Uno degli obiettivi principali quando parliamo di invecchiamento della popolazione è la compression of disease, un’azione che si sposta su tre fronti legati alla prevenzione – posticipare l’inizio della malattia cronica, prevenire ricadute e riacutizzazioni nel soggetto con malattia cronica e preservare l’autonomia dell’anziano – invece che su quello unico della cura della malattia.
Qual è il ruolo della prevenzione nell’AGING Project? Ne abbiamo parlato con il professor Fabrizio Faggiano, epidemiologo, docente di igiene dell’Università del Piemonte Orientale e coordinatore dell’AGING Project

Professor Faggiano, perché la prevenzione è così importante quando si parla di invecchiamento?

Siamo abituati a pensare che il progresso della medicina significa prolungare gli anni di vita, ma spesso dimentichiamo che questo coincide raramente con il prolungare gli anni di vita in buona salute e in autonomia. Il prolungamento dell’aspettativa di vita degli ultimi anni è stato soprattutto un aumento di vita con malattia. E qui entra in gioco la prevenzione. Si tratta in primo luogo di posticipare l’esordio di malattie croniche. Questa è la prevenzione primaria che ha l’obiettivo di ridurre i determinanti modificabili di malattia: pressione alta, sovrappeso e obesità, uso di alcol, tabacco e droghe, per fare qualche esempio di quelle che sono ancora oggi le principali cause di malattie croniche. Non tutte le malattie possono essere evitate, ma ritardate sì, e la prevenzione dopo l’esordio della malattia continua a giocare un ruolo come riduzione delle ricadute nella malattia cronica e per preservare la qualità della vita e l’autonomia nell’anziano.
Inoltre invecchiare in salute dovrebbe essere un obiettivo non soltanto individuale ma anche sociale: la transizione demografica che stiamo vivendo rischia di caricare tutto il peso della malattia e della disabilità legate all’invecchiamento sulle spalle di pochi giovani. L’aumento della popolazione anziana con una o più malattie croniche ha ovviamente anche un importante impatto economico sul sistema sanitario. È necessario quindi uno sforzo di ricerca interdisciplinare orientato al campo della prevenzione e della promozione della salute.

C’è un aspetto che forse non è immediatamente evidente. Quando si parla di ricerca biomedica, generalmente si pensa a farmaci e terapie: può spiegarci cosa c’entra la promozione della salute con la ricerca scientifica?

La promozione della salute è una tecnologia medica come tutte le altre, tanto che può perfino avere «effetti collaterali». Come ogni altra tecnologia medica, quindi, richiede sperimentazione scientifica, processi di implementazione, formazione, monitoraggio e valutazione di impatto. E, naturalmente, di finanziamenti. Fino ad oggi abbiamo investito prevalentemente nel sistema di cura, con conseguente aumento dell’attesa di vita, ma non di vita sana. Per aumentare l’attesa di vita sana, ora serve investire nella promozione della salute.

Investire sulla prevenzione: con un problema di allocazione delle risorse per la sanità in generale e sugli interventi urgenti, come è pensabile dirottarne una parte sulla prevenzione?

Il tema dell’allocazione delle risorse sanitarie non può prescindere dalla valutazione del rapporto costi/benefici degli interventi. Ma basarsi soltanto su questo parametro senza valutare la complessità del contesto in gioco rischia di essere controproducente. Stimare l’utilità dei trattamenti sulla base del rapporto costo/anni di vita guadagnati, senza introdurre un correttivo che descrive la qualità della vita, per esempio potrebbe essere una strada pericolosa.

Che senso ha parlare di prevenzione per chi ha già varcato la soglia dei 60 anni?

