Con il passare degli anni, capita che compaiano dolori a livello delle articolazioni; sebbene questo sia spesso interpretato come un “normale” segno dell’invecchiamento, a volte può nascondere malattie importanti. In effetti, la prima sfida che un medico affronta, quando visita un paziente che lamenta dolore a una o più articolazioni, consiste proprio nel capire se questo dolore nasca da un problema legato “all’invecchiamento” dell’articolazione oppure da una infiammazione della stessa. Questo perché le implicazioni e la terapia cambiano in maniera sostanziale.

Artrite o artrosi?

Tutti quanti noi – chi più chi meno – andiamo incontro, nel corso della nostra vita a un’usura delle articolazioni; in particolare, con il passare degli anni si osserva un progressivo consumo della cartilagine, che riveste le ossa che formano l’articolazione, favorendone il movimento reciproco. Questo fenomeno conduce alla cosiddetta “artrosi”, caratterizzata dalla comparsa di dolore e talvolta di deformità dell’articolazione e in cui il danno strutturale dell’articolazione prevale sulla componente infiammatoria. Insomma, per decenni siamo abituati a non renderci neanche conto di avere le articolazioni, poi progressivamente, anche loro iniziano a farsi sentire…
Il termine “artrite” si riferisce invece, in maniera generale, a un processo infiammatorio a carico dell’articolazione. In questo caso il problema nasce generalmente dalla “sinovia”, un tessuto di rivestimento interno alla capsula articolare, che ha la funzione di produrre un liquido (“liquido sinoviale”) che serve a “lubrificare” l’articolazione. Quando la sinovia si infiamma, compaiono dolore e spesso gonfiore dell’articolazione, che può apparire anche arrossata, con compromissione della sua funzione; con l’andare del tempo, se l’infiammazione non viene spenta, l’articolazione andrà invariabilmente incontro anche a un danno strutturale.
Ma che cosa può innescare un‘infiammazione articolare? Le cause sono molteplici: innanzitutto, l’infiammazione è la risposta fisiologica del nostro organismo a un attacco dall’esterno. È’ questo, ad esempio, il caso delle artriti settiche che si sviluppano in risposta a un’infezione da parte di un batterio o di un fungo. Ma molto spesso l’infiammazione articolare si scatena a causa di un’attivazione inappropriata del sistema immunitario che, all’improvviso e ingiustificatamente, attacca la sinovia.

L’artrite reumatoide

L’artrite reumatoide è l’esempio probabilmente più rappresentativo. L’artrite reumatoide è, per definizione, una poliartrite cronica, cioè una malattia cronica infiammatoria che colpisce più articolazioni. Si manifesta in genere con la comparsa di dolore e gonfiore a livello delle articolazioni, più frequentemente di mani e piedi, ma può poi estendersi a colpire le altre articolazioni. La colonna vertebrale viene generalmente risparmiata dalla malattia, eccetto rari ma potenzialmente gravi casi di interessamento della regione cervicale, in corrispondenza dell’articolazione tra il cranio e la colonna stessa. Con l’andare degli anni la malattia, se non ben controllata, può causare un progressivo danno strutturale delle articolazioni a cui può seguire una compromissione della loro funzione.
Tuttavia, a differenza di quello che si potrebbe pensare, l’artrite reumatoide non è solo una malattia delle articolazioni; infatti, la malattia può colpire altri organi, tra cui la pelle, i polmoni, il cuore, i nervi, l’occhio…

L’impatto socio-economico dell’artrite reumatoide

L’artrite reumatoide è una malattia con un importante impatto sociale ed economico. In primo luogo perché è molto frequente: si stima ne sia affetto lo 0,5-1% della popolazione mondiale e che pertanto in Italia colpisca circa 300-400.000 persone. In secondo luogo perché è una malattia cronica, che rispetto all’artrosi colpisce soggetti generalmente più giovani. Infatti, la maggior parte delle diagnosi viene fatta tra i 30 e i 50 anni, sebbene possa colpire anche in età più giovanile o nelle decadi più avanzate. Ciò comporta alti costi diretti, in quanto i trattamenti proseguono per anni (se non per decenni e con farmaci spesso molto costosi) e indiretti: basti pensare che dopo dieci anni di malattia, quasi il 50% dei pazienti presenta una qualche forma di limitazione alla propria attività lavorativa.
Da questi dati risulta evidente come la terapia dell’artrite reumatoide debba iniziare prima possibile, per prevenire lo sviluppo di danni articolari permanenti; infatti, sembra sempre più chiaro che più precocemente si ferma l’infiammazione e migliore sarà la prognosi per il paziente.

Quali sono le cause dell’artrite reumatoide

Purtroppo sappiamo ancora poco sulle cause dell’artrite reumatoide, sembra comunque che, come per la maggior parte delle malattie autoimmuni, la malattia sia il risultato dell’interazione tra una predisposizione genetica e fattori ambientali. Attenzione: questo non vuol dire che la malattia sia trasmessa direttamente da un genitore al figlio. La suscettibilità dipende da molteplici geni e, sebbene il rischio in parenti di pazienti con artrite reumatoide aumenti dalle 3 alle 5 volte, se avete un familiare che ne è affetto non dovete vivere assolutamente ciò come una condanna allo sviluppo della malattia. Infatti, si ritiene che, in soggetti con un profilo genetico “sfavorevole”, serva comunque l’interazione di fattori ambientali per innescare il complesso insieme di eventi molecolari e cellulari che causa poi la malattia stessa.

