Il 10 ottobre ricorre la Giornata Mondiale della Salute Mentale, quest’anno lo slogan ufficiale recita “Mental health care for all: let’s make it a reality” (= Cura della salute mentale per tutti: rendiamolo reale!). Ma è davvero così o siamo ancora lontani da questo obiettivo? La salute mentale degli anziani riceve adeguate attenzioni?
Ne abbiamo parlato con la Professoressa Zeppegno, Professoressa Associata di Psichiatria, Università del Piemonte Orientale.
Che cosa si intende per salute mentale?
Come è fondamentale promuovere la salute in generale, così sicuramente è importante promuovere la salute mentale.
Può essere utile ricordare cosa si intende con “salute”: l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia”. Il concetto di salute mentale è quindi insito in quello della salute generale, e fa riferimento ad uno “stato di benessere nel quale una persona può realizzarsi, superare le tensioni della vita quotidiana, svolgere un lavoro produttivo e contribuire alla vita della propria comunità”.
In una tale condizione, l’individuo è quindi in grado di mettere a frutto le sue capacità cognitive o emozionali, rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, adattandosi alle condizioni esterne ma anche ai propri conflitti interni. È anche in grado di stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri ed esercitare la propria funzione all’interno della società.
Quindi è chiaro come per la salute mentale (ancora più che per la salute fisica), il concetto faccia riferimento a un processo dinamico, e un gioco di equilibri e tensioni, più che a qualcosa che si può considerare acquisito, staticamente, una volta per tutte.
Perché una Giornata Mondiale della Salute Mentale?
Pensiamo che la Giornata Mondiale della Salute Mentale sia importante per ricordarci la necessità di promuoverla, prestando uno sguardo e un ascolto attenti tanto ai disturbi mentali che al disagio mentale e psichico.
Entrambe queste condizioni richiedono un approccio specialistico, al quale troppo spesso le persone non arrivano, per il timore di essere considerate “pazze” o “strane” da parte di una società in cui lo stigma è ancora, nonostante tutto, molto presente nei confronti di ciò che attiene alla sfera psichica e alla psichiatria.
Il problema dello stigma porta spesso a sottovalutare sia la patologia che il disagio psichico, pensando che di certe problematiche sia bene non parlare (quando non addirittura che vadano vergognosamente nascoste), o che non meritino attenzione o possano essere superate “mettendoci la buona volontà”.
Lo stigma colpisce anche gli anziani?
Se il problema dello stigma riguarda qualsiasi fascia di età, nel contesto del nostro Dipartimento di Eccellenza sul tema dell’Aging, è doveroso sottolineare come sia ancora più rilevante nella fascia di età senile, dove molto spesso intervengono pregiudizi che portano alla normalizzazione di condizioni patologiche, complicando quadri già di per sé complessi in termini di diagnosi differenziale, riducendo di conseguenza le possibilità della persona di ricevere una diagnosi corretta e delle cure, qualora ne abbia necessità.
I pregiudizi, che possono essere indicati con il termine “ageism”, sono quelli basati sulla età della persona, per cui si ritiene “normale” che l’anziano presenti, ad esempio, sentimenti di tristezza. In alcuni casi questi possono essere correlati alla situazione esistenziale, in altri possono essere la manifestazione di una depressione di rilevanza clinica. La diagnosi inoltre a volte può essere complessa, soprattutto per quel che riguarda la depressione, poiché quadri di iniziale decadimento cognitivo e depressione possono presentarsi in modo analogo. È quindi fondamentale una corretta diagnosi differenziale, che a volte può richiedere del tempo ed essere molto complessa, ma è imprescindibile per l’impostazione di un intervento adeguato.
Qual è a vostro parere l’elemento cruciale terapeutico per la buona riuscita di un percorso terapeutico nell’ambito della salute mentale?
È importante infine ricordare che, nell’approccio alla malattia e al disagio psichico, sia che il trattamento specialistico preveda la prescrizione di terapie farmacologiche, sia che si tratti di psicoterapia, la cura avviene attraverso la relazione, che ne è elemento imprescindibile.
Come scrive Sandor Marai ne “La sorella”: “[…] E in quell’istante seppi con certezza che tutto quello che avrebbe potuto fare nel mio interesse – iniezioni, radiazioni, terapie e farmaci – sarebbe stato inutile se noi due, il medico e io, non avessimo stretto una sorta di alleanza, o contratto in cui si stipulasse che lui era il mio medico, e per questo sarebbe stato capace di guarirmi. Tutti e due sapevamo, senza bisogno di esprimerlo a parole, che tutto dipendeva da questo […]”.
L’OMS invita a mettere in luce esempi positivi di promozione della salute mentale, vissuti durante la pandemia. Volete condividere qualche esempio di best-practice o offrire qualche consiglio per prendersi cura del proprio benessere mentale in questo difficile periodo, in particolare per la popolazione anziana?
La popolazione anziana vive in un contesto sociale in cui le risorse tecnologiche forniscono canali sempre nuovi per poter mantenere i contatti anche qualora questi non possano avvenire di persona.
Se ciò rappresenta da un lato una sfida per l’anziano, che può non avere famigliarità con determinate tecnologie e strumenti, dall’altro l’esperienza della pandemia ci ha fatto sperimentare come sia anche una importante opportunità, per mantenere contatti, connessioni, possibilità di offrire supporto anche per quanto riguarda la salute mentale, e anche in circostanze estremamente complesse.