Durante i momenti più critici della pandemia di COVID-19 è finito sotto i riflettori, della medicina e del giornalismo, un fenomeno spesso sottostimato che colpisce in particolare i pazienti in età avanzata. Si chiama “delirium” o delirio quello stato confusionale acuto che colpisce le persone durante un ricovero ospedaliero, specie in terapia intensiva, come complicanza della patologia, delle terapie o del post-operatorio. La mente provata dalla deprivazione o dal sovraccarico della terapia intensiva, reagisce staccandosi dalla realtà.
Un paziente con delirium ha difficoltà a mantenere l’attenzione, a focalizzarsi o a spostare l’attenzione su qualcos’altro. Può soffrire di allucinazioni, disorientamento, alterazioni della coscienza, nel ritmo sonno-veglia, disturbi sul piano emotivo, cognitivo e del linguaggio.
Un recente articolo del New York Times racconta le esperienze di alcuni pazienti ricoverati per COVID: il signor Temko, un assicuratore di 69 anni, mentre era intubato, ha scritto un messaggio ai suoi familiari in videocall, “Vogliono uccidermi!”, in preda alla paranoia; il signor Rios, 59 anni, durante la sedazione vedeva flash, sentiva boati e persone che pregavano per lui, era spaventato e anche quando non era più sottoposto alla ventilazione rispondeva a monosillabi – lui che normalmente era molto socievole e conduceva un programma alla radio –, vedeva, nella sua stanza d’ospedale, persone morte sul pavimento, vampiri e perfino il diavolo. Anche l’Atlantic ha riportato storie simili: il signor Jones, per esempio, che ha trascorso un mese in terapia intensiva, ma per la maggior parte del tempo pensava di essere altrove: in moto per Chicago, nella sua casa al mare, fuori dall’ospedale per una grigliata e una birra, o al lavoro. Fino all’esperienza della ventilazione artificiale, un’allucinazione in cui i medici incollavano tubi direttamente nei suoi polmoni.
Sono testimonianze che non lasciano indifferenti, ma potrebbero sembrare scelte ad hoc proprio per scatenare la nostra risposta emotiva. Cosa dicono i dati?
Anche nel caso del delirium, come per tante altre domande scatenate dalla pandemia, non abbiamo dati scientifici certi ed esaustivi. Il delirium è già di per sé una complicanza sotto-diagnosticata e in un momento di emergenza come quello della pandemia raramente sono stati utilizzati protocolli per individuarlo: gli studi disponibili sui pazienti con COVID-19 indicano una prevalenza di delirium tra il 20–30% nei pazienti ricoverati, prevalenza che aumenta fino al 60–70% nei casi più gravi.
Quello che sappiamo da un punto di vista scientifico è che ci sono diversi fattori che possono aumentare il rischio di sviluppare uno stato di delirio nei pazienti con COVID-19: l’impatto sul sistema nervoso centrale dell’infezione virale e dello stato infiammatorio, gli effetti secondari dell’insufficienza sistemica di altri di organi (l’insufficienza polmonare, per esempio, che può provocare ipossia), l’utilizzo di sedativi, la ventilazione meccanica prolungata, l’immobilizzazione.
E poi ci sono i fattori “ambientali”. Le condizioni del paziente ricoverato per COVID durante la pandemia sembrano pensate proprio per scatenare il delirium: i dispositivi di protezione che coprono da testa a piedi gli operatori sanitari, l’isolamento prolungato da familiari e parenti, la mancanza di contatto fisico.
Il delirium è una complicanza transitoria, ma non va sottovalutata: anche se non conosciamo ancora le conseguenze sul lungo termine per i pazienti con COVID-19, il delirium aumenta il rischio di morte, di istituzionalizzazione e l’incidenza di demenza, ed è associato a declino cognitivo. E anche in questo caso, i pazienti anziani sono i più vulnerabili.

