Nel 2001 il sito della BBC ha pubblicato un articolo che riportava i risultati deludenti di un sondaggio sulla consapevolezza delle donne inglesi rispetto ai danni del fumo di sigaretta. Per mostrare loro le conseguenze a lungo termine di questa cattiva abitudine, è stata mostrata la fotografia di due gemelle di 22 anni, modificata al computer per riprodurre gli effetti sul viso che esse avrebbero avuto intorno ai quarant’anni se una avesse fumato e l’altra no. La differenza è sorprendente: pur avendo la stessa età, la fumatrice dimostra almeno dieci anni in più a causa di rughe molto più profonde e di un sorriso rovinato da denti ingialliti e precocemente danneggiati. Fino a un quarto delle donne intervistate erano ignare degli effetti cardiovascolari del fumo e circa l’8% non sapeva che esso aumenta di molto il rischio di tumore al polmone. Tuttavia, l’aspetto profondamente diverso delle due sorelle della fotografia indica che il tabagismo ha un impatto non indifferente anche sul processo di invecchiamento.

Un danno generalizzato

Tanto per cominciare, il fumo favorisce e peggiora molte patologie tradizionalmente associate all’età, compromettendo la qualità della vita. Basti pensare che una sola boccata di fumo comporta l’inalazione di quasi 5000 diverse sostanze, 300 delle quali sono comprovati carcinogeni. Tra i numerosi gas e vapori che si liberano dalla combustione del tabacco, vengono prodotti anche i radicali liberi. Questi componenti volatili, essendo anche solubili nel sangue, sono capaci di danneggiare potenzialmente ogni tessuto del nostro corpo creando stress ossidativo, una reazione chimica in grado di modificare varie molecole bersaglio, a volte irreversibilmente, soprattutto quando questi effetti sono accompagnati da una ridotta protezione degli antiossidanti naturali come le vitamine, tradizionalmente diminuiti nei fumatori.

Tralasciando le ben note conseguenze del tabagismo sui polmoni (il fumo è il primo fattore di rischio per il tumore al polmone ed è responsabile di circa l’80% delle broncopneumopatie croniche ostruttive), forse non tutti sono a conoscenza dei meccanismi alla base dei danni del fumo sul sistema cardiovascolare. A farla da padrone è sempre il danno ossidativo, che altera le pareti dei vasi sanguigni sia a livello strutturale che dal punto di vista funzionale, per esempio favorendo l’interazione con piastrine e cellule infiammatorie o promuovendo l’ossidazione delle particelle di “colesterolo cattivo”, che finiscono per infiltrarsi nelle pareti vascolari accelerando la formazione di placche. Il risultato è il processo di aterosclerosi, che a lungo andare può degenerare e portare all’occlusione del vaso sanguigno. I radicali liberi agiscono inoltre in sinergia con la nicotina contenuta nelle sigarette, che si comporta come potente vasocostrittore e allo stesso tempo inibitore della vasodilatazione, causando pressione alta e ridotta perfusione dei piccoli vasi. 

Tristi conseguenze di questi processi sono, a livello cardiovascolare, trombosi venose e arteriose, ictus cerebrali o infarti, ma ne derivano anche altri fenomeni meno noti che tuttavia impediscono una serena terza età, come una maggiore predisposizione al diabete di tipo 2, quello “degli anziani”, un peggioramento dell’osteoporosi senile, un maggiore rischio di cataratta e altri problemi alla vista e ad altri sensi come olfatto o udito, o una maggiore frequenza del fastidioso reflusso gastro-esofageo, solo per citare i più comuni. 

Sorprendentemente sembra che il fumo protegga dalla demenza di Alzheimer e dal morbo di Parkinson, probabilmente grazie agli effetti stimolanti della nicotina sui sistemi dell’acetilcolina e della dopamina, le principali molecole mediatrici della comunicazione tra neuroni coinvolte nella patogenesi di queste malattie. Ma non è tutto oro quello che luccica: i danni del fumo sui vasi cerebrali possono infatti creare microinfarti che, ripetuti nel tempo, contribuiscono allo sviluppo di altre forme di neurodegenerazione, come la demenza vascolare.

Altro che creme antirughe…

Parlando invece di aspetto esteriore, la pelle, che si può considerare come un vero e proprio organo (il più esteso del nostro corpo!), è purtroppo un altro sfortunato bersaglio dei danni da fumo proprio come i polmoni, il cuore e i vasi sanguigni, tanto che è stato coniato il termine “faccia da fumatore”, riferendosi a un volto che, rispetto all’età anagrafica della persona, dimostra sicuramente più anni a causa di rughe più abbondanti, di solito intorno agli occhi (le cosiddette “zampe di gallina”) e alle labbra, oltre a un colorito grigiastro della cute. 

