Paolo Milone, nel suo libro “Astenersi principianti”, scrive: “La vecchiaia è una successione continua di togliere […]”. È inevitabile che con il passare degli anni ci siano dei cambiamenti. Se da una parte il concetto di cambiamento di per sé è “neutro”, dall’altra, ovviamente, è ciascuno di noi, vivendo il proprio cambiamento, a fare esperienza di questo come di una “cosa buona” oppure no. Al di là dell’esperienza soggettiva, poi, non si possono trascurare i pregiudizi: quelle idee che si hanno prima ancora di confrontarsi con le cose stesse. I pregiudizi, nostri e/o degli altri, rispetto all’accettare l’invecchiamento, configurano quello che si chiama in inglese “ageism”. Questo concetto, insieme a quello di invecchiamento sano o healthy ageing, è oggetto di grande attenzione da parte della Organizzazione Mondiale della Sanità , ed è fondamentale per poter affrontare – sia a livello individuale che collettivo – la questione degli anni che passano.
James Hillman, psicoterapeuta di orientamento Junghiano, scrive: “La patologia principale della vecchiaia è l’idea che ne abbiamo”; possiamo pensare a questa frase come a un incoraggiamento ad incontrare noi stessi, nella fase di senescenza della nostra vita, senza preconcetti, e in particolare senza quei preconcetti che possono correre il rischio di rendere patologico qualcosa che non lo è. Invecchiare di per sé non è una malattia, e alcuni dei cambiamenti che comporta la vecchiaia non sono malattie. D’altro canto è necessario essere consapevoli della possibilità che alcuni di questi cambiamenti possano, in determinati casi, avere proprio valore di patologia (avere il fiatone dopo una rampa di scale può essere qualcosa che merita attenzione medica in alcuni casi, in altri no, per fare un esempio banale dal quotidiano).
La sfida che ci troviamo ad affrontare è quindi su più livelli: in primis distinguere ciò che è malattia da ciò che è parte di un fisiologico invecchiamento del corpo; dall’altro curare e avere cura di ciò che ci accade, sia che si tratti di malattia, sia che si tratti di un processo connesso a un normale ageing. Nel “curare”, “avere cura”, “prendersi cura”, si mettono in gioco degli aspetti molto importanti: curare presuppone avere identificato chiaramente un problema, una diagnosi, e avere individuato una terapia o un intervento terapeutico specifico per la diagnosi stessa. Avere cura e prendersi cura riguardano invece un approccio più globale alla persona, considerata nella sua totalità di corpo, mente, anima, spirito, a seconda di come si voglia chiamare questa parte meno tangibile di noi esseri umani. Questa apertura a un approccio olistico lo ritroviamo nel concetto di healthy ageing proposto dall’OMS: scopriamo infatti che secondo tale concetto, il fatto di essere liberi e privi di malattie o infermità non è un requisito per poter parlare di “invecchiamento sano”. Per quanto sia difficile vivere sulla propria pelle la possibilità della malattia come parte della nostra esistenza, il concetto di healthy ageing ci mette di fronte al fatto che non è quello il punto: esso rimanda infatti a una dimensione che trascende quella sanitaria (che si occupa di salute e malattia), intrecciandola con quella di benessere e qualità della vita, che dipende dalla possibilità che abbiamo, nonostante tutto, di essere e fare cose che per noi abbiano un valore. Il concetto di healthy ageing, in altri termini, ci porta a pensare alle grandi tematiche del significato e del senso del nostro esserci.
In un suo scritto, Frankl, neurologo, psichiatra e filosofo austriaco, cita una frase di Nietzsche: “Chi ha un perché per vivere, sopporta quasi ogni come”; molto del lavoro di Frankl è proprio concentrato sull’importanza del significato e della ricerca del significato per l’esistenza dell’individuo, tanto da affermare che “In realtà, […] la salute non è altro che un mezzo per raggiungere un fine, un presupposto necessario per conquistare ciò che consideriamo il vero significato della nostra esistenza, qualsiasi esso sia”. La ricerca di significato è un processo dinamico e cangiante che accompagna le nostre esistenze; Fung descrive anche e proprio l’invecchiamento come un “meaning-making process”, un processo di costruzione di significati. Nel suo romanzo “Questa è la felicità”, Niall Williams mette in evidenza come questo processo cambi, nel corso dell’esistenza, raccontando in termini letterari quelle che Carl Gustav Jung aveva già descritto come psicologia del “mattino” e del “pomeriggio” della vita: “La sensazione peggiore che può provare un giovane, penso a volte, è l’incapacità di trovare una risposta alla domanda su cosa debba farsene della vita che gli è stata data. In certi momenti siamo convinti di averla sulla punta della lingua, quella risposta, ma poi non sappiamo come andare avanti… Roba del genere… Adesso posso dire che in vecchiaia ci troviamo ad affrontare un’altra versione dello stesso problema quando ci viene in mente che avendo vissuto tanto, dobbiamo pur aver imparato qualcosa, per cui apriamo gli occhi prima dell’alba e ci chiediamo: Cos’è che ho imparato? Cos’è che voglio dire?”.