 

Il Delirium secondo il DSM 5

Il DSM-5 identifica i seguenti criteri per diagnosticare il delirium:
A. Un disturbo dell’attenzione (cioè una ridotta capacità di dirigere, focalizzare, sostenere e spostare l’attenzione) e della consapevolezza (ridotto orientamento verso l’ambiente).
B. Il disturbo si sviluppa in un breve periodo di tempo (di solito da ore a pochi giorni), rappresenta un cambiamento rispetto all’attenzione e alla consapevolezza di base, e tende a fluttuare in gravità nel corso di una giornata.
C. Un ulteriore disturbo della cognizione (per esempio deficit di memoria, disorientamento, linguaggio, capacità visuo-spaziale o percezione).
D. I disturbi dei criteri A e C non sono spiegati da un altro disturbo neurocognitivo preesistente, stabilito o in evoluzione e non si verificano nel contesto di un livello di eccitazione gravemente ridotto, come il coma.
E. L’anamnesi, l’esame fisico o i risultati di laboratorio dimostrano che il disturbo è una conseguenza fisiologica diretta di un’altra condizione medica, di intossicazione o astinenza da sostanze (per esempio a causa di una droga o di un farmaco), o di un’esposizione a una tossina, o è dovuto a eziologie multiple.

Che cos’è il delirium

Il delirium può manifestarsi in maniera molto diversa da persona a persona. Viene classificato in base al comportamento psicomotorio in 3 tipologie.

    • Delirium ipercinetico: il soggetto può essere irrequieto, agitato a livello motorio, disorientato nel tempo e nello spazio, con allucinazioni visive e uditive, aggressivo e con alterazioni nel linguaggio. L’umore è labile e il paziente potrebbe opporsi agli interventi di cura, in particolare se invasivi. Questi pazienti sono ad alto rischio di caduta, di fratture e di comportamenti auto/etero lesivi.
    • Delirium ipocinetico: si presenta con letargia, apatia, rallentamento psicomotorio, risposta rallentata alle domande e stimoli di varia natura e riduzione dei movimenti spontanei. Questi soggetti sono a maggior rischio di malnutrizione, disidratazione e lesioni da decubito.
    • Delirium misto: si manifesta con caratteristiche di entrambi i quadri descritti.

 

Il delirium nelle persone in età avanzata

Il delirium può verificarsi a qualunque età ma, assieme ai bambini, sono gli anziani la categoria più a rischio. Circa il 10% dei pazienti anziani che vengono ricoverati in ospedale presenta delirium; dal 15 al 50% presenta un episodio di delirium durante il ricovero. Il delirium è diffuso, tra le persone anziane, nel post-operatorio, tra gli ospiti di RSA e i pazienti ricoverati in terapia intensiva.
Tra i fattori predisponenti non c’è soltanto l’età avanzata, ma anche molte condizioni e patologie che generalmente sono più diffuse in tale età: demenza, morbo di Parkinson, disturbi della vista o dell’udito e polimorbilità.
Il delirium negli anziani ricoverati in ospedale è spesso causato da farmaci, disidratazione e infezioni, ma i meccanismi fisiopatologici non sono ancora completamente noti e di frequente non è possibile individuare una vera e propria causa.
I fattori scatenanti comprendono l’uso di più di 3 nuovi farmaci, infezioni, disidratazione, shock, ipossia, anemia, immobilità, malnutrizione, utilizzo di catetere vescicale, ricovero in ospedale, dolore, deprivazione di sonno, stress emotivi.

Molti casi di delirium, soprattutto negli anziani, non vengono riconosciuti: spesso lo stato confusionale acuto dura poco, ha un andamento fluttuante nel corso della giornata (peggiora soprattutto di notte) e si manifesta con segni e sintomi che possono essere parzialmente sovrapponibili a quelli di altre condizioni cliniche tipiche dell’anziano. In particolare la forma ipocinetica è spesso confusa con depressione o demenza.
Distinguere delirium e demenze è complesso, anche perché il delirium può subentrate in pazienti già affetti da demenze. Generalmente il delirium colpisce l’attenzione, le demenze la memoria; inoltre si tratta di una condizione acuta e transitoria, generata da una situazione di stress, mentre l’insorgere delle demenze è più graduale e generalmente irreversibile.
Non ci sono esami di laboratorio che possano di per sé confermare la diagnosi, per questo è molto importante raccogliere l’anamnesi in modo approfondito per comprendere lo stato precedente alla manifestazione dei sintomi, effettuare alcuni test e una valutazione dello stato mentale e svolgere l’esame obiettivo per individuare infezioni, stato di disidratazione o altre possibili cause.
Il processo di guarigione può essere lento (giorni o addirittura settimane o mesi), soprattutto negli anziani, causando lunghi ricoveri, aumento delle complicanze, dei costi e del rischio di invalidità a lungo termine

 

Come si cura il delirium?

