La terza età: gli anni passano, gli acciacchi aumentano e i movimenti diminuiscono naturalmente. Ma sarà davvero così? Se è naturale ridurre il proprio livello di attività fisica man mano che passa il tempo, perché lo sport ci fa così bene e il nostro medico ci consiglia di fare almeno mezz’ora di camminata ogni giorno? 

La risposta potrebbe trovarsi nell’evoluzione: è l’ipotesi dei “nonni attivi”, sostenuta in un recente studio da un gruppo di biologi evoluzionisti di Harvard come chiave per la nostra longevità. 

Un elisir di lunga vita

Per attività fisica si intendono tutti i movimenti del corpo che aumentano il consumo di energia, svolti durante il lavoro, il trasporto, le faccende domestiche e le attività ricreative. Non si tratta solo di sport: nell’attività fisica rientra la passeggiata per andare a fare la spesa, per andare a prendere il tram o l’autobus, il giardinaggio o le pulizie. Non serve essere medici per avere ben chiaro che tutto ciò che mette in movimento il nostro corpo fa bene, e le recenti evidenze scientifiche confermano la grande potenzialità dell’attività fisica come strumento di benessere e longevità.

Per esempio, secondo uno studio del 1993 condotto su un’ampia popolazione di persone anziane, i 70-80enni moderatamente attivi avevano tassi di mortalità per tutte le cause inferiori del 50% rispetto agli individui sedentari della stessa età, sesso e stato socio-economico. Solo per citare alcuni dei benefici che l’attività fisica promuove: mezz’ora al giorno di movimento contribuirebbe a mantenere una pressione sanguigna più bassa, migliorare le analisi del sangue e ridurre l’infiammazione dell’intero organismo, che è causa di molte malattie tipiche dell’età avanzata, come le malattie cardiovascolari, le demenze e alcuni tipi di malattie oncologiche. 

Inoltre, il movimento sarebbe anche in grado di rallentare l’invecchiamento, colpendo quei processi di deterioramento dell’organismo che riducono la capacità di rispondere agli stress esterni e aumentano la vulnerabilità alle malattie, con la conseguenza di un aumento significativo degli anni di vita e della qualità degli stessi. 

Il movimento, quindi, sembrerebbe proprio un elisir di lunga vita. Eppure, specie nei paesi più industrializzati, i livelli di attività fisica stanno diminuendo vertiginosamente, rendendo la sedentarietà una delle principali cause di disabilità e insorgenza di malattie croniche nella popolazione globale, soprattutto per quanto riguarda le persone anziane. Ecco perché l’esercizio e l’attività fisica vengono consigliati alle persone di ogni fascia di età, alla stregua di una terapia.

Per capire a fondo i meccanismi legati ai benefici apportati dal movimento, i ricercatori hanno voluto indagare i motivi della riduzione dei tassi di mortalità e di insorgenza delle malattie. Infatti, sebbene numerosi studi abbiano chiarito diversi processi biologici mediante i quali l’attività fisica sarebbe utile per mantenere la capacità funzionale, evitare le malattie legate all’avanzare dell’età e favorire un invecchiamento sano, tali studi non spiegano le ragioni sottostanti per cui sia proprio il movimento a stimolare questi processi benefici e perché essi non funzionano più negli individui più anziani e sedentari. 

Perché ci fa bene?

Per rispondere a questa domanda, alcuni ricercatori sono partiti dall’evoluzione. Già da tempo i biologi evoluzionisti, tenendo conto sia delle evidenze sulla storia degli esseri umani, sia delle più recenti scoperte in medicina, sostengono che gli esseri umani, fisicamente attivi da centinaia di migliaia di anni, non abbiano avuto il tempo di adattarsi evolutivamente a stili di vita decisamente più sedentari: gli autori dello studio di Harvard ricordano infatti che i cacciatori-raccoglitori del Paleolitico probabilmente camminavano almeno 2-4 ore al giorno, più di sei volte il livello di attività fisica raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Perché i nostri antenati erano così attivi? Per spiegarlo, gli autori dello studio hanno abbattuto alcune credenze diffuse sugli Homo Sapiens della preistoria: gli individui più anziani nei gruppi sociali non sono stati selezionati evolutivamente solo perché potevano impartire conoscenze e abilità, ma perché potevano anche procurare cibo per se stessi e i propri figli e nipoti. Tutto ciò, ovviamente, a patto di essere fisicamente attivi. Contrariamente alla credenza diffusa che la durata della vita umana nella preistoria fosse breve in assoluto, i cacciatori-raccoglitori che sopravvivevano all’infanzia tendevano a vivere 70 anni, anche 40.000 anni fa, come si è visto da alcune prove fossili. Anche nelle popolazioni di cacciatori-raccoglitori attualmente esistenti, i livelli di attività fisica rimangono più o meno costanti nel tempo, inclusa la vecchiaia.

