Durante la pandemia da Covid-19, in parallelo alla diffusione del virus, abbiamo assistito alla proliferazione di complottismo e di molte teorie assurde sulla sua origine e sul motivo della sua propagazione. Soprattutto navigando su internet, era facile incappare in narrazioni che sostenevano la responsabilità di misteriosi agenti cinesi nell’innesco della pandemia o l’uso strumentale dei vaccini per aumentare i livelli di sorveglianza sulla popolazione da parte di governi collusi con le aziende farmaceutiche multinazionali.

Questa ampia circolazione di teorie false ma prodotte in buona fede, nel tentativo di trovare una spiegazione semplice di un evento nuovo e misterioso, hanno alimentato un fenomeno sociale complesso, quello del complottismo che si è esacerbato durante la pandemia.

Il fenomeno è stato analizzato nel libro “Complottisti vulnerabili. Le ragioni profonde del complottismo”(Rosemberg & Sellier), scritto dal filosofo del linguaggio Emiliano Loria, dallo psicoterapeuta Stefano Iacone e dalla filosofa e scienziata cognitiva Cristina Meini nell’ambito del progetto AGE-IT, (uno dei 14 partenariati estesi finanziati dal MUR a livello nazionale entro il PNRR, con lo scopo di studiare e contrastare l’invecchiamento).

Si tratta di una ricerca collaborativa che si avvale di una pluralità di strumenti: i differenti background dei tre autori, che vanno dalla ricerca filosofico-analitica a quella psicologica-clinica di impianto sistemico, hanno permesso di affrontare temi complessi da diverse angolazioni, incrociando processi cognitivi di alto livello con altri aspetti più basilari, quali quelli motivazionali ed emotivi, in modo da restituire un’analisi ricca e sfaccettata.

Abbiamo intervistato Cristina Meini partendo da un dato: è vero che durante la pandemia da Covid-19 la fascia di popolazione più anziana si è dimostrata particolarmente propensa ad aderire a teorie cospirazioniste?

Il dato è corretto ed emerge da uno studio condotto nel 2023 in Germania, ad Amburgo, da Larissa Zwar e i suoi colleghi, focalizzato sulle teorie cospirazioniste relative al Covid-19. Questo studio ha evidenziato come la popolazione più anziana, essendo più vulnerabile sotto molti aspetti, rappresenti una delle categorie di persone più esposte a cadere nelle trappole delle fake news e a essere irretite nelle trame cospirazioniste.

Chiariamo subito un aspetto: che differenza c’è tra le teorie false, o fake news, e quelle cospirazioniste?

Mentre le fake news sono informazioni false o ingannevoli presentate come vere notizie ma che restano per lo più “isolate”, le teorie della cospirazione sono più articolate e strutturate: spesso cercano di offrire spiegazioni alternative a eventi importanti o misteriosi presupponendo complotti segreti e manipolazioni da parte di individui potenti.

Perché si crede alle false informazioni e quanto è comune?

Tutti cadiamo vittime di fallacie di ragionamento e tendiamo a prendere per vere notizie che non lo sono, ma sono confezionate ad arte, soprattutto in un contesto come il web. Il punto è che, nella maggior parte dei casi, quando facciamo una ricerca online, non ci prendiamo la briga di applicare un metodo scientifico, di risalire alle fonti, di provare a falsificarle. Internet presuppone una reazione veloce e favorisce questo atteggiamento. Gli anziani sono più esposti, perché meno smaliziati, meno esperti di comunicazione digitale. In più, un certo grado di declino cognitivo può influenzare la loro capacità di valutare criticamente le notizie e di distinguere le fonti affidabili da quelle non affidabili: il declino cognitivo comporta una minore ritenzione delle informazioni e una maggiore difficoltà nell’elaborazione, rendendo gli anziani più suscettibili a messaggi semplicistici e ripetitivi, tipici delle fake news.

Secondo la vostra ricerca, ci sono altri fattori legati all’età che influenzano la maggiore suscettibilità degli anziani alle notizie false o addirittura alla teorie del complotto?

Sì, noi riteniamo che anche una diminuita competenza pragmatica e l’isolamento sociale possano peggiorare la capacità degli anziani di elaborare le informazioni e discernere tra realtà e disinformazione.

Cosa si intende per competenza pragmatica?

La competenza pragmatica è la capacità di utilizzare il linguaggio in modo appropriato nelle interazioni sociali e include la capacità di interpretare i messaggi non solo in base al loro significato letterale, ma anche considerando il contesto, le intenzioni non espresse, le sfumature culturali e le regole sociali non scritte che governano la comunicazione. In termini di vulnerabilità alle fake news, una ridotta competenza pragmatica può rendere meno capaci di discernere le intenzioni nascoste dietro a certe informazioni, meno sensibili alle discrepanze tra ciò che viene detto e il contesto più ampio, e quindi più inclini a credere a informazioni fuorvianti o ingannevoli.

A questo si aggiunge la diminuzione dei contatti sociali…

Gli anziani tendono a isolarsi e a perdere quella pluralità di fonti assicurata dai colleghi di lavoro, gli amici del bar, la comunità in cui erano inseriti. Inoltre diventano diffidenti e tendono a non fidarsi più nemmeno del loro medico, per cui si cercano da soli le informazioni online, perdendo la possibilità di un confronto critico e di una discussione.

Internet però non è un luogo rassicurante per loro: la loro scarsa conoscenza degli strumenti digitali li fa sentire inadeguati, cosa che aumenta il loro livello di ansia, già elevato perché connesso a una questione di salute e alla paura di ammalarsi.

Qui si sviluppa facilmente un elemento motivazionale che va ad aggiungersi a quello cognitivo: Internet è un posto di impoverimento sociale, che genera il bisogno di sentirsi parte di un gruppo. La teoria complottista rappresenta una risposta, perché si basa su un’idea forte, suggestiva, che aggrega: noi contro gli altri. E sappiamo che chi ha una buona motivazione è più propenso a credere alle notizie false, senza verificarle.

Esiste un antidoto?

Il primo consiglio che mi sento di dare, per quanto banale, è quello di restare connessi alla vita sociale: non vivere online, ma vivere quanto più possibile tra un gruppo di persone, rispettando la nostra ecologia di animali. E poi naturalmente di mantenere un senso critico vigile: occorre coltivare, fin da giovani, quella famosa riserva cognitiva, che, quando iniziamo a perdere pezzi ci permette di contare su quelli di riserva. Mi verrebbe anche da consigliare di prendersi tempo, loro che ne hanno, per approfondire, evitare di prendere per buone le affermazioni presentate a supporto di certe teorie, ma andare a verificarle consultando fonti indipendenti. E ricostruendo la storia passata.

Da ultimo, fidarsi degli esperti, in particolare del proprio medico. Non c’è ragione di pensare che non sia ben informato. Se c’è una ragione, allora è il caso di cambiare medico!

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