che vanno ben oltre il semplice senso di piacere, rafforzando per esempio le difese immunitarie e riducendo lo stress.

Per le sue qualità, il canto corale è stato paragonato a più riprese alla pratica dello yoga grazie ai suoi effetti anti-ansia e di regolazione della frequenza respiratoria e cardiaca. Per i non amanti del movimento che cercano comunque un’attività rilassante, cantare in un coro rappresenta una valida alternativa, dal momento che permette di ridurre lo stress e migliorare l’umore senza che le proprie articolazioni corrano rischi, con il vantaggio ulteriore di creare legami stabili, un aspetto ancora più importante da anziani, quando, terminata l’attività lavorativa, si rischia di avere meno occasioni per fare gruppo. Non a caso, diverse università della terza età, tra cui Univ3 Novara, annoverano il canto corale all’interno della propria offerta didattica.

E allora fuori la voce! Per un “healthy aging”, o invecchiamento in salute, decidere di entrare a fare parte di un coro potrebbe essere un buon consiglio per mantenersi mentalmente attivi, creare legami con altre persone e ottenere benefici a lungo termine per la propria salute, magari guadagnando qualche anno di benessere in più, tutti vantaggi da non sottovalutare. Provare per credere!

 

Fonti bibliografiche

Vickhoff, B., Malmgren, H., Åström, R., Nyberg, G., Ekström, S. R., Engwall, M., & Jörnsten, R. (2013). Music structure determines heart rate variability of singers. Frontiers in psychology, 4, 334.

Fancourt D, Williamon A, Carvalho LA, Steptoe A, Dow R, Lewis I. Singing modulates mood, stress, cortisol, cytokine and neuropeptide activity in cancer patients and carers. Ecancermedicalscience. 2016 Apr 5;10:631. doi: 10.3332/ecancer.2016.631. PMID: 27170831; PMCID: PMC4854222.

National Institute on Aging. 2023. Could ‘musical medicine’ influence healthy aging?

Claudia De Luca. 2013. Perché cantare fa bene al cuore

Vittorio Sabadin. 2013. Cantare in coro? Come lo yoga. Studio svedese: i battiti del cuore. La Stampa

 

 

 

 

 

 

 

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