L’effetto del fumo sulla pelle va ben oltre l’aspetto estetico e determina una profonda alterazione della struttura e della composizione dell’epidermide e del derma sottostante. Il danno è duplice, diretto nel caso della superficie cutanea (epidermide), irritata e disidratata dal fumo, e indiretto nel caso del derma. Qui il flusso sanguigno viene alterato dal danno ossidativo a carico delle  pareti vascolari e dalla contrazione dei piccoli vasi stimolata dalla nicotina. Si verificano inoltre una ridotta produzione di collagene, il principale componente del derma, un accumulo anomalo di fibre elastiche (elastosi) e una maggiore attività di enzimi che degradano le proteine della matrice dermica. Il risultato è una profonda alterazione di tutta l’architettura cutanea che accelera lo sviluppo delle rughe. Anche in questo caso, sembra che la causa principale del danno alla pelle indotto dal fumo siano i radicali liberi. È infatti lo stress ossidativo che induce l’attività degli enzimi di degradazione e che rende le cellule della cute meno sensibili ai fattori protettivi, in un processo che ricorda molto i danni provocati dall’esposizione prolungata ai raggi ultravioletti della luce solare (photoaging).

Non solo, i fumatori tendono a contrarre la muscolatura facciale molto più spesso, increspando le labbra per aspirare il fumo e strizzando gli occhi per proteggerli dal suo effetto irritante, e a lungo andare questi movimenti ripetitivi contribuiscono a rimarcare le rughe di espressione, soprattutto se la pelle è meno elastica e rimodellabile. 

La ridotta capacità delle ferite di rimarginarsi è un’altra conseguenza legata al fumo. Le cellule normalmente coinvolte nel processo di rimodellamento, i fibroblasti, sono infatti meno capaci di migrare nella regione dove sarebbero richiesti e si accumulano alle sue estremità, risultando in un’anomala deposizione di tessuto fibrotico responsabile della formazione di cicatrici. 

Insomma, per chi fuma non c’è crema antirughe che tenga e alcuni ricercatori hanno perfino proposto una formula matematica per predire l’entità delle rughe di un soggetto a partire da età, esposizione alla luce ultravioletta e numero di pacchetti di sigarette fumati nel corso della vita.

I telomeri: una sigaretta che si consuma

Finora si è parlato di qualità di vita, ma se il fumo avesse un impatto anche sulla quantità di vita, ovvero sulla longevità? Per capirlo occorre introdurre il ruolo del telomero, una sorta di cappuccio che riveste le estremità dei cromosomi proteggendole in due modi: da una parte impedendone l’inevitabile accorciamento durante la replicazione delle cellule, dall’altra nascondendole dall’attacco esterno di enzimi di riparazione del DNA che potrebbero scambiare le estremità monche dei cromosomi per tagli da aggiustare. Il problema è che anche i telomeri si accorciano a loro volta ad ogni duplicazione cellulare, consumandosi progressivamente proprio come una sigaretta accesa. Quando si esauriscono, la “sigaretta” si spegne e la cellula smette di proliferare entrando in una fase detta di “senescenza”, cioè invecchia per poi morire. L’accorciamento dei telomeri è quindi l’orologio biologico alla base dell’invecchiamento.

Vari studi, successivamente riuniti in una vasta analisi collettiva dei dati, hanno dimostrato un’associazione tra il fumo di sigaretta e una ridotta lunghezza dei telomeri. Non solo, la differenza è apparsa significativa anche confrontando i fumatori con gli ex-fumatori, dimostrando i benefici derivanti dallo smettere di fumare. Anche uno studio spagnolo ha dimostrato un progressivo accorciamento dei telomeri con l’età nei fumatori ma non nei non-fumatori e questa tendenza è apparsa ancora più spiccata all’aumentare del numero di pacchetti di sigarette fumati, indicando un chiaro effetto dose-risposta a svantaggio della longevità cellulare. 

Il meccanismo più plausibile alla base di questa associazione è, ancora una volta, l’effetto dei radicali liberi generati dal fumo, che indurrebbero stress ossidativo e infiammazione, danneggiando precocemente i “paraurti” dei nostri cromosomi. Il fumo instaura una sorta di circolo vizioso: attraverso il suo effetto pro-ossidante, accelera il processo di invecchiamento e a sua volta la senescenza cellulare limita la capacità dei tessuti di autoripararsi. Il risultato è che non solo ci si ammala più facilmente ma si guarisce anche meno frequentemente! 