Eliminando le cause, se è possibile individuarle e se è possibile eliminarle. Uno staff interdisciplinare potrà inoltre occuparsi di mettere in atto strategie per aumentare la mobilità, ridurre il dolore, rivedere le terapie farmacologiche e valutare come ridurre le terapie invasive.
Alcuni farmaci possono diminuire lo stato di agitazione o i sintomi psicotici, ma generalmente i farmaci non sono risolutivi, anzi possono prolungare o aggravare il delirium o scatenare ulteriori effetti collaterali.
Molti studi su pazienti ricoverati in ospedale hanno rilevato che è possibile ridurre di circa un terzo i casi di delirium grazie ad adeguati piani di prevenzione. Alcuni fattori di rischio modificabili (disidratazione, ipossia, malnutrizione, squilibrio elettrolitico) possono essere eliminati facilmente. Molto importante inoltre la cura dell’ambiente, silenzioso e attrezzato con elementi visivi utili per orientare il paziente (per esempio, calendario, orologi, fotografie dei familiari). Un elemento importante è la regolazione della luce: nei contesti di terapia intensiva i pazienti sono continuamente esposti alla luce artificiale, mentre è importante abbassare le luci durante la notte per non alterare il ritmo sonno-veglia; nei reparti di degenza bisogna garantire una buona illuminazione, non eccessiva, che eviti possibilmente le ombre (che causano illusioni) e che non alteri il ritmo giorno-notte.
Inoltre, il personale deve essere adeguatamente formato per osservare e assistere i pazienti e per collaborare con la famiglia, che deve essere, a sua volta, adeguatamente informata.

 

Il delirium durante la pandemia di COVID-19: cosa si può fare?

Anche durante una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo, lo screening del delirium non deve essere lasciato in secondo piano, tanto più perché è possibile che ci sia una correlazione tra la gravità del delirium e quella di COVID. Lo stato di confusione è anche considerato un sintomo precoce di COVID. Inoltre il delirium è un importante fattore di predizione della mortalità. Sul lungo termine non conosciamo gli effetti a livello neurologico, ma riconoscere l’esperienza del delirium può essere utile anche per l’elaborazione del trauma del ricovero, per il benessere psicologico e l’eventuale trattamento di un sindrome da stress post-traumatico, più frequente in caso di delirium.
L’esperienza della pandemia ci ha insegnato, inoltre, a non sottovalutare il rischio di ageismo: anche se il delirium, come il COVID, colpisce soprattutto gli anziani, l’emergenza non giustifica le discriminazioni nelle cure.
Pur con tutti i limiti del contesto (la riconversione urgente dei reparti non ha certamente facilitato la creazione di ambienti ideali), si può fare qualcosa anche in termini di prevenzione. Nonostante il distanziamento e l’utilizzo di dispositivi di protezione, nonostante le priorità di intervento, il personale sanitario può fornire cure che non riguardano soltanto la malattia, ma anche lo stato generale di benessere del paziente – e in molti casi sappiamo che questo è avvenuto. Il paziente può essere incoraggiato a camminare o a muoversi, possono essere forniti strumenti per tenere la mente attiva e impegnata, dai cruciverba ai libri. Anche se non possono vedere i familiari, i pazienti possono ricevere da loro messaggi di varia natura (anche la tecnologia ci viene incontro in questo) e possono dialogare con il personale sanitario, che si prende cura di loro, con attenzione e riguardo, rassicurandoli e aiutandoli a orientarsi.
Non ci sono linee guida specifiche per i pazienti con demenze, ma è plausibile che i caregiver in questo caso non vadano considerati come semplici visitatori, ma come collaboratori indispensabili alle cure: adeguatamente formati e provvisti di protezione potrebbero collaborare con lo staff, per mantenere il paziente più calmo e rassicurato.

 

Photo by Javier Matheu on Unsplash

 

Bibliografia

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