E qui, nella costruzione di significato, tocca affrontare altre sfide. La ricerca dell’equilibrio tra riconoscimento e negazione del cambiamento; tra azione, necessaria e risolutiva in alcuni casi (come nel caso di condizioni di malattia acuta: se ho la polmonite, con gli antibiotici posso risolverla) e accettazione. L’accettazione rimanda di più alla dimensione della cronicità, ossia di quelle condizioni in cui lo sbilanciamento tra curare e avere/prendersi cura, è nettamente a favore del secondo polo. Hillman profila due atteggiamenti nei confronti della cronicità: la redenzione eroica e la repressione. Nel primo caso si va all’attacco per fare comunque “qualcosa”, rifiutandosi di “accettare i disturbi cronici come cronici […]”; nel secondo, al contrario, non si perde tempo dietro a ciò che è incurabile, perché tanto va “accettato per quel che è”. In questa oscillazione tra azione e accettazione, può venire in aiuto la “preghiera laica” (è una preghiera ma non si rivolge ad alcuna divinità in particolare, semmai a quella scintilla che c’è in ogni essere umano) del gruppo di auto-mutuo aiuto degli Alcolisti Anonimi: “Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscerne la differenza. Vivendo un giorno per volta; assaporando un momento per volta; accettando la difficoltà come sentiero per la pace” (Reinhold Niebuhr). Questa “preghiera” invita prima a discernere; e poi a radicarsi nel presente. “Ieri è storia, domani è mistero, ma oggi è un dono… ed è per questo che si chiama presente”: la fonte “autorevole” in questo caso è il film cartone animato Kung Fu Panda! Il che ci ricorda come a volte piccole “perle” possano essere ritrovate anche nei luoghi meno prevedibili….
Tornando a Frankl, rispetto alla cronicità e al confronto con la incurabilità, egli scrive “Quando non possiamo più cambiare la situazione – penso ad esempio a una malattia incurabile […] – dobbiamo in qualche modo cambiare noi stessi”. Rispetto al “come” fare questo, Claude Olievenstein, ne “La scoperta della vecchiaia”, indica una via possibile: “[…] si tratta di ricostruirsi altrimenti […] pur continuando ad essere l’individuo che ha fatto, conosciuto e amato con un’altra libertà. La vecchiaia, allora, non è più un naufragio, ma un diverso modo di navigare. […] imboccare la strada di un racconto storico […] vuole anche dire […] dare senso a quel che non ne ha e analizzare quel che in apparenza sembra frutto del caso, il caos non previsto, per dimostrare a se stessi che esiste una vera strada. Costruire questo senso significa erigere un bastione contro l’ineluttabile che è il nonsenso della fine”.
La presenza di riferimenti letterari che vanno al di là della psicologia e della psichiatria, in questo breve scritto, rimanda proprio all’importanza del racconto, della storia, della narrazione nelle nostre vite, e anche nell’approccio della medicina. Quindi prendiamo come conclusione le parole di Primo Levi ne “Il sistema periodico”: “Lo stesso mio scrivere diventò un’avventura diversa, non più l’itinerario doloroso di un convalescente, non più un mendicare compassione e visi amici, ma un costruire lucido, ormai non più solitario […] provavo ora nello scrivere un piacere complesso, intenso e nuovo […] il mio bagaglio di memorie […] diventava una ricchezza, un seme; mi pareva, scrivendo, di crescere come una pianta”.
Riferimenti bibliografici
Frankl Viktor E. L’uomo in cerca di senso. Franco Angeli Edizioni, 2017.
Frankl Viktor E. Psicoterapia e umanismo. Giunti Editore, 2023.
Fung HH. Aging in culture. Gerontologist. 2013 Jun;53(3):369-77. doi:10.1093/geront/gnt024. Epub 2013 Apr 12. PMID: 23585454.
Hillman James. (2000), La forza del carattere. La vita che dura, Adelphi.
Kung Fu Panda. DreamWorks Animation, 2008.
Levi Primo. Il sistema periodico. Einaudi, 1975
Milone Paolo. Astenersi principianti. Einaudi, 2023.
Olievenstein Claude. La scoperta della vecchiaia. Einaudi, 1999.
Williams Niall. Questa è la felicità. Neri Pozza, 2021
World Health Organization. Decade of Healthy Ageing (2020 – 2030).