A questo punto è necessario soffermarsi sul  significato di invecchiamento. Questo termine non è semplicemente un indice del numero di compleanni festeggiati, ma rappresenta una ridotta performance della nostra macchina biologica che potrebbe impattare  negativamente su quella che è stata definita come “idoneità somatica” (somatic fitness), ovvero l’abilità innata di resistere o di sopravvivere alle malattie che inevitabilmente si sviluppano con il passare degli anni. Da questa prospettiva, la longevità deriverebbe anche dalla resilienza del nostro corpo, cioè la capacità di adattarsi ai processi legati all’età. Longevo non è solo chi vive a lungo ma anche e soprattutto chi ci riesce mantenendo una buona qualità di vita. In questi termini, il fumo risulta incompatibile con un invecchiamento “di successo”, come ha dimostrato uno studio italiano su più di 600 centenari: tra di essi, la maggior parte degli ex-fumatori e di chi ancora fumava si collocava nei gruppi con condizioni di salute mediocri o precarie, indicando che non sempre la fortuna di spegnere 100 candeline è accompagnata da quella di essere autosufficienti e ancora “in gamba”. 

Il sistema del piacere e della ricompensa

Ormai lo si è ripetuto a sufficienza: fumare fa male. Ma allora perché è così difficile smettere e perché per molti il fumo è così piacevole? I meccanismi che stanno alla base di questo fenomeno sono più complessi di come potrebbe apparire. Ancora una volta il protagonista della scena è il cervello e in particolare un gruppo di strutture neurali situate nelle regioni più profonde dell’encefalo (il talamo, l’ipotalamo e i nuclei della base) e alcune delle aree più complesse della corteccia cerebrale, soprattutto frontale e prefrontale. Pur non costituendo una struttura unica e compatta, questi componenti interagiscono tra loro dal punto di vista funzionale attraverso connessioni tra neuroni che comunicano mediante diversi neurotrasmettitori (molecole responsabili della trasmissione nervosa), prima fra tutti la dopamina. Il risultato è un vero e proprio sistema, il sistema mesolimbico, che, se opportunamente stimolato, regola le sensazioni di piacere e di ricompensa, determinando un senso di appagamento.   

La nicotina raggiunge il cervello molto rapidamente, circa entro 10 secondi dall’inalazione del fumo, e agisce stimolando il rilascio di dopamina a livello del sistema mesolimbico, generando una piacevole sensazione di benessere, che però purtroppo ha vita breve, dato che i suoi effetti si dissipano nel giro di poco tempo. È a questo punto che iniziano i fastidiosi sintomi dell’astinenza (irritabilità, agitazione, mal di testa, ecc.) e il desiderio impellente di fumare ancora (un comportamento noto come craving) meccanismi che, anche se non agli stessi livelli, si basano sullo stesso principio della dipendenza dalle droghe d’abuso.

E allora?

Gli epidemiologi non si stancheranno mai di ripetere che l’abitudine al fumo è la prima causa di malattie e di morti prevenibili. Secondo le statistiche, un fumatore cronico ha il 50% di probabilità di morire per una patologia direttamente correlata al tabagismo e la sua vita potrebbe non superare un’età compresa tra i 45 e i 54 anni. La soluzione più semplice sarebbe non iniziare, per non farsi intrappolare nel circuito della dipendenza dal fumo, ma non è così facile, dato che sono molti e disparati i fattori che inducono a provare la prima sigaretta, a partire da una forte componente sociale, soprattutto tra i più giovani. 

Per chi è già un “habitué” del fumo, sono molte le soluzioni, farmacologiche e non, per tentare di smettere, come la terapia sostitutiva con cerotti alla nicotina, l’efficace farmaco vareniclina (che stimola gli stessi recettori su cui agisce la nicotina) o l’antidepressivo bupropione. Per essere passo coi tempi anche nell’abitudine al fumo, alcuni fumatori sono passati alla  sigaretta elettronica, che però non è stata ancora studiata abbastanza per escluderne i potenziali effetti dannosi per la salute. 

Allo stato attuale ciò che sembra funzionare di più è una combinazione di trattamento farmacologico e terapia cognitivo-comportamentale, singolarmente o di gruppo, e non mancano le iniziative a supporto di chi vorrebbe smettere di fumare. In Italia, per esempio, è attivo dal 2000 il Telefono verde contro il fumo (800-55-40-88) dell’Osservatorio fumo, alcol e droga dell’Istituto Superiore di Sanità. Ma la vera chiave è la motivazione, che può essere favorita da campagne di divulgazione, semplici ma scientificamente rigorose, che sottolineino gli effetti avversi del tabagismo. Solo così non sarà più necessario lasciarsi turbare da inquietanti esperimenti di fotoritocco, come quello delle due gemelle, per  aumentare la consapevolezza nella popolazione.

 

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