Purtroppo, anche relativamente ai fattori ambientali sappiamo poco; si ritiene che il contatto con alcuni virus e batteri potrebbe causare una attivazione del sistema immunitario in soggetti predisposti, così come l’esposizione ad alcune polveri e inquinanti ambientali. Tuttavia, il fattore di rischio ambientale meglio caratterizzato è il fumo di sigaretta. Infatti, il fumo causa delle modificazioni a livello delle proteine del polmone, a seguito delle quali il sistema immunitario non le riconoscerebbe più come parte dell’organismo, ma come qualcosa di esterno, producendo anticorpi che andrebbero poi a colpire le articolazioni. Quindi, se siete fumatori, sappiate che smettendo di fumare potreste fare del bene anche alle vostre articolazioni.

Mentre conosciamo poco sulle cause dell’artrite reumatoide, siamo oggi molto più consapevoli relativamente ai meccanismi che stanno alla base del suo sviluppo. Sappiamo, infatti, che le cellule del sistema immunitario vengono richiamate dentro la sinovia e rilasciano delle proteine (citochine) che sono fondamentali per “guidare” l’infiammazione a livello delle articolazioni con possibili effetti anche su organi e tessuti a distanza. In molti pazienti vengono anche prodotti degli anticorpi (fattore reumatoide e anticorpi anticitrullina) che contribuiscono a sostenere l’infiammazione e a favorire il danno articolare; in questi casi, si parla di artrite reumatoide “sieropositiva” che ha generalmente un’evoluzione più aggressiva rispetto alle forme sieronegative.

Come si cura l’artrite reumatoide?

Innanzitutto le linee guida ci chiedono di avviare la terapia il prima possibile, non appena la diagnosi viene fatta. Se in passato i farmaci antinfiammatori e cortisonici costituivano la principale “arma” a disposizione, oggi il loro impiego è certamente minore e dovrebbe essere limitato il più possibile. Sono comunque tuttora molto utili, soprattutto nelle fasi iniziali di malattia per favorire lo spegnimento dell’infiammazione. Il farmaco cardine, secondo le attuali linee guida, si chiama methotrexate. E’ un farmaco in commercio da decenni, che ha un ottimo profilo di rischio e rapporto costo/beneficio. L’obiettivo della terapia è ottenere la remissione della malattia; cioè, spegnerla, addormentarla. Questo obiettivo viene raggiunto con il solo methotrexate nel 40-50% circa dei pazienti.

Mentre in passato le opzioni terapeutiche per i pazienti che non rispondevano al methotrexate erano molto limitate, e conseguentemente la malattia poteva andare avanti causando importanti danni strutturali, oggi abbiamo tante differenti possibilità. Infatti, l’artrite reumatoide è un caso molto interessante di come la conoscenza dei meccanismi che stanno alla base di una malattia possa produrre importanti significativi passi avanti dal punto di vista terapeutico.

La scoperta di come la malattia si sviluppa ha permesso di costruire in laboratorio tante differenti target therapies, cioè farmaci in grado di riconoscere uno specifico bersaglio e inattivarlo. È questo il caso dei famosi farmaci biologici, che vengono costruiti in laboratorio, proprio con l’intento di legare e inattivare molecole chiave per lo sviluppo della malattia, come ad esempio le citochine pro-infiammatorie rilasciate dalle cellule del sistema immunitario.
La selettività di azione di questi farmaci, li rende molto efficaci e caratterizzati da un buon profilo di sicurezza, se confrontati con i farmaci immunosoppressori di vecchia generazione. Tuttavia presentano alcuni limiti: innanzitutto, non sono sempre efficaci. Circa il 40% dei pazienti non risponde alla terapia (fallimento primario) e questo comporta la necessità di tentare con un farmaco differente. Inoltre, anche farmaci che abbiano inizialmente funzionato possono, per vari motivi, perdere di efficacia (fallimento secondario) e richiedere una modifica della strategia terapeutica.

Infine, non abbiamo al momento strumenti che ci possano permettere di predire l’efficacia di un farmaco prima di iniziarlo. Quindi, la scelta di quale terapia iniziare in caso di fallimento del methotrexate è ancora fatta “a tentativi”. Non per niente, uno degli sviluppi più interessanti per il futuro è rappresentato dalla ricerca di elementi clinici o di dati laboratoristici che possano permetterci di prevedere l’efficacia di uno specifico farmaco e, quindi, di scegliere in modo più razionale quale “arma” utilizzare.

Bibliografia

Smolen JS, Aletaha D, McInnes IB. Rheumatoid arthritis. Lancet. 2016 Oct 22;388(10055):2023-2038. doi: 10.1016/S0140-6736(16)30173-8. Epub 2016 May 3. Erratum in: Lancet. 2016 Oct 22;388(10055):1984.

Flavio Fantini. Guida pratica per pazienti con Artrite Reumatoide

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