Secondo i ricercatori, l’attività fisica potrebbe essere stata favorita dall’evoluzione in quanto avrebbe spostato l’allocazione di energia verso il movimento, invece che su altri processi biologici potenzialmente dannosi. L’energia derivante dal cibo che non veniva utilizzata per mantenere l’organismo in vita, infatti, veniva destinata quasi esclusivamente al movimento e non veniva immagazzinata nel tessuto adiposo: oggi sappiamo quanto la presenza di adipe in eccesso possa essere dannosa per la salute. 

Un’ulteriore ipotesi avanzata dagli autori suggerisce che le risorse energetiche venivano allocate anche per la riparazione e il mantenimento di tessuti e cellule che si degradano naturalmente con l’attività fisica. L’evoluzione, quindi, avrebbe favorito l’attività fisica perché essa stimola processi di manutenzione e riparazione dell’organismo. Qualche esempio? La produzione di antiossidanti, l’eliminazione delle tossine, la riduzione dell’infiammazione, il miglioramento della funzione cardiovascolare e il miglioramento del tono muscolare e della qualità del tessuto osseo. Tutti processi che contribuiscono a migliorare la salute del singolo individuo e che la ricerca biomedica ha trovato mal funzionanti o non regolati in numerose malattie, soprattutto della terza età, come i tumori, le malattie cardiovascolari, l’osteoporosi o le demenze

Qualche consiglio

In conclusione, sostengono gli autori dello studio, tutti gli animali si sono evoluti per essere fisicamente attivi, ma livelli moderati di attività fisica, mantenuti costanti per tutta la vita, hanno svolto un ruolo speciale nell’evoluzione della nostra specie. Oggi miliardi di persone non hanno più bisogno di impegnarsi nell’attività fisica per il proprio sostentamento e quindi devono scegliere di farlo, non solo quando sono giovani, ma anche in età avanzata. E se la medicina moderna può far fronte a molti problemi causati dalla sedentarietà – continuano i ricercatori – è impossibile mettere tutti i benefici dell’esercizio in una pillola, proprio perché, come abbiamo visto, l’attività fisica mette in gioco numerosissime risposte fisiologiche diverse, che non possono essere fornite assumendo una terapia. 

Per fortuna, abbiamo l’evoluzione dalla nostra parte: è stato dimostrato che, soprattutto se li manteniamo nel corso del tempo, anche livelli modesti di attività fisica producono benefici sostanziali. Le linee guida stilate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità suggeriscono che l’obiettivo di attività fisica per le persone anziane è lo stesso degli altri adulti: 150 minuti a settimana di attività di moderata intensità o 75 minuti di attività di intensità vigorosa distribuita su tutta la settimana, o una combinazione delle due. Basterebbero 30 minuti di camminata veloce, 5 giorni a settimana per proteggere la nostra salute e preservare la longevità.

Foto in evidenza: sk su Unsplash

Fonti:

S. Paffenbarger Jr. et al., The association of changes in physical-activity level and other lifestyle characteristics with mortality among men. N. Engl. J. Med. 328, 538–545 (1993).

The active grandparent hypothesis: Physical activity and the evolution of extended human healthspans and lifespans

Daniel E. Lieberman, Timothy M. Kistner, Daniel Richard, I-Min Lee, Aaron L. Baggish

Proceedings of the National Academy of Sciences Dec 2021, 118 (50) e2107621118; DOI: 10.1073/pnas.2107621118

Carmichael  AR. Physical activity for women with breast cancer after adjuvant therapy. Cochrane Database of Systematic Reviews 2018, Issue 1. Art. No.: CD011292. DOI: 10.1002/14651858.CD011292.pub2.

https://www.epicentro.iss.it/attivita_fisica/Attivita-Fisica-Anziani-2018

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