Spesso si dimentica che anche gli over 60 sani possono trarre benefici dalla prevenzione primaria. L’adozione di stili di vita sani riduce il rischio di ammalare ad ogni età. Ad esempio smettere di fumare riduce il rischio di tumori e di malattie cardiovascolari anche se dopo i 70 anni. Nella terza età gli interventi preventivi personalizzati potrebbero avere un effetto molto importante nel migliorare la qualità della vita, oltre che l’aspettativa di vita. L’Infermieristica di Famiglia e di Comunità potrebbe svolgere un ruolo importante a livello organizzativo per garantire questo tipo di interventi.
Diverso è il caso dell’anziano con patologia cronica. Secondo il Piano Nazionale della Cronicità “Si stima che circa il 70-80% delle risorse sanitarie a livello mondiale sia oggi speso per la gestione delle malattie croniche; …nel 2020 esse rappresenteranno l’80% di tutte le patologie nel mondo”. E proprio il Piano Nazionale della Cronicità è stato una prima reazione di adattamento (o “mitigazione”) alla crisi dell’invecchiamento della popolazione, una crisi che modifica gli equilibri economici del sistema sanitario, proprio perché più anziani è diventato sinonimo di più pazienti cronici.
L’altro strumento di adattamento sono i PDTA (percorsi diagnostico terapeutici assistenziali): nelle Aziende Sanitarie e nelle regioni si stanno sviluppando PTDA per le principali patologie croniche (Diabete, BPCO, insufficienza cardiaca). Dove si trova però la prevenzione nei PDTA?
Parliamo in questo caso di prevenzione terziaria: per prendere decisioni finalizzate a una migliore gestione delle risorse dobbiamo basarci su quello che dice la scienza. Gli interventi di «lifestyle Medicine» si stanno dimostrando efficaci nel migliorare la prognosi per molte malattie conclamate. Per esempio riducono le ricadute, le metastasi e le ri-ospedalizzazioni per tumori (Vernieri 2018), tumore della mammella (Berrino 2018), tumore del colon-retto (Schoemberg 2016), malattie cardiovascolari (Murphy 2009), diabete (DPP 2002) e BPCO. Se le sperimentazioni scientifiche riconoscono questi benefici, perché non considerare questi interventi anche nell’ambito dei PDTA? In alcuni casi si sono rivelati migliori anche rispetto a trattamenti farmacologici (ad esempio l’attività fisica verso la metformina nei pazienti diabeticii. L’appropriatezza prescrittiva, basandosi su prove di evidenza scientifica, può suggerire di abbandonare costose terapie farmacologiche in favore di interventi di lifestyle medicine. Per questo una parte dei nostri sforzi di ricerca sono concentrati nel costruire ed elaborare prove che interventi sugli stili di vita fra gli adulti siano in grado di migliorare la salute anche nei soggetti con malattie croniche.
Il terzo obiettivo di prevenzione consiste nel preservare la qualità della vita e l’autonomia dell’anziano.
Sappiamo che le ospedalizzazioni per acuzie determinano spesso perdita di autonomia funzionale nell’anziano. In ospedale l’anziano si ammala più facilmente, e l’immobilizzazione forzata e prolungata e le malattie iatrogene sono un fattore di rischio che può essere evitato attraverso nuovi modelli di presa in carico del soggetto anziano ospedalizzato. Uno di questi è l’ACE, Acute Care for Elderly, che consiste in un reparto ospedaliero completamente nuovo che riduce i tempi di allettamento e favorisce l’autonomia.

In sintesi qual è il ruolo della prevenzione nell’AGING Project?

Nel soggetto sano ci occupiamo di studiare e modellizzare interventi che posticipino l’incidenza delle malattie (prevenzione primaria), nel paziente cronico l’obiettivo è quello di evitare o ritardare l’ospedalizzazione attraverso modelli come quello dell’infermieristica di famiglia. Nel paziente ospedalizzato invece l’obiettivo è restituirlo nel più breve tempo possibile alle cure domiciliari, attraverso una gestione integrata.

 

Bibliografia 
Diabetes Prevention Program Research Group. Long-term effects of lifestyle intervention or metformin on diabetes development and microvascular complications over 15-year follow-up: the Diabetes Prevention Program Outcomes Study. Lancet 2015; http://dx.doi.org/10.1016/S2213-8587(15)00291-0 

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