Il 1 ottobre ricorre la Giornata Mondiale delle Persone Anziane, che quest’anno ha come tema l’equità digitale. Anche le persone in età avanzata possono trarre vantaggi dall’utilizzo delle tecnologie digitali, ma è necessario garantire a tutte le persone di tutte le età e in tutti i paesi la possibilità di accedere a tali strumenti e, allo stesso tempo, fornire le competenze necessarie.
Le Nazioni Unite sottolineano come solo metà della popolazione mondiale abbia un accesso a internet: a esserne esclusi sono i paesi meno sviluppati e, all’interno dei singoli paesi, le zone rurali e suburbane, che spesso sono quelle in cui risiedono anziani soli. Persiste anche un digital divide sulla base dell’età e ridurlo rientra tra gli obiettivi delle Nazioni Unite per uno sviluppo sostenibile.
La pandemia di COVID-19 ci ha mostrato come le tecnologie digitali possano rivelarsi strategiche per i servizi pubblici, per la formazione, per i servizi sanitari e la salute e soprattutto nel mantenimento delle relazioni sociali: tutte aree di fondamentale importanza per l’invecchiamento attivo e in generale per le persone in età avanzata.
Ma gli anziani e i “boomer” sono contrari al digitale?
Sono molto comuni tra i non nativi-digitali – cioè tutti colore che sono nati e cresciuti prima dell’avvento degli smartphone – le discussioni nostalgiche che rievocano un passato migliore, più umano, in cui si parlava di più con il prossimo, in cui le relazioni erano più vere e la nostra attenzione era tutta rivolta al presente. Ma è davvero così?
Una cosa è certa: proprio questi messaggi, vengono diffusi su Facebook e su Whatsapp da quegli adulti nostalgici di un passato pre-tecnologico, utilizzando persino il linguaggio dei meme: immagini corredate da testi che diventano velocemente virali.
Un recente studio antropologico dell’University College London ha documentato le molteplici esperienze e modalità di utilizzo (anche creative) dello smartphone da parte delle persone in età avanzata. Undici antropologi hanno passato 18 mesi 9 diversi Paesi nel mondo, dal Camerun all’Italia, per capire come questi strumenti sono stati incorporati nella nostra vita quotidiana: i risultati si possono leggere nel report The Global Smartphone: Beyond a youth technology. Caratteristica dello studio è l’osservazione delle pratiche messe in atto dal basso: come le persone adattano alle proprie esigenze gli strumenti digitali, indipendentemente da come sono stati pensati da programmatori e designer.
Anche se spesso ne parlano male (soprattutto in alcuni Paesi, tra cui il nostro) gli smartphone hanno assunto un ruolo nuovo anche nella vita delle persone di mezza età o in età avanzata: “Gli smartphone non sono più solo uno strumento che usiamo, ma un luogo in cui viviamo”, spiega l’antropologo Daniel Miller. Sono diventati la nostra “casa portatile”, un luogo in cui ci sentiamo a casa e in cui trascorriamo più tempo di quello che trascorriamo nella nostra casa “fisica” e sul posto di lavoro.
Se non vi ritrovate in questa definizione provate a fare un test: come chiamate l’attività con cui filtrate o eliminate le amicizie su Facebook o le app sulla schermata dello smartphone? Per indicare queste attività, usiamo sempre più spesso le parole “fare le pulizie”: proprio come a casa, dedichiamo del tempo alla manutenzione periodica del nostro spazio di intimità, lo “arrediamo” anche esteriormente, con custodie o adesivi, che lo rendano più comodo, ma anche più bello e più simile a noi. E al suo interno, magari come sfondo, inseriamo le foto dei nostri cari in modo che possiamo vederle e farle vedere agli altri.
Le diverse app presenti nello smartphone sono un po’ come le diverse stanze di una casa, adibite ciascuna a diverse attività: così ci sono app-stanze per il divertimento, per cucinare, per leggere le notizie o per fare ricerche.
La cosa interessante è che la funzione di queste stanze viene stabilita da chi le abita, non dall’architetto che le ha progettate.
Facciamo l’esempio delle app per la salute. Un app come whatsapp o il contapassi sono considerati luoghi della salute molto più che app specificamente progettate per questo.
Le app dedicate alla salute sono appannaggio delle persone maggiormente digitalizzate, con un divario che replica le disuguaglianze socioeconomiche, le stesse che conducono anche a un ridotto accesso ai servizi per la salute. Però altre app hanno creato spazi per la condivisione di esperienze sulla salute che prima non esistevano. Per esempio la salute femminile e la menopausa, vissute nel passato come un tabù con una difficoltà nell’accesso alle informazioni, oggi sono oggetto di conversazione e confronto in gruppi whatsapp tutti al femminile (il gruppo del coro, del giardinaggio o del cucito): grazie alla connessione digitale la menopausa diventa una tappa vissuta in gruppo, attraverso un rinnovato supporto sociale e con l’attribuzione di nuovi significati a quello che una volta era un tabù.
Luci e ombre del nostro rapporto con lo smartphone
“Il rovescio della medaglia per le relazioni umane, spiega Miller, è che in qualsiasi momento, durante un pasto, una riunione o un’altra attività condivisa, la persona con cui ci troviamo può semplicemente scomparire, ‘andando a casa’ nel suo smartphone”.
Ma per molte persone lo smartphone diventa il modo per mantenere i legami con i parenti che si trovano altrove: è il caso di molte persone migranti. Per qualcuno sono lo strumento per continuare a fare i nonni anche quando i figli si sono trasferiti per lavoro o per studio Per altre famiglie sono il luogo in cui i fratelli si incontrano e si mettono d’accordo su come prendersi cura dei genitori anziani.
Nella città di Milano, a cui gli antropologi hanno dedicato una pubblicazione specifica “Ageing with Smartphones in Urban Italy”, è emerso che lo smartphone è uno strumento chiave per promuovere forme di partecipazione sociale per le persone di mezza età, dal coro ai gruppi di volontariato. Allo stesso tempo, però la maggiore “disponibilità sociale” provocata dal cellulare rende necessario lavorare sull’equilibrio tra vita sociale e vita privata, tra tempo offline e online, che le persone generalmente sentono di voler o dover controllare, senza riuscirci.
Concludono gli autori dello studio: “invecchiare con gli smartphone in questo contesto urbano e digitale contemporaneo in Italia significa vivere non solo con ambiguità e contraddizioni, ma anche con speranza e possibilità, dal momento che le persone sviluppano capacità e curiosità verso un mondo che cambia, verso i cambiamenti personali e verso le relazioni con gli altri.”